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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Fatti deprecabili

Poesia

Caterina Davinio (Biografia)
ArteMuse

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 09/09/2016 12:00:00

 

Ci siamo già occupati della scrittura di Caterina Davinio a proposito de "Il libro dell'oppio", testo recuperato da un diario all'epoca per gran parte inedito ed ora in toto pubblicato da ArteMuse in questo "Fatti deprecabili" nella struttura cronologica di cinque testi che vanno a raccontare un periodo lunghissimo della vita dell'autrice andando dal 1971 al 1996. Così immergersi nella Davinio, leggerla, scontrarsi ed incontrarsi con la sua poesia è anche occasione di riflettere su se stessi e su dinamiche di realtà sociali e culturali e personali strettamente connesse ad un'epoca o per meglio dire più epoche, nell'intreccio di destini e ricordi qui raccontati, sul bordo dell'esplosione e del rigetto incandescente di sé e di un mondo subìto e avvertito come concluso, malato, violento nella sua autoreferenzialità di dominio. L'itinerario allora è presto detto dai sommovimenti e le esplosive inquietudini degli anni settanta fino al contrappunto al silenzio del riflusso e le sclerotiche, noiose indifferenze di derive- e poetiche- evanescenti. La composizione del libro infatti è già racconto: Il libro dei sogni (1971-1976), Il libro del disordine (1977-86), Libro mistico (1987-89), Libro del caos e del risveglio (1990-1993), Fuori testo (1994-96). Ma quello che più preme sottolineare adesso è l'arco di un'anima nella lotta e nell'abbraccio con se stessa fino alla spinta omicida e suicida dei propri slanci, dei propri rivolgimenti, delle proprie istanze di visione. Piccola Caterina nella meraviglia e nella protezione orgogliosa dello scoprirsi e dell'inventarsi nel rifiuto che questa ed ogni bellezza sia un delitto, già nel suo primo libro (che ricordiamo è quello dei sogni) alla ricerca di un Dio di qualche specie, adolescente curiosa e ribelle nella corporeità libera di se stessa. Storia che diparte da una precocissima dote di appartenenza al reale e di sua osservazione, nella sua oscillazione tra calore e tensione, tra riconoscimento familiare e refrattarietà, di natura e città nelle disarmonie connesse e disarticolate a uno spirito in formazione cui per temperamento e per età una certa angoscia e solitudine di scarto, di un sentirsi sempre fuori posto , inizia ad affacciarsi nel suo ringhio feroce. La reazione allora è nell' orgoglio di una parola seppur acerba che nel comporsi si rimonta nelle autoriflessioni di una coscienza che intuisce, sa, ha nella scommessa dell'amicizia e dell'amore la sua riscrittura e la sua partecipazione feconda. In una lingua da subito valida nei suoi presentimenti ed anche degli inganni del cuore ("Il mio amore è senza pensieri/ bello come una bambola/di cartapesta/ dai colori delicati./ Sorride, non pensa mai/ è una tenda a fiori/ non un prato") ecco la sua ricerca e il suo coraggio "perché seguirò tutti i miei sogni fino in fondo", nella consapevolezza del rischio di perdersi nella necessità del viaggio, l'eroina iniziando a mordere tra notte di concerti e albe, tra primi sentori d'artista. Orizzonte, presenza, morte poi che sono al centro de Il libro del disordine nella distesa di giorni orgogliosamente abbracciati tra facoltà occupate e riti studenteschi, tra marginalità e contestazioni, peregrinazioni collettive e rurali tentativi di vita sempre però nel segno appunto di una idealità gioiosamente e drammaticamente in comune ("E si può anche amare la solitudine/ ma essere soli è quasi sempre essere vili"). L'anno del discrimine, all'albore del punk, il 1977, "l'anno della rivoluzione lasciata a metà", delle frequentazioni dell'autonomia operaia e della morte di Giorgiana Masi, e delle ore perse a cercare fantasmi tra paura della quotidianità che uccide e il rigetto dei cari in canto di desideri e sazietà di richiamo. Ed ancora in un periodo dove i ricordi si affastellano nell'intensità di un lunghissimo pericoloso e solidale istante la seduzione dei pusher, la marginalità di tutti i confini tra discoteche e trasporto di armi (nel rischio di "mille anni di morte,/il carcere,/la vita,/di piccolo uccello che vuole volare") ma anche il pianto sui gradini di una immensa Roma dei meandri nella notte coatta ("Vorrei dire che oltre le nostre/ povere vite c'era un destino, /una rabbia segnata,/una piccola speranza di folli"). Tutto questo in una scrittura densa, corposa, lucidamente viva nell'abisso di una bellezza di riparo, di sconfinamento sempre nella fedeltà ai propri patti di salvaguardia e riconoscimento. Che sembrano non salvare però se già nella figura del suicida a conclusione di testo la Davinio pare proiettare una parte di sé nella propria solitudine "di bestia ferita a tradimento" e se soprattutto nell'opera che segue, Libro mistico (che copre il periodo 1987-89), è il racconto della follia a farsi fulcro di una scrittura testimone del rischio di una disintegrazione definitiva a cui sembra non bastare più uno sguardo di compenetrazione fuori da se stessa,di una natura che pure ripete i suoi piccoli miracoli di creazione. Sulla via iniziale di interrogazioni sulla famiglia e sulle figure dei non nati che sembrano farsi amaro paradigma della condizione umana ("non saranno/ seme doloroso della terra,/ non saranno messe") i brani tendono ad un'essenzialità di pochi versi all'ombra di una consapevolezza di qualcosa che manca, di irraggiungibile forse perché "solo il corpo si lascia narrare", il corpo il veicolo del pensiero, dal corpo la luce cercata, non liberata ("mi spaventò/come l'apparire di Dio/ e mi fece svanire,/ ardere nel fuoco , / me, impuro simbolo / di purezza " ). Qui dicevamo la follia, e gli strumenti di una liberazione operata anche per la via dei farmaci dalla "violenza mostrata dell'infinito", insieme ad uno scontro ed un incontro con un Dio a cui cedere "nella fede/come un uccello ferito" dopo averne tentato un'entrata di distruzione seppure, con slanci e parole audacissime, nella visione della propria morte sembra consegnarci per un attimo la visione della morte stessa di Dio. Che però resta presente e vicino (anche se a tratti sogghignante- e nell'affondo delle unghie) restituendole nella lotta col male ("la mente dispersa e spaventata,/la mia generazione corrotta,/contaminata,/degenerata") la consapevolezza che "tra il creatore/ e la creatura/ il legame è fitto,/l'intreccio/infinito,/lo sposalizio inestinguibile" anche in un randagismo che nel Libro seguente- del caos e del risveglio- il quarto (che dunque va dal 1990 fino al 1993)- di nuovo prenderà il sopravvento. Qui tra nuovi flash di metropoli che vanno cambiando e una realtà che appare sempre più indefinibile se non incomprensibile nel suo sospetto di inconsistenza il racconto non può che può esser nel tramite di una lingua che si fa più irriverente, giocosa e divertita come per reazione, annodata e poi snodata da se stessa nel tentativo di liberarsi e viversi finalmente da una polimorfia priva di senso. A dire il vero qui il risultato non sempre come in passato riesce a coinvolgere, almeno non pienamente per un eccesso appunto di ricerca linguistica e intellettualità del dettato che più di una volta ne frena la spinta- pur forte, pur incalzante- rendendola al cuore, e all'orecchio, meno naturale in un montaggio e smontaggio però mai banale secondo un' incisione vicino a modalità di nuovi media (molti di questi testi non a caso nascono per svilupparsi in "performances multimediali e poemi più lunghi recitati in letture pubbliche e in teatri " ) . Chiudono infine a segnare questo lunghissimo percorso pochi brani dell'ultimo libro, come detto dal titolo, Fuori testo e che coprono il periodo a seguire di due anni, dal 1994 al 1996. In conclusione "Libro dei propri fiori del male degli errori, del disordine, dell'impossibilità del menestrello di essere normale", come l'autrice stessa (della quale ricordiamo la poliedricità tra poesia e multimedialità con attività espositiva, convegnistica e curatoriale in diverse parti del mondo) ricorda nella presentazione, ma per questo nella "deprecabilità" di fatti, "di gesti liberi e profondamente umani" (rifacendoci alle parole di Ivano Mugnaini nella postfazione) libro per certi versi necessario, naturalmente non solo all'autrice, nella direzione di un'esistenza mai di scarto, mai passiva alla ricerca di quel senso di pienezza e d'abbandono che le spetta e anticamente, nella chiarezza che è dei bambini, intravista e poi deturpata, rubata, svilita non solo da se stessi. E della cui limpidezza ha voluto e vuole farsi cantrice, mai del suo sfregio - nell' asservimento- complice.

 


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