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Pressioni

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Interessante lavoro questo di Luca Minola, trentacinquenne autore di Bergamo all'opera di conferma dopo l'esordio del 2012 con Il sentimento dei vitelli col quale vinse l'anno seguente il premio Maconi Giovani. In un versificare esatto nella misura di una lingua ben distesa tra geometrie del pensiero e spazi di luce e di luoghi nel loro affaccio ora rivelatorio e interrogante ora sfuggente, ci offre la riflessione di un tempo nella consegna di un enigma cui l'uomo sembra poter partecipare solo nella sua disponibilità a farsi imprimere nella sua accettazione, umile e dolorosa insieme, nell'incontro e scontro con altre forme, pressioni appunto, di attese, di eventi, di parola. Di luogo- e di luoghi- soprattutto, come detto, spazio immanente dove l'uomo è annunciato ma al tempo stesso trasceso, superato tra sconcerti e limiti, tra un crepitare e un senso più alto sulla cui soglia, come ben rivelato da Maurizio Cucchi nella prefazione, questa poesia non può che fermarsi. Case, volti, strade, abiti ci appaiono allora pervasi da un modellare di luci e ombre nel cui tramite la parola si lascia guidare e accompagnare come a farsi modellare anch'essa nel restituirsi ad una modalità di prossimità che sola può dirci- e dire- tra spaccature e sconfessioni, accenni ed assensi. Così è un dire molto novecentesco questo di Minola che ben sembra aver assimilato e in modo originale la lezioni dei maestri, pensiamo a Montale evidentemente nei riferimenti presenti ma anche a Giorgio De Chirico nella restituzione di città riportate alla fonte di un orizzonte sospeso ma allo stesso tempo nuovo, libero facendosi dalle proprie ricuciture sistema e radiante di luce. Così, gli "occhi macchiati di giorni,/di precise intenzioni", nulla è separabile da noi, tutto ci appartiene e resta nella fedeltà a saper procedere anche nella nebbia dove non c'è varco se non il proprio seguire "un armonioso e strisciato buio". Se la trama è il motore il piano del reale allora si rivela nell'aerea concretezza di una tensione che chiama ad espanderci ed in cui "forse la scelta è solo conoscere e nient'altro" nel tutto che passa e che non è mai uguale, e a cui consegnarsi. La descrizione che ne deriva in un movimento che forse rappresenta la forza vera del testo, è ancora, sempre molto pittorica nell'intento di silenzi che si riaffermano nell'essenzialità del procedere (ci vengono in mente Hopper e Morandi tra gli altri) tra domesticità di radio e d'interni e reliquie notturne di strade e di palazzi che sembrano confuse nell'apparente collidere dei traguardi, spente da funzioni. Come gli uccelli che "cercano di migliorare il cielo/ sulla zona addormentata" anche noi, per quanto possibile possiamo dabbasso modellare destini e strade, restando tra zone che si dicono al di là di noi e grazie a noi. Cosi "le cicatrici dei punti" della poesia omonima sono quegli "spazi aperti nelle frasi" dove è possibile raggiungerci ed in cui l'amore non ne è che il verbale ("Sarei il sogno a te presente/l'azzurro spinto al massimo,/e saprei che l'anima è certa"). Di qui, a metà testo, in "Pressioni" la sezione che dà titolo al testo, è il corpo ad evocare nelle sue rappresentazioni impressioni e suggestioni di un inalterabile vitalità che nell'estensione della sua energia andrà poi via via, soprattutto nelle sezioni a seguire "Materia" e "Le ritmiche delle gradazioni", ad affrontare e a riportare effrazioni ed ombre di un'epoca rigidamente composta in funzioni e finzioni di negazione ed in cui se tutto sembra spingere da un sottofondo in realtà a vincere è la consapevolezza del restar fuori ("case private del loro fuoco"). Eppure proprio qui nella sapienza di chi non si scompone ma permane dove la sostanza è scossa ("Osservo: battaglie nei cieli,/misure di contatto, pressioni dell'aria"), Minola ci lascia nella determinazione delle forme con l'affermazione di quella voglia più dura che resta l'aderenza delle labbra, come nella conferma della- e nella- continuità degli elementi in un desiderio che giammai è stanco di ripetersi.

 

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