Franca Alaimo
- 11/06/2013 22:17:00
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Sì, è vero quello che dice Loredana: lultima fra le tre poesie presentate è la più carica, la più più forte. Raccontare lesperienza della droga è sempre difficile perché in qualche modo le parole si sottraggono alle esperienze in cui il reale si eclissa: così è per le esperienze mistiche come per quelle che comunque hanno a che fare con particolari dimensioni esistenziali e psichiche. Lautrice ha raggiunto il suo scopo non attraverso la frantumazione della realtà, ma attraverso una sua osservazione obliqua e un suo allontanamento progressivo dal proprio mondo psichico. Algida e suggestiva, nel primo testo, la caduta della neve osservata da un luogo posto molto in alto (un ventunesimo piano), per cui si fa vicinissimo il buio del cielo e si allontana la città fino a sembrare un giocattolo assurdo con le sue macchine e le luci gialle. Negli altri due il linguaggio si tiene vicino alla metamorfosi del corpo, imbruttito e alleggerito, prossimo alla cancellazione, se non fosse per quella reazione abnorme della volontà di sfidare la morte che è un topos dello stato dei drogati. Qualcosa di simile al digiuno dei santi nel deserto, ma per questultimi si tratta di dilatare lanima e Dio, per i drogati di dilatare il proprio io come pura risorsa. Bella scrittura, efficace, asciutta e coraggiosa.
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