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al testo di Silvia Scorrano
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Sottile ma tenace il filo che lega ogni cosa: la speranza. Come burattino ti conferisce una posa aderente al vento, e grazie all'arrangiamento di un polso divino trascendi le strade già solcate e, in questo tetro teatrino, raggiungi il più disperato mutamento, persino. Oh, non c'è spensieratezza, ma la luce dell'onesta coscienza che rende conto di ogni passata azione maldestra d'ogni atto che devi aver commesso ben prima che la memoria prendesse forma in ciò che nell'intelletto è ammesso, in quel che ha lasciato nel karma un'orma. I passi scollati dal pavimento nella mossa dell'anima avanzano sopra il firmamento, nel buio di quell'infinito silenzio. E il dolore, la sconfitta persino, non muta la gioia che trattien la speranza. L'avanzar verso la meta si rimesta nell'inafferrabilità di ogni accidente con l'ineffabilità di un costoso presente. Così la felicità accade come il triste inciampo nella virtù d'esser già oltre, ma qui, vicina ai desideri, ma ancor prima guardiana dell'opportunità che ciascun d'essi si avveri: un lavoro senza tariffario. Conti le tue giornate che t'attendo a un traguardo e quello, come per dispetto, s'allontana con sorriso beffardo; allora guardi la giornata come un traguardo e il futuro s'abbandona ad essere la bella copia di un'illusione che, ora cieca, domani prenderà gli occhi da un'altra dimensione in un mutuo scambio tra preveggenza e divina provvidenza. La vista muta nel corpo senza tatto: i sensi s'affinano, le distanze variano tra persone, cose e sentimenti persino, non c'è più un metodo adatto a misurare il cambiamento. Ah, l'amor dimentico è sopraffino, quel che sapeva lasciarsi cullare senza preoccupazione, quand'oggi, invece, apri ogni giorno un ombrello affinché ogni piovasco altrui non leda il tuo sospirar solitario; nel ricordo l'entusiasmo s'accomoda nel divario. Ogni cosa come volto di una medaglia, nel lancio di una continua scommessa, ti fa provare ora la vittoria, ora la sua rimessa; non è il successo, ma il fremito di riuscire a sostare nell'adesso, che ogni giorno motiva a cercare il tuo cenacolo. Mentre pasteggi, nell'abitudine consueta illuminazione e perdizione si intervallano per brevi istanti: come la muta di un animale che si prepari a una eterna stagione senza rimpianti, senza riconoscer nuova occasione. Non siedi per nutrirti, ma ti svesti e, su quel pavimento, cade la tua vecchia pelle che il tempo confonderà con la polvere di un istinto alla paura ribelle. |
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