Soltanto una vita, romanzo di Ninnj Di Stefano Busà
a cura di Floriano Romboli
Non può che suscitare interesse la prima prova narrativa di Ninnj Di Stefano Busà, poetessa molto conosciuta e apprezzata per le numerose raccolte di versi pubblicate nel tempo con vivo consenso dei critici e del vasto pubblico dei lettori; e il romanzo Soltanto una vita, apparso nel febbraio scorso per i tipi della Kairòs Edizioni di Napoli, si rivela un’opera compatta, stilisticamente coerente, scritta con sofferta, intensa partecipazione etico-sentimentale perché concepita sul fondamento di convinzioni ideali salde e profonde.
Il nuovo lavoro, ambientato in Argentina e in un contesto sociale alto-borghese, essenziale e lineare nella sua fisionomia strutturale-organizzativa, non è d’altronde privo di suggestioni poetiche, giacché l’elaborazione romanzesca si anima sovente di accensioni liriche, innanzitutto di fronte allo spettacolo entusiasmante e irresistibile offerto dalla natura:
“Il panorama dal golfo è mozzafiato: un mattino di settembre inoltrato, in cui la luna sparisce dall’orizzonte ancora assonnato, una rada nebbiolina penetra nei respiri sottili e affannosi dell’estate appena trascorsa, che sta già obbligando le foglie e le chiome degli alberi a tramutarsi in giallo ocra e arancio. Si avverte nell’aria un tremore smarrito di teneri singulti,…quasi uno stupore commovente e tenero, un languore malinconico, una sorta di addio all’estate che già si allontana a piccoli passi, lasciando nell’animo una nostalgia di fondo inesprimibile “(p.37)
Le stesse vibrazioni lirico-meditative ricorrono nel testo allorché l’autrice considera la vicenda umana, la storia intima degli individui, attraversata contraddittoriamente da una spiccata aspirazione alla felicità e quindi da un insopprimibile desiderio di auto-realizzazione personale, e dall’amara esperienza della delusione provocata dai numerosi ostacoli, dalle tante difficoltà materiali e spirituali che costellano la quotidianità di ognuno.
Se l’equilibrio naturale può essere sconvolto dall’uragano, come si racconta proprio all’inizio (“ L’oceano si apre improvvisamente, come una valva sul fondale lussureggiante di un’immensa esplosione di luce (…) e pur tuttavia l’amabile dolcezza di quel tratto d’insenatura stupendo, situato sul litorale atlantico…oggi appare devastato, almeno in parte, martoriato dal ciclone che si è abbattuto con furia sterminatrice”, pp.12-13), pure la stabilità interiore della protagonista, Julie Lopez, risulta seriamente insidiata dalla comparsa di una forma molto grave di malattia:
L’ordine è mutato, sente che nulla sarà più come una volta; la malattia l’ha segnata inevitabilmente, ora vi è come una linea di demarcazione, uno spartiacque che consegna una forma di turbamento aggiuntivo, e che Julie non può riordinare nel breve tempo: il male ha sconvolto taluni equilibri, ha stravolto molti fili che ora restano allo scoperto, in modo quasi indecente; spetta ora a lei ripristinare e assegnare una dimensione nuova a ogni più piccola tessera del puzzle (pp.77-78)
È tale lirismo riflessivo che nella narrazione valorizza l’intersezione fondamentale dell’àmbito naturale e di quello umano, gettando luce sul rapporto, di rilievo decisivo, fra uomo e natura.
Questi, nella costituzionale ambivalenza di animale di natura e anche di cultura, ha inteso spesso rivendicare la sua innegabile specificità, in base alla quale ha costruito la storia, la civiltà, il proprio imponente patrimonio tecnico-scientifico; ha nondimeno avvertito in molte circostanze il bisogno di ritornare alla natura, di reimmergersi nei suoi ritmi armoniosi e pacificanti, di rinnovare, attraverso la relazione con essa, il dialogo con Dio, come accade ai personaggi principali del libro:
Si dirigono tutti in quel luogo e avvertono che il tempo, lì, sembra essersi fermato come d’incanto. Si è come sciolto quel groppo o nodo che, in genere, tiene stretto il genere umano al suo travaglio, si sono liquefatti ogni impiccio, pena, disillusione, in un idioma naturalistico che tutto idealizza e anima di quieti incantamenti (…) In quel luogo, tutto è un coro alla filosofia del creato, che ha saputo così bene orchestrare: suoni, sapori, odori, stille lucenti di un complesso riproduttivo chiamato a dare il meglio di sé (p.167)
Certo è che la vita dispensa momenti di letizia e altri di pena, poiché “ la vita è assai bizzarra; il suo fascino strano e misterioso, talvolta, ci porge gioie e dolori, ma ci consente anche di superare il guado e salvarci, oppure c’ inebria o ci blandisce, dopo averci fatto sfiorare il terrore”(p.137); e quasi a conferma di un’idea siffatta Julie dichiara in un momento toccante della sua esistenza: “Ho visitato l’inferno e ora sono al settimo cielo”(ivi).
L’uomo però può fare della sua vita – che è soltanto una vita – un’esperienza serena e appagante, se saprà fare uso saggio e conveniente della propria peculiarità intellettuale-morale, ispirandosi ai valori della tenacia, dell’auto-stima, di un’attiva e comprensiva solidarietà, della speranza che “dalla notte cupa risorgerà sempre la più luminosa aurora”(p.158), e soprattutto disponendo l’animo all’amore, sentimento di cui nell’opera viene esaltata con toni commossi la centralità nel succedersi delle generazioni:
Infine, chi regge la storia di ognuno è sempre l’amore, che è anche il fattore impalpabile dell’inconscio emozionale, ne designa l’orbita gravitazionale all’interno di ogni nostra proiezione esistenziale (p.63)
Se l’amore s’impara ( come una volta si scopre a pensare ancora Julie), s’impara altresì l’amore per la vita, alla quale nel romanzo la scrittrice – riservandosi risolutamente il ruolo di narratrice onnisciente – tributa un omaggio appassionato che ha nel descrittivismo insistito, a tratti prezioso riscontrabile in molte pagine il più evidente corrispettivo formale.
Talora il gusto per le descrizioni lunghe e raffinate rischia di appesantire il discorso narrativo, determinando cadenze ripetitive (penso in particolare alle parti dedicate agli interni lussuosi delle dimore aristocratiche, agli abiti dei personaggi, sempre debitamente firmati, ai menù dei pranzi e delle cene di gala e via elencando), stilizzazioni irrigidite nocive all’autenticità degli ambienti storici e umani rappresentati; ma il messaggio complessivo del libro – l’invito a dare alla propria vita le caratteristiche di un’esistenza compiuta e originale, significativa e mai opaca ed etero-diretta – si trasmette al lettore con forza persuasiva.
Soltanto una vitaFloriano Romboli
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