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Non posso farci niente - La Voce

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Tutte le mattine esco di casa e vedo la scritta. «Calci e pugni sulla schiena tanto a noi non ci fai pena.» La violenza delle parole si mischia alla bruttura del palazzone, all'assedio della sporcizia, alle buche nella strada, alle macchine parcheggiate alla vaffanculo. Il degrado ha la capacità di penetrare le menti, ci si abitua a tutto. È tutto normale, nel fiume di foglie di platano e cartacce che inonda la strada.

 

Anche stamattina lo sguardo mi cade sui brutali ottonari. Reminiscenze carducciane, si vede. Non mi è mai piaciuto, Carducci, e non mi è mai piaciuta la violenza. Alzo le spalle, non posso farci niente. C'è una cosiddetta squadra antidegrado che dovrebbe avere il compito di ripulire le scritte, ma chi l'ha mai vista, qui?

 

Hanif mi viene incontro. Mi racconta di sua madre, in Bangladesh, che sta male e del fatto che il lavoro qui è poco e sempre più saltuario. Ma stamattina non ho nulla da dargli, nemmeno il solito sorriso. Alzo le spalle un'altra volta, non posso farci niente.

 

Eppure non è sempre stato così, c'è stato un tempo in cui pensavi di poter fare qualcosa, mi dice la voce dentro la mia testa. Di giorno in giorno si fa più petulante, più stridula. Quanto più la ignoro, tanto più si insinua nei miei pensieri.

 

«Cosa cazzo vuoi che faccia?» le chiedo con rabbia, ad alta voce. Una signora si gira, ma poi pensa che stia parlando al cellulare, così se ne va, alzando anche lei le spalle. Io non lo so, sono solo una voce, dice la voce, ma qualcosa si deve pur fare. «Facile per te parlare, che ti costa? Non sei tu che devi sbarcare il lunario, non sei tu che lavori in quel cazzo di call center a 800 euro al mese, con una laurea magistrale in antropologia culturale, non sei tu che ti devi confrontare ogni giorno con questo paese di merda che va in rovina.»

 

Parti allora, vattene in qualche paese civile o almeno, vivo. «La fai facile,» rispondo, ma lo so che ha ragione. Dovrei andarmene. Ma è che la depressione ti incatena, il muro delle impossibilità ti sembra invalicabile. «Lasciami in pace,» la imploro. Ma lei niente, non mi dà tregua, e insiste, insiste, insiste.

 

«E va bene, farò qualcosa, ecco!» urlo, scagliando i pugni contro il cielo. La gente intorno abbassa immediatamente gli occhi. Hanno imparato bene la lezione metropolitana: no eye contact, nessun contatto con gli occhi, non si sa mai chi potresti incontrare. C'è solo un cane che insiste a guardarmi. Chissà che penserà, poveraccio.

 

Questo è niente, dice la voce, niente. Non è stridula adesso, è pacata, sorda. Poi tace. D'improvviso, mi sento precipitare nel vuoto. Quel silenzio che si aggiunge a tutti gli altri mi sembra insopportabile. L'ho odiata con tutte le mie forze, quella voce, ma dio, come mi manca adesso. «Voce, torna, per favore,» sussurro. Ma non accade nulla.

 

Così, alzo le spalle. Non posso farci niente, dico.

 

 

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