Sappiamo che fu una la partenza: pozza di fuoco, bolla, fanghiglia, e che di là, per tempi immisurabili, venimmo ad essere pietra, serpe, ramo, quindi mente che attorce e che addormenta. Ora che un io mai sazio - esaltato da dubbi estremi, da foghe eccessive, dentro ogni gesto, dentro ogni tragitto sempre si sente condannato a morte: e resta il suo pensiero sovrastante, resta la sua inderogabile norma - quanto di tempo impiegherà quest’uomo, così tanto occupato da se stesso, a sentirsi a misura della foglia che spunta da una minuscola polla quindi si svolge come una ferita - per saziarsi di notti e di mattini e accogliere sul lucido panno l’uccelletto, la mosca, la farfalla - poi ingiallita staccarsi, accartocciarsi in un suo soffio breve e appagata disfare la sua cenere nel vento? [ La poesia è tratta da una raccolta inedita di Elio Pecora, ed è una anticipazione che lo stesso autore ha voluto donare a LaRecherche.it e a tutti i suoi lettori, come buon augurio per il nuovo anno. ]
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Antonio Aiello
- 17/05/2014 18:01:00
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"Versi tolti al futuro" ha dei passaggi "saggi", esistenziali e insieme lirici di grande eleganza ed intensità... complimenti!
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Domenico Morana
- 03/01/2013 20:12:00
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“L’uomo è un essere di transizione” scriveva chi non ha importanza che ricordi qui perché adesso non è che polvere. E come vento che spazza la polvere era ancora il messaggio lasciato da una mente che fin qui “attorce e che addormenta”. Così, il tempo necessario per una caduta definitiva, l’estinzione, o la trasformazione, il salto evolutivo patito e favorito “consapevolmente”, che a ogni modo riguarda l’intera specie umana, con l’unico attraversamento possibile: « Du corps par le corps avec le corps depuis le corps et jusqu’au corps ». Penso che il “farsi poesia” crei ossigeno, alimento d’amore perenne futuro, necessario a mantenere viva la fiamma, il centro caldo di tale salvifica consapevolezza. Grazie a Elio Pecora per la sua poesia e alla Redazione che ce l’ha proposta.
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Alessandra Ponticelli Conti
- 03/01/2013 18:27:00
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Splendida lirica che sintetizza la storia delluomo, evidenziandone la pochezza e la caducità. Colpisce, in una composizione di soli endecasillabi, il secondo verso che rappresenta una rottura rispetto allinsieme. E lesplosione dalla quale avrà inizio la faticosa storia dellumanità, in cammino per tempi lunghissimi, fino a raggiungere la condizione attuale. Luomo, immemore della storia passata, soffrirà per ritornare a essere ciò che è davvero: un semplice elemento della natura.
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Franca Alaimo
- 02/01/2013 17:49:00
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Un invito a immergersi in quel "destino" di vita e morte che è di tutte le cose create, nella consapevolezza che anche le qualità tipicamente umane sono dei prestiti temporanei di cui spesso non si fa buon uso, al punto che la brevissima esistenza di una foglia appare più "giusta" perché più ubbidiente, essa che fa da sosta e riparo a uccelletti, mosche e farfalle, essa che humilemente, come direbbe Francesco dAssisi, vive e humilemente muore. Un testo di filosofia lirica, limpido e profondo,la cui struttura ben equilibrata tra osservazione-meditazione-canto costituisce un esempio del compito sempre alto del poeta. Questa è per me, infatti, unautentica poesia dimpegno, di quellimpegno dentro il tempo in cui si vive e oltre il tempo in cui si vive che il poeta si assume rispondendo alle domande esistenziali più forti ed universali.
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Roberto Perrino
- 02/01/2013 10:19:00
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in questo sta tutta la stranezza e singolarità dellessere umano, è dentro il ciclo naturale e se ne sente estraneo, e non sarà mai foglia, né gatto: in altre parole, purtroppo per esso, è fuori dalleden, e qui è la fonte dellorgoglio e del tormento della propria condizione. grazie per questo assaggio di alta poesia allAutore ed alla Redazione.
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Giuliano
- 01/01/2013 17:55:00
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Colgo loccasione per ringraziare Elio Pecora, e con lui tutti gli autori della Recherche per lanno di belle/bellissime letture e auguro a tutti uno splendido 2013
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Roberto Maggiani
- 01/01/2013 17:48:00
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quanto di tempo impiegherà quest’uomo, così tanto occupato da se stesso, a sentirsi a misura della foglia
Una mia libera suggestione dalla lettura della poesia: Un richiamo alla partecipazione al creato, a sentirsi ancora parte di esso e al riproporzionarsi sulla misura di un tempo che alterna le stagioni e stacca la foglia e la libera, rendendola capace di sollevarsi in un vento ingestibile che è quello dellesistenza. Forse lauspicio di un ritorno allessenzialità della vita... e a ricordarci che siamo destinati alla cenere... ma pur sempre passando dalla venuta al mondo, dallorigine che ci accomuna e rende piacevole questo viaggio. In ogni caso grazie a Elio e carissimi auguri.
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Cristiana Fischer
- 01/01/2013 17:38:00
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"questuomo/così tanto occupato da se stesso" (ben rappresentato e in fondo angosciato) è anche solo un uomo, un sesso, che fa e disfa come unico protagonista rispetto alluccelletto la mosca e la farfalla, e non si immagina mancante perchè è uno e non sono due. Se sapesse che sono due (non uno +...) non ricorrerebbe a eccesso o esaltazione per coprire la mancanza che non nomina. Quanto di tempo impiegherà questuomo? I tempi sono maturi per la gran parte di mondo.
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Daniela Bonifazi
- 01/01/2013 09:45:00
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Un io mai sazio. È questa la verità! Un io che si esalta, che si lancia in imprese più grandi di lui, trasportato da eccessiva foga. La condanna a morte pesa su tutti, e diviene una costante nel pensiero, un peso nel cuore quando il tempo impietoso comincia a lanciare i suoi segnali. Forse è allora che l’uomo inizia a calarsi nei panni della foglia che, dopo lo splendore e la freschezza della sua giovane vita, esaltata dalle notti e dai mattini, si vedrà ingiallire e, accartocciata, diverrà cenere trasportata dal vento. Appagata? Sarebbe la sua fortuna e quella di ciascun essere umano: vivere intensamente e morire con la consapevolezza di avere avuto durante la propria esistenza qualcosa che resti nella memoria di altri “attori”. Che lo spettacolo continui! Grazie per i tuoi versi, Elio. Buon anno!
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Luciana Riommi Baldaccini
- 01/01/2013 02:49:00
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Difficile dire quanto tempo impiegherà luomo a liberarsi della sua hybris, e se mai ci riuscirà. Lunica cosa che sappiamo è che per farlo deve prima diventare "adulto". E tutti ci auguriamo che accada e che la poesia contribuisca a questo processo di crescita. Grazie!
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Cristina Bizzarri
- 01/01/2013 01:56:00
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Chissà se è stata proprio così la partenza, io non ne sono sicura. Stupenda poesia. Linvito a sentirsi foglia è evangelico e contiene la saggezza - e la buona ironia - dei vangeli. Auguri!
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Maria Musik
- 31/12/2012 22:31:00
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Un grazie ad Elio Pecora per il suo dono augurale, colmo di bellezza e di ricerca di senso.
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Domenico Alvino
- 31/12/2012 21:28:00
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Questa poesia di Pecora ben può valere come risposta a quell’idea pusillanime che ebbe il Montale di far lamento sul male di vivere, tormentone che ci angustia da metà secolo ormai . Credo se ne possa valutare la tempra di su un mio contributo di poc’anzi su Poetarum Silva, a commento di un testo di Andrea Accardi dal titolo Preghiera di fine anno ( e già me ne son venute rampogne). Quanto al testo qui offerto, si deve dire che la poesia vi opera traendo a fiore e mettendo a maraviglia quel miracolo che fu la storia della vita in generale e di quella in specie della bestia umana, che è bestia perché troppo di rado si avvede della sua fortuna d’essere scelto a vivere, perso com’è in interessi meschini e senza respiro. Altra operazione della poesia è quella di spalancare la vita come un succedersi interminabile di notti e mattini, onde col farsi certa l’idea che ad ogni notte segua puntuale un mattino, si appanna l’incubo angoscioso dell’avanzare inarrestabile verso l’ultimo colpo di pala. Oso porre qui a conferma una mia vecchia poesia, tanto più modesta quanto più puntigliosa e dettagliata.
La vita In eos qui rebus diffidunt.
Che poi volendo dire la vita è bella un empito se lasci fuori calosce e ombrelli tutti fuori della porta di casa della nostra casa ritrovata sulla collina alta piena di sole e vento. Questo piegarsi al ventre con l’orecchio avvinto ai rimùgini, ai colpi notturni, che bisogna scendere ad aprire spalancando porta e braccia all’ospite, lasciandolo entrare facendolo accomodare in salotto aperto già nei sorrisi. Tutto questo è bello come udire il canto sconosciuto nel mattino quando le cose finalmente calme nella luce quieta si posano in attesa delle altre ore. È bello rispondere al telefono che tutto si mette a ballare alla voce lieta, alla buona notizia che ricomincia la vita e tutto si rilucida e splende come a Pasqua, come nel varco della soglia la sposa. È bello prendere una mano rispondere profondamente ad uno sguardo profondo, baciare una donna ripensare con rinnovato amore ai genitori morti che hanno traversato la vita con fatica e bene o male ti hanno lanciato oltre loro. È bello prendersi dentro figli e i figli dei figli dicendo loro che li amiamo oltre l’ultima soglia oltre l’ultimo colpo di pala.
Domenico Alvino
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Loredana Savelli
- 31/12/2012 17:42:00
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Mi verrebbe da rispondere che questuomo, tanto occupato da se stesso, impiegherà un tempo simmetricamnete uguale per ritornare alla misura della foglia, immgino che si sia giunti al culmine della centralità dellumano e che siamo in procinto di intraprenere un percorso a ritroso fino a ritornare alla polla, alla fanghiglia, alla cenere. Penso che tale sia, e debba essere, il percorso del singolo nellarco della sua esitenza, dellumanità in generale e di tutta la creazione. Di certo un interrogativo epocale ed esistenziale. Una poesia che apre al futuro proprio nel tempo più denso di tutto lanno, unautentica domanda di senso, lasciamo che essa non ci colga nella banalità di festeggiamenti soltanto cronologici. Vivi complimenti allautore, in particolare per il suo stile conciso e diretto.
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wolf
- 31/12/2012 17:40:00
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semplicemente bellissima!
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Narda Fattori
- 31/12/2012 15:37:00
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Siamo certi che luomo è misura del mondo? Di se stesso certamente e quindi di reiventare/ ricreate lesistente, il visibile e di supporre linvisibile. Il corpo centrale della poesia, dopo i primi versi ampiamente lirici, si muovono sul terreno scosceso della denuncia e dellinvettiva. Peccato. I versi finali ripristinano il timbro iniziale. Laugurio non è consolatorio, ma non è questo che vogliamo. Ci basta la bellezza, larmonia. A tutta la redazione auguro di continuare a coltivare passioni. Narda
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Gian Maria Turi
- 31/12/2012 14:58:00
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Certo che un po di modestia cosmica non guasterebbe. Però la poesia inizia con un "sappiamo" - laddove invece, per davvero, non lo sappiamo. Lo supponiamo, nel migliore dei casi lo teorizziamo, ma di altro non si tratta che dellennesima muta di una hybris conoscitiva che si (re)incarna.
Buon anno a Elio Pecora, alla redazione della Recherche e a tutti i lettori!
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