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Scrivi un commento al testo di Piero Passaro
Manuale della cattiveria VOL. 2

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Eccoli la, tutti. Tutte queste persone che sono capaci di deridere gli altri ma che poi ,finiti i sorrisi, si portano dentro un'amarezza di sé stessi da gelargli il cuore. L'etichetta degli insulsi e il galateo degli autostroncati: quelli che, ridendo esteriormente poi quando tornano a casa perdono di colpo il sorriso pensando a sé stessi. Il conflitto dipende dalla loro pigrizia spesso.

Una volta provai a definire "l'estetica del debole", sono i vari individui la cui indole non permette altro che questo rapportarsi con altri individui.

È proprio vero che tutto si muove intorno a chi decide: sono le persone con il potere nei contesti che pongono le basi dell'autodefinizione di sé.

L'egoismo trasale dai poveri imbecilli che non sanno applicarlo. Chi venera e non pratica è un disperso di sé stesso; inebetente su chi è davvero e cosa prova.

Magari pensa di avere un totem e invece non ha (il "non ha" a termine del periodo è voluto, si chiama "si, espongo uno stile anche se voi piccoli Moravia "mancati" - rifugiati nell'insegnamento perché privi di talento

- mi potreste dire qualcosa a proposito").

 

Ma suvvia andiamo avanti! Andiamo avanti con la descrizione di questi personaggi totem-dipendenti che non solo convivono con stocastici momenti di lucidità, in cui sono pervasi dal raggiungimento della consapevolezza di essere per natura destinati all'assoggettazione dei loro totem ma, in un' estetica del debole, pongono chi chiunque diverso dal loro totem solo materia informe, comunemente detta merda.

Infondo devo ammettere che hanno la coerenza dalla loro: quando il totem se ne va, perché si è saziato , si alza e se ne va come un maiale imbavagliato ad un banchetto, il debole lo accetta non cambia idea a riguardo sul suo totem e spesso prima di ogni cosa piange e basta. Lacrime intrise di convinzione che chi non è totem-based non è degno di essere menzionato. Ah, le convinzioni ostili dei deboli mostrate dalle lacrime sono la quinta essenza di ciò che si potrebbe definire disgusto.

Un disgusto talmente frastornante che nella sua estrema radicalità diviene quasi sessualmente attraente.

"La convinzione estrema è peggio della pazzia" ...e fa arrapare, dunque.

L'estetica del debole e del disgusto.

 

 

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