“D’aria e di terra” è una raccolta di brevi prose dall’intensa valenza poetica: evidentemente per Viviane Ciampi, che ne è l’autrice, i generi letterari sono da considerarsi fisionomie linguistiche tra loro non disgiunte.
Così, ad esempio, la sequenza
“Chiama la gioia abbraccia il silenzio incolla i
cocci della parola senza orpelli costruisci una storia lontana dalle
fiamme delle guerre tra cani. Qualcosa. La riparazione. Un’ipotesi.”
rende chiara testimonianza di come chiedersi che cosa sia prosa e che cosa sia poesia nasconda un rischio di fraintendimento.
Meglio domandarsi, invece, quando diciamo (o pensiamo) di trovarci a contatto con un brano di prosa o uno di poesia.
Particella disgiuntiva, quella “o”, che, nel caso in esame, appare ingiustificata poiché i due generi vivono l’uno nell’altro.
Forma e contenuto, parola e significato divengono ampio e diffuso senso, fecondo suggerimento di un indicibile al quale consapevoli cenni possono in qualche modo riferirsi.
Suggerimento, certo, perché quel quid che, a ben vedere, non abita oltre ma dentro la lingua, quel quid non assoggettabile ad alcuna grammatica, può tuttavia essere avvertito quale assidua presenza.
La pronuncia
“E improvvisammo la forma del
tempo e la freccia del tempo e il senso e la fortuna e
c’improvvisammo noi da soli danzatori sulla scacchiera”,
con il suo incipit dal sapore espressionista, mostra che il suddetto suggerire per cenni, assimilabile al gesto, costituisce un’importante modalità espressiva del e nel mondo.
Un mondo di cui, ovviamente, fa parte la stessa autrice: Viviane, lungi dal chiamarsi fuori, dall’osservare da lontano, si colloca ben dentro, si scopre fatta “D’aria e di terra”, riconoscendosi non in una fusione generica con quanto la circonda, bensì nelle vivide collocazioni in cui viene di volta in volta a trovarsi.
Il suo dire, insomma, è già essere.
Domande quali
“Chi interroga le galassie e tanto lo
sa che non rispondono? Chi accetta le mezze verità? Chi ha
messo ortiche nei sogni?”
non pretendono risposta, poiché, cosmiche ed esistenziali, sono consce della loro natura di fruttuoso atteggiamento.
Un brano musicale, certo, è composto dalle singole note tracciate sul pentagramma, nondimeno la melodia che ascoltiamo è quella scrittura con qualcosa in più.
Così le parole di Viviane superano la loro mera valenza identificativa e, lungi dal combinarsi in accostamenti sterili, rivelano come gli esseri umani partecipino, in maniera precipua del continuo farsi (e modificarsi) di costellazioni espressive.
Non è facile, davvero, scrivere la vita: la nostra autrice ci riesce per via di una scrittura semplice e, nello stesso tempo, complessa, frammentaria eppure completa, integra.
E nemmeno è facile fotografare il mondo, come fa Lino Cannizzaro con la sua copertina.