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Dolce come la neve

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Quando era nato, novantadue anni prima, c'era la neve.

Erano i primi giorni di Marzo, ma la primavera era ancora molto lontana.
La bufera aveva impazzato per tutta la notte e sua madre, rottesi le acque, aveva atteso in solitudine davanti al camino, con gli occhi fissi alle fiamme. Ma la levatrice non arrivava e non c'era più tempo. 
Albeggiava appena quando la ragazza decise di uscire a cercare aiuto. Il vento si era calmato, e i fiocchi cadevano radi e stanchi dopo la furia della notte. La campagna era scomparsa sotto la candida coltre e la strada si intravedeva appena. 
Le doglie stavano ormai montando, pure e dolorose. 
La ragazza camminava a fatica tra la neve alta,  sprofondando e risollevandosi, quando, allo stremo delle forze, cadde a terra priva di sensi. 
Fu in quella culla gelida e bianca che Aurelio venne alla luce.
Dalla casa in fondo al campo i vicini avevano visto sua madre arrivare, una piccola macchia scura sperduta nella distesa abbacinante, e le erano andati incontro appena in tempo per raccogliere il bambino dal suo grembo.
Erano passati tanti e tanti anni da allora, una vita intera, ed ora era Aurelio a lottare tra le coltri bianche di un letto d'ospedale, tra le fiamme ardenti della malattia. 
Era allo stremo. Il dolore mordeva, divorava. Stordiva. Brevi momenti di lucidità si alternavano a lunghi periodi di semi coscienza. 
Quando Aurelio vide avvicinarsi qualcuno,  pensò che fosse la solita infermiera venuta a somministrare la terapia antidolorifica. Ma poi si avvide del camicie bianco, di un lucore misteriosamente abbagliante e allora guardò meglio. Era una donna bellissima. I capelli scuri sulle spalle, la pelle diafana, gli occhi azzurri, limpidi come  piccoli vortici acquosi. La vide silenziosa, preparare la siringa. 
Lei chiese: "Sei pronto?"
 "Si, sono pronto" mormorò lui in un soffio "Solo, per favore, non farmi male"
"Non ti preoccupare" disse lei in un sussurro, con il sorriso tenero e sicuro di una madre al bimbo atterrito dalla notte. "Non ti preoccupare Aurelio. Vedrai, sarò dolce come la neve". 
E così come era arrivato tanti anni prima, Aurelio serenamente se ne andò.

 Romana Ricciardi - 28/10/2014 12:45:00 [ leggi altri commenti di Romana Ricciardi » ]

Oooops.."Niente e nessuno"...naturalmente senza accento!

 Romana Ricciardi - 28/10/2014 12:39:00 [ leggi altri commenti di Romana Ricciardi » ]

Nell’immaginario collettivo la morte è solitamente raffigurata nelle vesti del "tristo mietitore", un non-uomo di nero incappucciato che Bergman ha immortalato sullo schermo ne "Il settimo sigillo". Ma al sostantivo femminile ho voluto dare un corpo femminile, perché niente è nessuno come la donna può incarnare l’ambigua mutevolezza della vita. E della morte.Un saluto.

 Glauco Ballantini - 28/10/2014 09:28:00 [ leggi altri commenti di Glauco Ballantini » ]

Dalla culla alla tomba, il primo e l’ultimo atto senza accanimenti finali di prolungamento di vita senza vita. Si dice di solito polvere alla polvere, in questo caso neve alla neve. Mi ha ricordato nell’atmosfera finale anche una canzone di Michele Pecora "Vestita di bianco" con un dialogo con la morte che si conclude con: adesso io posso/adesso io voglio venire.

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