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al testo di Maurizio Soldini
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Non cresce l’erba e solo è il dente di leone - un soffio è sufficiente per dissolverlo - e in una sfera di piume s’apre a seminario.
Corre lungo la staccionata una blatta, nel sole s’inerpica uno straccio di vento e il solstizio verticalizza la luce di riflesso.
Le parole si frammentano in un diluvio, finché spiove dall’alto e sbava la lumaca al sortilegio del canto a venire nel frutto.
Nel corrimano sopra il ballatoio si consuma la fretta dell’andirivieni e il culmine di vita entra nella solitudine.
Il sapore è attonito nel sale dell’estate e brucia come un pane nel fervore la scommessa che il sogno è tutto vero.
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Nessuno può sapere il margine del vento che sopperisce nel basalto della scoscesa, se il primo passaggio sventa il colpo e schiude nel bregma l’idea che alleggerisce il passo sopra l’incertezza del vulcano. A dare fiamma all’attimo che svela se ansia o fretta di arrivare sono piane o trema il computo della salvezza. E spiazza la radura dopo il tuono.
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ammonimenti a spingerci nei cugni delle ricuciture ne avremmo avuti a iosa da chi stenta l’ago e il filo
ma la strettoia si fa muta se la parola si tramuta in un lacerto di menzogne meglio lo strappo del dire aperto
senza sotterfugi di rimpianti e pesi solo un sostare nel silenzio di aria e scivolare lieve nella larga via
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