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Scrivi un commento al testo di Gian Piero Stefanoni
Enciclopedia del far niente

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Proviene da uno spazio di resa ai margini, di magnifica resa alle dimensioni non ricattatorie, non espugnanti dell'esistenza la poesia di Luca Gamberini e in amore e descrizioni di luoghi e interiorità umane in dissolvenza colte nell'istante del loro piccolo sfacelo o della piccola grazia entro una scrittura a tratti debordante, tra lirica e prosa poetica, cui nello scetticismo di una vita cui non crede se non per brevi e pieghevoli tratti rende onore nella sospensione di una presenza, quella della morte, sempre sottesa e forse quasi bramata. E non è facile scioglierne criticamente il dettato, e forse non ne ha bisogno, non è giusto perché lo infinge e viene da sé nella non banalità di un trauma, di un dolore cui ora acceso ora radicalmente vinto si espone nella provocazione e nella dissacrazione delle infette dinamiche del mondo. Si è parlato a proposito del "male di vivere montaliano" ma questo non dice nulla, ne limita il discorso perché l'angoscia di Gamberini, se di angoscia poi si può parlare, è una condizione sua propria nella forma di una persecuzione che lo informa da dentro scavando ed estorcendo sottordini e splendidi quadri di negazione a fronte di una pratica attiva e di un quotidiano che non gli appartiene. Il suo è un cielo buio, di stagione fredda, ma non ossessivo, non pesante, quasi risolutivo e sollevante nel suo odore premonitorio, di penultima fine, cui solo gli animali e i bambini, con gli ultimi sanno esporsi senza patire "l'amore dei gesti", nella pazienza di un respiro che li sa, li crede eterni. Come la notte, che priva della luce, conforta perché non ascolta, non cede al pensiero e cancella il lamento perché non umana, non nostra. Ciò che tocchiamo infatti è un umano disgiungere, svellere, come l'amore qui nel contrasto di copioni in quanto tali mai risolutivi o come la poesia nei poeti stessi- e in chi ne scrive- casta sprecata "nel trasformare il bambino/ in un giorno di pioggia". Ma non millanta crediti Luca nel seno di uomini e avi per una storia suicida, non gli interessa (anche perché la poesia non fa tornare bambini, "da una poesia si nasce già vecchi") sapendo distendere nell'assenza- e nella deriva- del senso il senso la forza di una scrittura che non fa sconti e il cui paesaggio è anche nella dolcezza di disappartenenze senza metafisiche, che non trascendono (nella consapevolezza che il solo Dio che esiste è in chi non l'ha) il cui bene, forse, è nella consapevolezza di una solitudine che si combatte con la solitudine, nella ferita non sanata ma esposta nel sangue che deraglia. Un po' troppo nero? Non sappiamo dire, qualche dubbio su di noi lo ha lasciato. Grazie.

 

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