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al testo di Silvia Morotti
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Abele, come Davide, ha un’arpa appesa al letto il vento entra nella sua stanza e l’arpa si mette a suonare, l’arpa suona e gli uccelli si posano sulle sue coperte e le coperte sono colme di briciole (lui mangia soltanto pane e lo mangia dentro il suo letto)
dalla mia casa io posso sentire il vento e l’arpa e gli uccelli, il respiro di Abele non lo sento ma lo posso immaginare
(sulla strada di Abele passano bambini e non si sa da dove vengano lui crede che siano maturati nelle mandorle oppure che Dio li abbia lasciati cadere quando ha ritratto le mani dalla parte del cielo che sta sopra la casa a lui piace parlare ai bambini, raccontare di certe donne che prendevano le foglie degli alberi e le immergevano nel miele e le cospargevano di polvere d’oro, e le chiudevano nelle anfore di vetro e dalle anfore nascevano i campi e le querce e le noci, e anche il chiarore che traspariva dalle vesti di lino di quelle donne e dai loro nomi e Abele racconta e i bambini lo ascoltano e per ascoltarlo meglio si siedono sulle grandi scatole di carta che lui raccoglie per loro e, qualche volta, ne chiedono una in dono e ringraziano Abele e lui dice loro che sono bambini molto educati e poi li guarda mentre riprendono la strada e Abele pensa che quei bambini non camminano, quei bambini salgono scale d’aria e sono leggerissimi, come le nuvole)
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A volte piove, e la nebbia solleva la casa e agli angoli si formano nidi di seta e nell’aria c’è un odore di scaglie legnose, di rami umidi e la barba di Abele si bagna e i suoi capelli si bagnano e si bagnano anche i fogli che io lascio sotto la sua porta...
...credo che ti piacerebbe la mistica ebraica il libro della formazione, il mondo che ha senso soltanto per colui che si ferma penso che tu conosca a memoria le parole di Giobbe sono sicura che, quando piove, esci fuori e raccogli l’acqua nel cavo della mano poi aspetti che faccia sera e che le stelle escano faccio questi pensieri, mentre guardo il giardino e il terrazzo, dove molti anni fa era caduta la neve e mio padre fotografava me e le montagne mi parlava di antiche preghiere e di Dio che si può venerare in tante forme e in tanti luoghi - non vorrei morire- mi diceva- guardando ancora questi monti, e il campanile in lontananza
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E la strada si stringe intorno ad Abele e lui vede le case più vicine e osserva le finestre le losanghe, i terrazzi, i cancelli di ferro o di bronzo, e intanto parla, parla con una donna che non esiste e che non cerca di trattenerlo anche se ogni tanto gli si appoggia al braccio o gli stringe una mano, e c’è la memoria che crede di ricordare, e l’aria che è calda e che è umida, e i piedi invisibili della donna scivolano su foglie gialle o marrone scuro e la strada finisce in un’altra strada e non ci sono case da guardare, ma sul fondo appare la spiaggia, la sabbia bagnata e il mare, e la donna ascolta, ma non sempre non quando il tempo si ferma, e lei pensa pensa a quando indossava un vestito e usciva e aveva un’ombra lunga quasi quanto l’ombra di Abele, e a lei piaceva guardare le loro ombre ora l’una ora l’altra, le piaceva vederle piegare di lato, e sostare
(ci sono giorni in cui la donna va da Abele e gli porta la colazione, allora, lui resta nella sua poltrona e ascolta le onde lei gli appoggia sulle gambe un vassoio e nel vassoio ci sono il miele, il burro, il latte e il pane tostato, quei giorni Abele si riposa prende un libro e lo sfoglia lui dice di non aver mai letto una riga eppure io so che nella sua testa ci sono tutti libri del mondo)
Poesie terze classificate nella prima edizione (2015) del Premio Letterario Nazionale indetto da LaRecherche.it: Il Giardino di Babuk - Proust en Italie
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