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al testo di Amina Narimi
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Ho lavorato con la morte dei tuoi occhi, la porta stretta di questo mio cercare il simurgh nel mio cuore Tre anni e un filo lungo di esercizi stretti tra le dita, cristallini. Di tanto ho fatto lunghi i miei capelli ad ogni anello degli alberi che amo. Mi sono preparata per sparire dalle stanze a risalire l’aria verso il buio per trascinare l’eco della luce e più di tutto a muovere il tuo corpo sulla tela facendo un cerchio lento con le dita, allora, sento che respiri e stai per dire qualcosa d’invisibile, una cura. Come cibo non un’ombra di pensiero si distende sulla vita con un seme stordito dalla grazia che traspare mentre alziamo i fili d’erba dei segreti, come fossero le teste di bambini con le bocche socchiuse in armonia tra una crisalide e la rosa ricomposta c’è un dono che si sporge dalle labbra, danzando per minuscole fiammelle da un punto di paura allo splendore: afferrami le maniche stanotte, perché ritorni sempre alla tua festa la paura negli occhi a fare il gesto che chiude il forno nero con il fuoco, scompiglia i miei capelli con la forza, come un’acqua che nasce dalla spinta, dal dolore dentro i sassi, mentre sogno. Mi sveglierà la tua voce nel torace nel violento calore la freschezza di una pianta che s'infila nei vestiti nello scambio del sangue con la luce. |
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