INDIANI Dì'AMERICA... LA "GRANDE VISIONE"
A narrare la storia degli Indiani d'America sono state la penna e la cinepresa del vincitore: l'uomo bianco. Prima descrivendoli come un'orda di selvaggi all'inseguimento dei carri dei coloni, astuti, infidi, crudeli, valorosi in battaglia, incuranti del dolore e poi, confezionando un mito nuovo e su misura: quello del nobile, perseguitato e coraggioso cavaliere della prateria.
Un tentativo, quest'ultimo, che non assolve l'uomo bianco dalla colpa di aver portato quasi all'estinzione un popolo e non cancella certi eccessi dell'altra parte.
In realtà, salvo pochi casi di ricerche e studi seri, lo si è fatto piuttosto per motivi folkloristici e per acquietare la coscienza
Farne un mito, dopo averli rinchiusi nelle riserve, non ha giovato, però, ai "nativi" d'America, i quali, è soltanto da poco che hanno visto riconosciuto (almeno sulla carta) i propri diritti.
Il merito di ciò va anche a quei pochi, studiosi e ricercatori seri, che sono riusciti a riportare a dimensione umana la loro Storia ed i molteplici e complessi aspetti della loro cultura.
Per gli Indiani d'America la Religione era una componente importante della vita; la ricerca della "Grande Visione" e la Comunione con gli Spiriti, ne costituivano l'essenza più profonda.
Per raggiungere gli Spiriti i mezzi erano i Sogni e le Visioni. Sogni spontanei, meno frequenti e più apprezzati, ma anche Visioni indotte e procurate, che una psicologia semplice ed elementare aiutava nell'interpretazione.
Erano soprattutto i più giovani e i guerrieri a procurarsi Visioni che li aiutassero nelle battaglie e nei riti iniziatici per entrare nell'età adulta.
Spesso bastava una sola Visione importante per condizionare una vita. Come quella che si procurò prima della battaglia il capo dei Sioux, Toro Seduto, artefice della disfatta del 7° Cavalleria di Caster, nel corso della quale "vide" la disfatta dell'avversario.
Avere una Visione accresceva prestigio in seno alla tribù e facilitava ogni tipo di attività all'interno della collettività.
Le prove a cui sottoporsi, dopo aver digiunato e pregato, erano durissime e quasi masochiste: al limite della sopportazine. Dovevano trascorrere notti e notti all'addiaccio in zone impervie, pericolose e spaventevoli o calarsi in acque gelide durante l'inverno o anche trafiggersi le carni con le spine e altro ancora.
Ogni tribù aveva i suoi metodi per sollecitare sogni ed allucinazioni e una volta l'anno, a metà inverno, la tribù intera si riuniva per una "visione collettiva".
"Festa dei Sogni" era chiamata o anche "Danza degli Spiriti"
La più spettacolare e dolorosa era senza dubbio quella del popolo dei Sioux, conosciuta con il nome di "Danza del Sole" che guadagnò alla tribù il titolo di Cacciatori di Visioni.
Era una cerimonia suggestiva e complessa, oltre che assai dolorosa. Iniziava con una danza riservata alle sole donne, durante la quale veniva scelta la vergine che doveva tagliare l'albero che sarebbe serviro da Palo durante la Cerimonia.
Dopo giorni di digiuno, preghiere e purificazione, i guerrieri si sottoponevano alla tortura del Palo: lance dalla punta affilatissima conficcate nei muscoli del petto e assicurate con conghie a pali distanti una ventina di piedi l'uno dall'altro. Se il guerriero riusciva a liberarsi da solo da quella tortura, acquisiva grande prestigio non soltanto in seno alla tribù, ma anche presso gli altri popoli.
Cinema e letteratura si sono serviti di questo rituale per aumentare il numero di lettori e spettatori senza però, riuscire a coglierne il significato più profondo.