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Cantami cose di terra

Poesia

Alessia Fava
LietoColle

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 15/07/2016 12:00:00

 

Alla sua seconda prova poetica Alessia Fava, quarantenne giornalista e traduttrice romana, ci offre nel canto di vita per il figlio appena nato il segno di una maternità innamorata, gioiosa (come non dovrebbe essere diversamente...) e al tempo stesso naturalmente tesa, nel senso di tensione e accompagnamento della nuova creatura nei cui riflessi la donna e la madre si vede crescere e morire ogni giorno. La scansione dunque, nella struttura delle tre sezioni di cui il libro si compone, è quella diaristica andando a definirsi in quella forma che a buon ragione Silvio Raffo nell'introduzione definisce Canzoniere, sottolineandone nel caso la singolarità storicamente il genere prestandosi a lodi di innamorati e d'amanti o, seppur con minore frequenza, di rivolgimenti di figli alle madri. Così qui la scrittura persegue nel dirsi il racconto di un rovesciamento, o per essere esatti, di più rovesciamenti. Infatti il movimento non è verso l'unione come tra individui che si cercano ma verso il distacco nella ridefinizione che segue del legame stesso; in questo, di più, nella rotazione mutati gli ordini, essendo ora lei ("Costellazione girovaga per esserti cielo sicuro") a girare attorno al figlio ("Piegata sul tuo orizzonte"). Nell'intima continuità dei riflessi ( "Dedizione tremula questo fulgido sapore") lo stesso dolcissimo sussurro "tu hai aperto gli occhi/ nelle mie mani" racchiude allora insieme anche l'esatta consapevolezza del suo opposto: giacché mi hai aperto gli occhi nelle tue mani, aggiungiamo noi, pare sentire nella conferma dei versi che verranno. Per il gioco dei sensi e del tatto passa allora una nuova, reciproca aderenza, una relazione nella terra- e con la terra- in un confine che seppure incerto incalza al più eretto desiderio di vita nella fertilità di anime che combaciano, carne ognuna della storia dell'altra. Ma se il riferimento alla terra è esplicito fin dal titolo, il dialogo in realtà procede in direzione del cielo, essendo il cielo- nel senso di passo e di giorno, di giorni verso cui procedere, di latitudini che volgeranno a separazioni, a scenari non più condivisi- il teatro di uno sgomento e di una meravigliata grazia che volge a uno stentato equilibrio ("grembo al margine / della tua lingua per sempre") . Nel sentore che nulla lo tratterrà, sulla soglia " della bocca eterna dalle braccia spalancate", l'apprendimento nell'apprendimento comune è connesso al reinventarsi al tempo, in una vicinanza che nella preghiera si fa invito a restarle cucito ai giorni, a caderle "ancora più dentro" giacché é "dal volto alle dita il senso rotondo, il viaggio", "eretto in questa mia stanza d'ambra". Ogni giorno appare dunque come una nuova nascita, una nuova gravidanza in una veglia continua di accompagnamento e comprensione (come a ricordare ancora la prima attesa:"non sei ancora qui nell'ovale di braccia/ tra le mani congiunte in capovolta preghiera,/(...)//ma la finestra azzurra dice il tuo nome; arriverai col verbo delle camelie"). Ed è proprio qui che il canto si fa più rarefatto e insieme più concreto giungendo ad esiti altissimi tra interrogazioni su quanto possa esser suo il corpo che guarda, le mani nel contatto a mantenere la purezza e la favola: "le ginocchia in preghiera/ saziano il fiato fin sopra la lingua/ così non avrai più paura// carne di giglio fiorisce carne:/ meta di te, specchio d'ali". Nei limiti di "traiettorie inesatte" nel "moto necessario", nella dolente coscienza di una diga destinata alla resa "pei cieli che non ci appartengono" entro un orientamento che sembra mancare, ecco però fiorire la forza che viene dal sapere della sua presenza comunque, nella certezza nel cuore di un posto in cui attingere: "una casa senza/ porte dove il pane fumante/ scrive piccole salvezze/ incarna sorrisi sulle ossa". Sì una presenza in lei come ricreazione costante anche per l'orizzonte eterno del tempo a venire che nei versi dei testi finali scorre nel segno dell'acqua, primo elemento di vita e simbolo dello scorrere e del restare anche nel corpo e nella sua memoria "a ricercare/ il punto fermo, il parto necessario/un giusto esilio in forme silenziose/ che lascino, infine, la traccia delle nuvole" in un mutamento, in un passaggio a dire del corpo stesso l'estrema, nuda fedeltà. Non dobbiamo aggiungere di più su una poesia che si compie per evocazioni, dove i paesaggi (del cuore e degli occhi) sovente convergono; semplicemente lo raccomandiamo vivamente nella benedizione di uno dei passaggi centrali, nella custodia e nella riconoscenza di vite che si amano: "Piena di nutrimento, mi hai lavato via il buio/ viaggiandoci dentro, terrena nelle gambe/ la notte si sfrangia: io ho ora le mie luci".

 

 


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