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Le trincee del grembo, Dodici prove dautore al femminile

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(a tutte le madri, 8 maggio 2014)

 

Tre sono i fili conduttori che accomunano le liriche di queste dodici poete contemporanee dedicate alla maternità.
Il legame simbiotico tra madre-figlio, che si manifesta nei suoi chiaroscuri e nelle estese sfaccettature del vissuto e del ricordo.
L’energia dell’amore vero e incondizionato, che mai si ritrae, che non si divide ma si moltiplica.
Il senso del mistero che non lo rende mai scontato, ma sempre in movimento, in evoluzione, con alti e bassi, incomprensioni e ricadute, speranze e paure, i mille abbracci non dati – a volte – e le parole non dette.
Buona lettura.

Teresa Anna Biccai
Maria Pina Ciancio

 

La plaquette d'arte "Le trincee del grembo" è stata realizzata in formato artigianale e in tiratura limitata in occasione della festa della mamma duemilaquattordici a cura dall'Associazione Culturale LucaniArt. Ospita al suo interno poesie delle poete contemporanee Eleonora Bellini, Maria Pina Ciancio, Fernanada Ferraresso, Monia Gaita, Gabriella Gianfelici, Antonietta Gnerre, Gina Labriola, Maria Luigia Longo, Marina Minet, Elina Miticocchio, Met Sambiase, Rosa Salvia.

Di seguito, una delle poesie contenute nel  libretto, della scrittrice lucana Gina Labriola (Bari 1931- Marsiglia 2011).

 

*

 

L'UOVO di Gina Labriola

 

Mia madre
era una grossa tartaruga millenaria.

 

Sul suo guscio
diviso a quadrati
erano scritte storie d'amore
in caratteri cufici,
geroglifici, cirillici, latini,
in ebraico in arabo in cinese.
Tante storie forse tutte uguali
d’amanti morti o abbandonati
ma solo un uovo,
un grande uovo bianco,
io,
depositato sull'arena.

 

Ora sull'arena
hanno costruito una città.

 

Chiusa nel mio bianco,
così fragile,
vado rotolando per le vie
tra le gambe dei cani sull'asfalto
tra i tubi di scappamento,
e aspetto di nascere,
al sole che va e che viene,
chiusa nella mia caparbia
interezza solitaria,
io,
creatura di tante
storie d'amore tutte uguali
raccontate in geroglifici
in arabo, in cinese
sul guscio di mia madre.

 

(da "In uno specchio la Fenice", pag 17)

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