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Lalba dei papaveri

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C'è un'intensità di sguardi e di affondi nella vita sospesa delle cose e di sé, in un reciproco dirsi, in un reciproco svelarsi che rende particolarmente caro questo esordio della Biagioli Spadi, quarantenne operatrice culturale toscana. Diremmo una sensualità del sentire che tende all'apertura come è naturale ma che pure come è altrettanto naturale, nella tensione dell' incontro, vive di ritrosie ed ombre, di sottoesposizioni, di piccole ferite che la luce più che guarire può ulteriormente allargare o tutt'al più, nel bene di una scrittura che non ammette infingimenti, dar voce. Cosa sono allora tutti questi petali che traboccano desiderio, questa richiesta negli elementi del sole, di un respiro chiaro, non offuscato , della terra al cielo cui nel riconoscimento o nella proiezione verso cui nel fremito delle congiunzioni teneramente ogni piccolo verso sospinge, se non il fremito delle fecondità possibili, dell'amore dunque nell'identità dovuta? La suggestione di questa poesia così è tutta in un pudore di interrogazione che ha dapprima in sé nella direzione dell'uscita la freschezza di uno spirito verso una terra che non la invalga, di una grazia raccolta e preservata nella fragilità della propria, personale bellezza e di qui poi sprigionata entro quel giallo del sogno e della speranza finalmente liberate da quel centro nero cui ogni vita nel suo essere rosa sa nel destino la spina. Abbiamo usato di proposito questa immagine da "Speranza" poiché la più esemplificativa in tal senso del dettato profondo di una visione fortemente intrisa dallo scandaglio di un cuore che sa di sé, rimestato ancora da un passato che come in ognuno si riaffaccia e tenta, la gemma di una zolla che non ha altro destino se non nel taglio delle resistenze e dunque nell'abbraccio. L'animo, o l'anima, che la muove è di una imprudente, meravigliata coraggiosa tenerezza che fino alla fine ci confonde, tra timori e appelli di germoglio, tra lucidi rischi del pensiero e suoi smarrimenti, nell'orizzonte di una dischiusa femminilità che proprio in questo già si compie consegnata e unita al mistero d'ogni creaturalità nel grido delle proprie affermate aspirazioni. Non altrimenti, è un percorso doloroso, certo, nel respiro di un amore ("l'inizio di tutto") forte a partire dalle assenze, nella veglia delle distese promesse e inseguite anche qui sullo sfondo di una partecipata attrazione delle cose e degli esseri che si cercano, di un paesaggio e di una condizione quindi nel dialogo di personali e reciproche risonanze (si veda ad esempio quello con la notte per cui "è difficile essere donna,/difficile essere madre,/immenso bacino di vita"). L'altro, l'amato, così non può che divenire canto al sole che nasce, pronta alla sequela e alla semina di donna scrostata e rinverdita nella fedeltà ad un sentire in cui, a differenza degli angeli, "Tutto è nell'ora dell'esistere qui". Un canto dell'esistenza piena che ha nell'uso finalmente prorompente del colore il tratto dominante (non a caso la Biagioli Spadi è anche pittrice), il rosso soprattutto ("pietra che brilla nascosta/ splende nell'organo di vita pulsante/non sa di un gelo che stermina/ i fiori e li spezza") mischiato al chiaroscuro del desiderio e della memoria, grimaldello privilegiato di ricomposizioni e scardinamenti, luogo del perdono a saperla ascoltare la terra traboccando ed assolvendo alle radici. Di qui dunque quella spinta, quel demone gentile che insorge continuamente alla naturalità della vita e che ha nel silenzio la conversione perfetta, il ritorno originario di linfa, di più pur nel trapasso il suo "celeste assorto ammirare" (come di Maria, ne "La Pietà", il figlio tra le ginocchia deposto). L'oro, che sa di noi e nell'incertezza del tempo non sappiamo scorgere, è allora nel "fondale addormentato" di sé dimenticati, di uno spirito che risalendo dal basso sa muovere all'incontro senza perdersi tra i rimpianti e gli inciampi delle proprie ombre. Oro che giocando sull'assunto di un suo verso è proprio nel mondo davvero dato, ancora, solo nel non tradimento del giorno che viene dall'amore, il suo sapore tutto nel tocco di lui, "scintilla infinita", "albero di me aperto nella notte" a saturare "l'aria ovunque" ma in cui pure, appunto, voltati gli occhi "tutto naufraga/e tutto è riscommesso". Fedele a un'idea di poesia come canto di memorie e di insonnie di questo si nutre nella suggestione delle evocazioni e delle assenze entro una parola non privata a scioglierla finalmente, "infinita/sull'infinito senso del sentire", nell'ora dello sbocciare e del sorridere. Qui però a ben dire non sempre l'efficacia del verso accompagna degnamente l'intenzione, ripagando con stonature il dettato (non sappiamo se per mancanza di controllo o di strumenti) in un difetto di costanza che sovente abbiamo riscontrato in più autori (anche se nel caso della Biagioli Spada non incide più di tanto nella sostanza di una base forte nell'essenzialità dello spirito). In conclusione un testo ma soprattutto un'autrice ricca di grazia e a cui auguriamo l'agognato sposalizio, quell'alba della memoria e del frutto, allora, in piena liberazione.

 

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