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al testo di Gian Piero Stefanoni
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VIA FIORINO FIORINI - MUSICISTA (caduto alle fosse ardeatine)
I.
Capita spesso per Roma di incontrare tra giudici, atleti e località sconosciute, vie che ricordano le vittime delle fosse ardeatine.
Eppure anche loro avevano una professione, un mestiere, un’ora precisa al mattino e un rientro dato alla sera.
Ma non sono ricordati per questo.
Qualcuno li cercò nelle case, nelle strade, separandoli dai loro gesti di sempre, da quel solo pensiero per chi li attendeva.
Il loro nome però a volte ritorna insieme a qualcosa di familiare a qualcosa che ancora risuona.
Al maggiore dei carabinieri Ugo De Carolis, per esempio, è intitolata la via della Balduina dove i miei nonni abitavano.
Conosco via Manfredi Azzarita per la vicinanza alla scuola dove ho fatto il ginnasio. Sotto a quella collina sulla Cassia c’è ancora un maneggio ed è curiosopensando a quel capitano di cavalleria trucidato a vent’anni.
Pure, non stride la corsa che da quei campi si distende nel grido, c’è un incontro tra noi e quella vita rubata, una forza che si rivela nel salto là dove l’oltraggio fiorisce poi nella carne.
Così l’abbraccio dove ora la città rivive è anche la visione dei giorni che a loro mancarono e targa dopo targa, quelle strade, quelle piazze, quelle caserme, ci legano nel loro naturale scorrere alla violazione di ciò che fummo, al tradimento in quelle identità dell’intima sacralità del mondo.
Sacralità che invece a noi è stato dato di esprimere e nei cui echi i nostri talenti si specchiano.
Perché non furono solo massacro quegli uomini nel peso di un’umanità più dolente.
II.
Venivano da mondi diversi, avevano un lavoro e un età diversa in una geografia di tanti quartieri.
Una stele ne raccoglie cinquantasei in Via del banco di Santo Spirito dietro corso Vittorio, a un centinaio di metri dal ponte degli Angeli.
E’ in memoria delle vittime dei rioni Parione, Ponte, Campo Marzio e Regola.
Le loro occupazioni raccontano bene nella fatica il cuore e la vivacità di quei luoghi.
Componenti anche della stessa famiglia che persero insieme la vita, passando dal lavoro alla morte.
Genitori, fratelli, nipoti il cui cognome, in certi casi, fu metro per la condanna: i Di Segni, i Di Veroli, i Limentani, i Sonnino, per un totale di settantacinque ebrei inghiottiti dalle cave per la sola ed errata appartenenza religiosa.
Ciò che mi colpisce, poi, è che ad alcuni di loro sono state intitolate strade lontano dalle zone dove sono vissuti e cresciuti.
Tra questi l’avvocato Carlo Zaccagnini qui ricordato, il cui nome ora si leva a Tor de Cenci tra gli altri trucidati celebrati cosi nel quartiere.
O Enrico Mancini, ebanista della Garbatella, uno dei tanti non romani a legarsi per sempre al destino della città ed ora inciso per noi sulla Giustiniana direzione La Storta.
Venivano da Valle Aurelia, San Lorenzo, Prati, Centocelle, Tor Pignattara, Quadraro. Furono pianti al Salario, a La Storta, a Trastevere, Montesacro, Pietralata,Trionfale.
Appartenevano ad una lingua presente e chiara nel riconoscimento e nel corpo fermo di una stessa invariata sostanza.
Uomini, nella mattanza: a disperdere ogni sentenza.
III. (elegia della Cava)
Di quale città siamo figli, mi domando attraversandola; di quali fedeltà, di quali resti che ancora ci accompagnano se divisione poi è parola giusta a dire tempo, ove sua assenza, suo disinganno.
Anima provata che per più aperta luce si sparge, il respiro risalendo in un ritorno di luoghi e volti da una irraggelata fede, da una propria mai rigettata speranza.
Rigore e amore di chi ha in sé la sua terra e alla terra si offre, ingemmandola di quel solo possesso: disadorno e sgombro fervore che nell’incontro allo scambio ci affida, della cura spartendo l’affanno.
Ma ed è qui la forza o la pena che ne rivela o ne immiserisce il mistero, se l’ansia dal nulla trae ancora il suo miglior seme.
Ché seme vero è accompagnamento, non dispersione, in affermazione di una comune e ricomposta rinascita.
Ed ora, sola a te sopravvivi mentre chi bussa ha forse in sé la propria e la nostra salvezza, Roma che volgi al nuovo ma che del nuovo hai ancora lo spregio che misura i tuoi ragazzi all’offesa.
[ Nel 69° anniversario dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine - 24 marzo 1944 ]
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