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Quanti di poesia

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AA.VV. QUANTI DI POESIA (NELLE FORME LA CIFRA NASCOSTA DI UNA SCRITTURA STRAORDINARIA).

Da 1 a 399 esemplari numerati a mano.

A cura di ROBERTO MAGGIANI.

EDIZIONI L’ARCA FELICE. SALERNO. 2011. Pp.96.

 

 

 

      Desidero esprimere un pensiero di sicuro consenso nei confronti dell’opera antologica Quanti di poesia. Al quaderno - curato da Roberto Maggiani per la collana “Coincidenze” delle Edizioni L’Arca Felice di Salerno - va ascritto il merito, altamente propedeutico, d’essere stato in grado di fornire, attraverso la voce e l’intervento di otto stimati poeti contemporanei, un contributo, una seria testimonianza all’ipotetico approccio (non importa se di scrittura o di lettura) ad una forma di comunicazione che - come evoca lo stesso sottotitolo d’ispirazione novalisiana - si mostra e si rappresenta “straordinaria”.

      Ecco: questo dialogo fuori dagli schemi necessita (oggi più che mai, urgentemente) di un chiarimento, di una corretta comprensione che consenta - nei limiti del possibile ovviamente - di compenetrarlo, di entrarci in sintonia così che le parole non ricalchino le orme di passi già segnati ma siano foriere di nuovi, inimmaginabili percorsi.

      È quello che in definitiva si è cercato di fare: ogni poeta, e prima ancora il curatore nell’introduzione, è chiamato a riferire la propria esperienza, a parlare di un qualcosa che sfugge, forse, persino a lui stesso ma di cui nessun altro può farsi interprete: già, una sorta di traduzione che vede nel poeta - come afferma Franco Buffoni citando Keats nel suo intervento a p.29 - “colui che sa tradurre il ruggito del leone nel linguaggio degli uomini”.

      Il poeta, dunque, è un intermediario: “ci devono essere dei veicolatori del senso della parola poetica” - sostiene Maggiani introducendo un elemento di novità in un contesto non certo inedito - supportato poco oltre dall’acuta considerazione che le intuizioni “partono dalle forme. . . proprio perché in esse è nascosto un significato altro del mondo. . .” e che, quindi, “è proprio da esse che traspare l’intimo segreto della realtà, un mondo extrareale che rivela la propria esistenza nella bellezza. . . ma anche nelle ombre e nella corruzione insita nella realtà.”. Come dire che il reale si manifesta per ciò che è, nella sua nuda essenza: “Lo stereotipo popolare del poeta quale individuo distratto evidenzia sostanzialmente l’inappartenenza. . . al suo tempo e al suo spazio. È questa estraneità che paradossalmente lo porta a osservare. . . con una diversa obiettività. Il poeta è un visionario e la sua visione scaturisce dall’acutezza dei sensi. . . Una sorta di delirio controllato.”, dice Loredana Savelli rispondendo alla domanda che le viene rivolta sulla questione a p.79.

      Ma c’è dell’altro che spinge a riflettere e dà della raccolta la formula precisa: perché intitolarla Quanti di poesia? Perché si vuole (lo sostiene il curatore ma è palpabile nei testi) stabilire una difficile - ma non per questo inattuabile - relazione tra poesia e scienza per mezzo del parallelismo del principio di indeterminazione applicabile nel campo della fisica come in quello della percezione, della visione e della parola che ne viene generata. I quanti, allora, che qui vengono considerati, simboleggiano quell’energia che si sviluppa intorno alle percezioni ed alle intuizioni del poeta e che, poi, si esplica sotto forma di scrittura.

      Dovrà, pertanto, apparire proponibile quella nuvola di probabilità che investe il lettore permettendogli di partecipare ad un tipo di comunicazione singolare ma pienamente autentica. Così, dalla stessa ci si sentirà avvolti scorrendo i versi de Il mio angelo di Franca Alaimo: “Ma una notte mi sveglio, / Sento - mi sorprendo - un suono / Celestiale, indosso la vestaglia / E a piedi nudi, in silenzio, cerco / Ogni nascondiglio. . . / . . . . / Possibile? Nel bagno? Là, / Dentro i tubi c’è tutto quell’ardore / . . . . / . . . Sarà caduto / Nella cisterna l’Angelo mio assetato. . .”. “Sono i quanti” - dirà ancora - che “D’improvviso mi mettono nella bocca porziuncole di luce, / Un lievito dolcissimo che gonfia il cuore e lo consacra: / Così sboccia la corolla dell’anima e la polvere cosmica / M’ingravida d’amore. . .”. Ed è sempre quella nuvola che Anna Belozorovitch mette in evidenza quando, in uno dei passi riportati, la immagina nel cielo: “E nubi illuminate da un sospiro / trattengono fino al capogiro / il fiato ultimo prima del nero / che lasceranno come polpi in fuga.”. Una difesa, dunque: ebbene sì, anche questo celarsi per esistere rappresentano i quanti di poesia.

      Salvatore Contessini sostiene che la sua ispirazione “deriva da un’energia prodotta dall’osservazione dell’ambiente esterno e dal mondo interiore” similmente ai salti quantici degli elettroni che producono luce laddove “prima era il buio” (“Ascolta la frequenza di Pangea / come se fosse suono primordiale / il canto che stride dalla mente / ora che forma / un’emissione di pensiero!”. L’idea eterea della nube quantica è ripresa da Francesco De Girolamo in chiave cosmica: “La poesia è nell’universo, forse, più che sulla terra, ma deve ricadere - asserisce - se non è sterile astrazione, sulle minuscole parti del creato. .” (“Sono io il tuo bambino / e tu la mia cometa / apparsa un giorno / benedetto di settembre / in cui il cielo volle / far cadere una nuvola d’oro / nel grigio del mondo.”).

      E se, per Eugenio Nastasi, il verso come il quanto di luce “dovrebbe giungere a illuminare fin dove è ancora l’amore a strapiombo dal cielo, lungo i frattali che perimetrano i continenti.”, per Giacomo Leronni “L’universo / scende in noi a svegliarci / a consegnare il fresco che ci spetta / prima del vuoto: / . . . . // Quando saremo finiti / finiti perfettamente / nell’inizio perpetuo // nella disgregazione serena / di Dio. . . // la febbre morderà tutto / . . . . // e mai saremo domi o sazi / la luce non ha cuciture / . . . . // la luce non ci deve nulla.”.

      Dopo l’immersione nella parola dei poeti che hanno dato vita alla felice realizzazione di un’iniziativa editoriale ed artistica (non si dimentichino gli scatti fotografici che accompagnano i testi) di sicura originalità, il lettore attento non potrà sottrarsi ad una considerazione: la poesia, questo linguaggio inusuale, questa condizione esistenziale, questa entità che non si lega a nessuna definizione, forse, davvero, è un quanto d’energia. E il lampo che, dalla stessa, prorompe a illuminare la notte del mondo.


 

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Leggi anche la recensione di Annamaria Vanalesti


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