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al testo di Glauco Ballantini
Una manata di sale
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La calda mattinata ai Bagni Fiume procedeva con i soliti tuffi dal trampolino nord, con gli amici della stradina. La dolce estate era già cominciata da qualche settimana. Come ogni mattina andavamo molto presto e, quando arrivavamo, eravamo i primi a "incignare" l'acqua nella grande vasca naturale protetta dai grossi massi anche quando il libeccio era "oragioso". Non era il caso di quella mattinata di "patana", lo specchio d'acqua somigliava più a una piscina deserta. C'era sempre un gusto particolare nell'essere i primi a fare il bagno e a provocare la prima increspatura dell'acqua.
Quel giorno di mare calmo, però, una volta fatti i soliti tuffi con gli altri ragazzi, decidemmo di provare le immersioni nella parte più esterna della vasca. Era tanto per fare, non eravamo Maiorca che avevamo visto e sentito, l'anno prima, bestemmiare dopo essersi scontrato con un operatore subacqueo durante un tentativo di record. Volevamo vedere chi riusciva a toccare il fondale. Si trattava di immergersi e di portare in superficie, un pugno di sabbia dal fondo, che vedevamo dagli scogli. Il mare non era molto profondo in quel punto, giusto qualche metro. Eravamo in quattro o cinque a provare. La cosa che mi sorprese era che sembrava che nessuno riuscisse a percorrere quei pochi metri: tornavano tutti a mani pulite, senza un briciolo di sabbia. Quando fu il mio turno, come avevo visto fare, un bel respirone per prendere aria e giù... La resistenza alla discesa apparve da subito notevole, ma con un po' di movimento si riusciva a scendere. Non era però semplice!
Ecco, ero quasi alla sabbia ma la tendenza a riemergere era forte anche perché non riuscivo a stare tanto senza respirare. La vicinanza dell'obiettivo, oltretutto fallito da tutti, mi fece insistere, buttando via un po' di aria per essere meno leggero. Fatto! Ora però non era agevole tornare in superficie, con meno aria nei polmoni, più pesante e la distanza che sembrava essere aumentata. Da sotto vedevo l'aria e il sole con i riflessi non nitidi, non avendo la maschera, ma per quanto mi avvicinassi, non arrivavo mai al cielo instabile che sembrava crollare sopra il pelo dell'acqua. Alla fine erano rimasti pochi centimetri, ma prima di raggiungere l'agognata aria, la bocca si aprì da sola alla ricerca dell'ossigeno mancante. Fu una boccata di acqua salata che lasciò il segno. Una sola per fortuna perché ero prossimo alla meta, ma bastò per farmi capire cosa avevo rischiato.
Ero tornato con un premio, la sabbia del fondo, pagato con una manata di sale in bocca come un monito dato quel giorno dal mare per ricordarmi che era meglio non scherzare con lui.
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Giacomo Colosio
- 03/07/2015 13:16:00
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Bello questo racconto autobiografico, sei maestro in questo genere...quando poi si parla dei bei tempi andati, del mare, della "parlata" labronica, allora godo proprio. Anche allElba si usa incignare, ma più col significato di rovinare ( ho comprato il motore della barca ma lelica era incignata )...o di usato la prima volta, come dici tu. Patana invece non lo conoscevo ( noi si usa calma a olio ) e nemmeno oragioso, che rende lidea del mare in burrasca...per il libeccio poi è adattissimo, specialmente sui vostri lidi...lì entra perpendicolare, è il peggio che cè. Patana ed oragioso li voglio adottare: da oggi lo esporterò e lo farò diventare linguaggio comune a Porto Azzurro...magari il mattino mi rivolgerò a Luigi, il pescatore che io chiamo lattore, perché è bello, e gli dirò: che mare cè, patana o oragioso?....ahahahah....so già quel che mi dirà: Mino, che hai?...scirocco stamane?...che lo si dice a chi va al becco, o di traverso...ciaociao Glauco, stammi bene...oggi compio gli anni...
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