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Piazza di Spagna

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Chi ha detto che il cielo
non è altro che un vecchio tamburo
completamente inutile
e senza suono?
proviamo a salire la scalinata
più dolce del mondo
guardiamo verso villa medici
senza perdere di vista
la nostra barca di marmo là sotto
né il capitano bernini
né la piccola isola
con le tre palme africane
a destra
e guardiamo il tramonto incomparabile
che tuttavia voglio paragonare
a una trombetta
o meglio
a un intro gruppo di trombette
intanto che le nuvole sono violini
accesi senza dubbio
arpa è l'acqua delle fontane
contrabbasso il vento forte
e i passerotti
flauti e zampogne
nessuna orchestra è concepibile
senza un colpo di tamburi
in fondo
ma se il vecchio cuoio blu
risuona ancora
a trinità dei monti
ciò è dovuto in gran misura
a un incredibile sistema
di acustica divina
grazie al quale scopriremo
voci e melodie
che ormai nessuno ascolta
per quanto giriamo la testa
dall'ultimo gradino
dell'augusta scalinata
proprio nello stesso segmento
dove la maliziosa balaustra
conta ventitré colonne
e a un tratto piomba
da un obelisco appuntito
sulla grande terrazza
(attraversata sempre da un bambino
come un anello senza padrone
i capelli biondi al vento
la voce totalmente bianca)
e guardiamo a sinistra
in basso
verso il tramonto di nuovo ma
ora più vicino a noi quasi
a portata di mano appena
a un tiro di schioppo
che cosa vediamo?
un secondo sole
più piccolo e luminoso
di quello solito
e che si china piano piano
di nome keats
un terzo sole piccolo come un bambino
con i capelli biondi al vento
di nome shelley
entrambi inglesi e puri
bambini poeti che l'eternità ha rinchiuso
in uno stesso crepuscolo latino
insieme tutti e due e mai divisi
né dalle donne
né dalla gloria
né dalla stessa terra scelta
dolci poeti di albione
dormono nudi ancora?
gli esteti
in un'alcova di roma
perfetta coppia senza vita che ancora mormora
una divina melodia
che nessuno più ricorda?

Da “Di stanza a Roma”, 1952.
(Edizioni Ponte Sisto, Roma 2007, a cura di Martha L. Canfield)

 gian piero stefanoni - 14/03/2014 11:20:00 [ leggi altri commenti di gian piero stefanoni » ]

grazie a te Maria, che bella cura hai e ti dai della bellezza.. nella capacità di commuoversi una vitalità che resiste.. tra l’altro Ode su un urna greca è la poesia del mio cuore.. un abbraccio

 Maria Musik - 13/03/2014 07:00:00 [ leggi altri commenti di Maria Musik » ]

Caro Gian Piero, grazie per questa meraviglia. Ultimamente, quando leggo simili meraviglie, mi concedo il pianto. Sì, perchè ciò che non trovo nel quotidiano agire, la "corrispondenza" che mi viene negata dai consueti rapporti ed incontri, lo trovo nella poesia.
Ecco, ad esempio, ho una risposta all’ultima domanda:
"gli esteti
in un’alcova di roma
perfetta coppia senza vita che ancora mormora
una divina melodia
che nessuno più ricorda?"
Io li ricordo, li amo e, spesso, li visito. Me ne vado al Cimitero Acattolico (che adesso è ammantato di pratoline e viole), mi siedo su una panchina e leggo o, assorta, Li ascolto ancora parlare d’amore e dolore. Una delle tante gioie che mi concede Roma.

 Roberto Maggiani - 12/03/2014 23:04:00 [ leggi altri commenti di Roberto Maggiani » ]

Grazie Gian Piero, non conoscevo questa bella poesia, ma forse neppure i romani la conoscono, ora la spargo un po’.

 Gian Piero Stefanoni - 08/03/2014 13:30:00 [ leggi altri commenti di Gian Piero Stefanoni » ]

L’8 marzo 2006 se ne andava a Milano, all’età di 82 anni, Jorge Eduardo Eielson straordinaria figura di artista peruviano in una commistione di generi che ne hanno caratterizzato la singolarità della ricerca sia in poesia dove nell’ innamoramento pieno l’incontro con la cultura europea si lega (come nell’amico scultore Joaquin Roca-Rey) ai miti e alle risonanze della terra d’origine sia in campo pittorico i cui lavori, apprezzati ovunque e segnati da originalissime e personali interpretazioni delle tracce più avanzate delle arti visive del novecento (tra cui ancora nel segno di un legame mai reciso con l’ancestralità delle proprie risonanze, la ricreazione del khipu, l’antico nodo della civiltà incaica) sono presenti in molte delle gallerie più importanti del mondo. La poesia che qui presentiamo è tratta da “Di stanza a Roma”, uscita nel 1952, testimonianza preziosa del periodo romano (dal 1951 al 1967), che trova nei versi per la scalinata di Trinità dei Monti, nel richiamo ai cari Keats e Shelley, l’omaggio a quella gioventù di creazione da lui sempre raccomandata e perseguita, e per la quale va ancora il nostro grazie.

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