Pubblicato il 07/05/2011 19:38:11
In pochi giorni Nino è riuscito a rintracciare il maresciallo Molisano, uno scapolo di settantasei anni che vive in un monolocale a Salerno, sua città d’origine. Dopo averlo contattato telefonicamente presentandosi come Antonio Rubino, il cognome della madre, lo raggiunge di persona. Bussa alla sua abitazione e ad aprirgli è un uomo alto e asciutto, dai capelli bianchi e dal portamento ancora militare. “Buongiorno! Il..maresciallo Molisano?” “Sì, sono io. Maresciallo maggiore in pensione. Lei chi sarebbe?” “Rubino, Antonio Rubino, ci siamo sentiti per telefono” “Sì, ricordo, ma non mi ha chiarito perché” “Vorrei parlare con lei di alcune vicende risalenti al suo servizio presso Monpepiano, intorno agli anni sessanta, per la precisione” “Perché?” “Sto scrivendo una biografia su don Antonio Rinaldi. Sono stato incaricato da egli stesso, prima che morisse” “Ah! È morto, non lo sapevo, quando?” “Un paio di mesi fa circa” “Venga, si accomodi” “Grazie” “Dunque, Rinaldi le ha dato questo incarico?” “Sì, circa un mese prima che morisse” “Ho prestato servizio a Montepiano dal 57 al 65. Oggi siamo nel 90. Se non erro lei mi chiede di ricordare dei fatti risalenti a una trentina di anni fa. Ma, di preciso, cosa le interessa sapere? Ammesso che io ricordi” “Sono sicuro che ricorderà” “Come ha detto di chiamarsi, giovanotto?” “Rubino. Antonio Rubino” “E’ un cognome molto diffuso nel suo paese, quindi è inutile che le chieda della sua famiglia. Allora, su cosa desidera essere ragguagliato?” “Su quanto avveniva alla Scannatora” Dopo una lunga pausa, impiegata a soppesare Nino, Molisano parlando con lentezza, risponde.. “Cosa vorrebbe che le dicessi della Scannatora?” “Quello che sa, che le risulta. A cui è stato testimone e, a volte, partecipe” “Sono stato spesso ospite alla Scannatora. Comunque sempre in veste assolutamete privata” “Benchè questo mi riesca difficile comprenderlo non metto in dubbio che la sua presenza fosse privata” “Signor..Rubino, le rivolgo di nuovo l’invito su cosa, in particolare, desidera sapere da me” “Signor Molisano, credo sia meglio parlare a carte scoperte, almeno eviteremo fastidiosi equivoci e inutili scontrosità” “Sarebbe sicuramente meglio” “Allora le dico subito che non ho avuto alcun modo di parlare con Mazzacane di certe vicende. Primo perché non c’è stato il tempo necessario e, secondo, per le sue condizioni di salute. Deve sapere che..” “Sono al corrente della malattia di Rinaldi e..immagino come fosse ridotto alla fine..” “Bene, questo facilita le cose. Mazzacane mi mise a disposizione una montagna di documenti da spulciare e, in più di un caso, da decifrare. Non avevo ancora terminato quando è morto” “Continui..” In quelle carte Mazzacane scrive di alcuni episodi avvenuti alla Scannatora e parla anche di lei, pur indicandola con la sola iniziale del grado” “Mi sembra un po’ poco per arrivare alla mia persona” “Ma vi sono dei quadernetti in cui è fin troppo esplicito, come ad esempio di un certo attacchino assunto a forza al Comune. Ma lei, di questo, ricorda certamente bene” “Mettiamo le carte in tavola signor Rubino, a lei non interessa affatto l’attacchino, perciò..?” “Signor Molisano, lei era già a conoscenza del mio incarico, non è vero? Altrimenti mi avrebbe già sbattuto fuori di casa. Allora collabori con me. Non ho alcuna intenzione di scrivere un romanzo scandalistico anzi, è proprio per evitare questo che intendo chiarire alcuni fatti. Non vorrei urtare i sentimenti di nessuno” “Sono d’accordo con lei, mi dica..” “No, facciamo così, mi parli lei della Scannatora, io semmai le chiederò di essere più preciso” “Intende citarmi come fonte delle sue informazioni?” “Assolutamente no, non intendo fare alcun nome” “Benissimo! Allora cominciamo dal principio. Arrivai a Montepiano il quattro gennaio del cinquantasette. Lo ricordo bene perché proprio in quel giorno un mio collega di corso cadde in uno scontro a fuoco con dei banditi in Sicilia. Lo avevo lasciato due giorni prima dopo una serata trascorsa in allegria. All’epoca prestavamo entrambi servizio a Trapani e quella sera festeggiavamo la mia promozione e il mio trasferimento a Montepiano. Al mio arrivo, benchè abbattuto per la notizia fui sorpreso e anche lieto di rivedere un mio vecchio compagno di collegio, Antonio Rinaldi per l’appunto. Non eravamo coetanei ma frequentavamo lo stesso collegio salesiano. Sapevo che era originario della provincia di Matera ma non ricordavo il paese. Fu per me giocoforza riallacciare una vecchia amicizia” “Mi scui, ma questo come poteva giustificare una così assidua frequentazione della Scannatora?” “Beh, questo merita una spiegazione a parte. Comunque al principio vi fu una..frequentazione meno, come dire, impegnativa. Ci vedevamo spesso la sera e prendevamo volentieri una consumazione al bar. Non dimentichi che Rinaldi era pur sempre il sindaco di Montepiano ed avevamo per questo dei contatti ufficiali. Un altro particolare non trascurabile era il ceto a cui Rinaldi apparteneva, una famiglia benestante e di lontana origine nobile “E questo ha inciso sui vostri rapporti?” “Indubbiamente, era fondamentale” “Quindi anche il rapporto con don Cosimo e don Ferdinando era conseguenziale?” “In un certo senso sì. Sebbene non vi fosse con loro un precedente legame, quando meno cameratesco. Vede signor Rubino, a quell’epoca, la vita in un paese era regolamentata diversamente da oggi. Il potere, soprattutto quello amministrativo, era gestito da poche persone e, quantunque in modo molto privato, con una certa autorevolezza. Non che vi fosse una vera e propria dittatura locale ma l’ordine era un fattore molto importante” “Un momento, mi faccia capire bene. Lei asserisce che l’Arma si metteva a disposizione di pochi potenti per controllare tutto un paese?” “Ma no, ovviamente! Cosa ha capito? L’Arma è sempre stata al servizio dello Stato, solo che lo Stato, nei piccoli centri, era rappresentato essenzialmente da poche persone” “O famiglie” “O famiglie, se questo serve a renderle più chiaro il concetto” “Una discriminazione bella e buona” “Lei crede che oggi sia diverso? Sono solo cambiati i soggetti ma il concetto è sempre lo stesso. A quei tempi vi era una diffusa ignoranza, il popolino era composto quasi eslusivamente da analfabeti e il livello economico sfiorava la miseria. Alcuni cominciavano ad arricchirsi con il commercio e l’artigianato ma la vera economia era ancora rappresentata dal latifondo, saldamente in mano a poche famiglie, che poi erano le stesse che si avvicendavano nella gestione amministrativa del Comune. Intorno a queste gravitava una fascia intermedia di piccoli burocrati, funzionari, maestri di scuola, impiegati vari, ma erano solo un gradino più su della plebe. A qualcuno di loro il popolino affibiava anche il titolo, ironico, di don ma i veri don erano pochi e ben altri” “Tutto questo quanto ha influito sulle vicende della Scannatora?” “Ma quanta fretta signor Rubino! Dopo aver fatta tanta strada per conoscere il passato ora non ha alcuna pazienza di ascoltare? È chiaro che il nostro compito fosse quello di mantenere l’ordine pubblico ma è anche chiaro che a minarlo lo potevano solo i subbugli del popolo. Già nel capoluogo, pochi mesi prima del mio arrivo in paese, vi erano state agitazioni di massa sedate con difficoltà ma, per fortuna, in paese vi erano giunti solo echi lontani e deboli. La gente era tranquilla e i braccianti, che a Matera si erano rivoltati, su in paese trovavano sempre lavoro” “E’ straordinario come lei trasforma in rivolta dei semplici scioperi!” “Quando le agitazioni non sono controllate da organismi legali per me sono e restano delle rivolte” “In paese i braccianti erano controllati da don Ferdinando?” “Il barone Volpicella era il maggior latifondista e nelle sue terre trovavano lavoro centinaia di persone. Ma non era un oppressore, al contrario, era un magnanimo. Inoltre aveva un riguardo particolare per l’Arma. In pratica la mensa era assicurata dai suoi prodotti” “E don Cosimo curava le indigestioni?” “Signor Rubino, lei mette a dura prova la mia volontà nel venirle incontro. Se sono gentile con lei è in riguardo alla memoria di don Antonio Rinaldi” “Che Dio l’abbia in gloria” “La prego, Rubino, faccia uno sforzo d’immaginazione e provi, mentalmente, a fare un salto nel passato. Io cercherò di agevolarle il compito descrivendole i tempi, il resto, se non le dispiace, lo analizzi tra sé dopo” “Mi scui, continui pure..” “Il dottor Colasanti era un farmacista di ottima scuola, aveva una perfetta conoscenza delle erbe medicamentose e proveniva da una famiglia molto benestante. Certo non ho impiegato molto tempo a rendermi conto, dal brogliaccio, chi fossero, come lei direbbe, i veri padroni del paese ma, mi creda, non sono mai venuto meno ai miei doveri verso lo Stato. Rinaldi ha ristretto i tempi del mio inserimento nella società locale, e di questo glie ne sarò sempre grato, ma non mi ha mai chiesto di venir meno ai miei doveri” “E lei, attacchino a parte, quante volte ha influito nelle decisioni della Scannatora?” “Solo quella volta. Si trattò di un caso particolare che mi stava molto a cuore. Altre volte mi sono limitato a consigliare. Per meglio dire mi venivano spesso chiesti pareri sulla personalità di vari individui e la mia era, in un certo senso, una consulenza basata sull’esperienza che avevo nel valutare e giudicare le persone. Ovviamente questo avveniva in forma del tutto privata nei nostri incontri alla Scannatora” “Così siamo ritornati alla Scannatora. Eravate un gruppo numeroso?” “Al contrario, eravamo una cerchia ristretta, e sempre gli stessi” “Come si svolgevano questi incontri?” “Principalmente erano delle cenette organizzate da Rinaldi approvigionate da Volpicella, soprattutto per quanto riguardava il vino. Lui era un fine intenditore e possedeva una originale cantina fatta di sole particolari damigiane da dieci litri a forma di grosse pere, le chiamavano appunto Pirette. Ad ogni incontro se ne consumava una, la tavolata aveva fine solo quando si era consumata l’ultima goccia. Mi ricordo che il vino veniva travasato in cinque fiaschi che al nostro arrivo trovavamo già sulla tavola. Per reggerlo si mangiava parecchio e facevamo le ore piccole e tra un boccone e l’altro, tra i tanti argomenti, si parlava anche di questioni amministrative ”E le donne? Quando facevano la loro comparsa?” “Quali donne?” “Suvvia Molisano, sa bene a cosa mi riferisco. Le..cameriere, per così dire. Quelle i cui familiari venivano poi compensati con un posto al Comune” “Riguardavano i rapporti personali di Colasanti e Volpicella nei quali non intervenivo” “E Mazzacane? Lui non aveva di questi rapporti?” “Vuole scherzare? Rinaldi non si prestava a questi compromessi. Lui esercitava un potere diverso. Non gli è mai importato granchè delle donne, tanto è che non si è mai sposato. A lui interessava solo gestire e rafforzare il suo potere” “E la Velata? Anche di quella Mazzacane non glie ne importava? Da quanto mi risulta pare che avesse un particolare interessamento per quella donna” “Vedo che ne è a conoscenza! Ma si sbaglia, Rubino, quella della Velata, benchè sia stata per me un’esperienza sconvolgente, fu una vicenda molto particolare. Ma perché le sta tanto a cuore?” “Non mi sta a cuore ma leggendo i diari di Mazzacane non ho potuto fare a meno di notarlo e disapprovarne il comportamento” “Le ripeto, Rubino, quella fu una vicenda particolare, che Merita un chiarimento a parte. È un discorso lungo, sarà bene bere qualcosa prima, preferisce un caffè o un cognac?” “Mi dia del cognac, grazie” “Allora si serva pure, il cognac è nel mobiletto alle sue spalle, vi sono anche i bicchieri” “Perché fu una vicenda straordinaria, per il fatto di essere umiliata a mostrarsi nuda?” “Anche per quello. Confesso che ne fui molto turbato e non mi riuscì mai di ottenere una spiegazione da Rinaldi per la sua durezza in quella circostanza. Glie lo chiesi più di una volta ma ottenni solo delle risposte evasive, seccamente evasive. E quella volta dovetti anche assistere alla pietosa reazione di don Mario” “Don Mario? E chi sarebbe?” “Ma il parroco della Chiesa Madre. Il quinto del gruppo che frequentava la Scannatora” “Credevo foste in quattro!” “Mi meraviglio di lei! Le ho pur detto che un piretto contiene dieci litri!” “Sono pressocchè astemio. Ecco spiegata allora la distinzione della Emme puntata!” “Cosa dice, scusi?” “Oh niente! Ma cosa stava dicendo della Velata?” “Che quella fu il culmine di una storia piuttosto ingarbugliata” “Me la spieghi” “Farò del mio meglio. Dunque, prima abbiamo parlato delle agitazioni sindacali. Ebbene, come un fulmine a ciel sereno i disordini scoppiarono in paese nella primavera del 59. I disordini ci colsero tutti di sorpresa perché non vi erano state avvisaglie. Il paese si stava avviando verso una ripresa economica che avrebbe limitato il fenomeno dell’emigrazione. Certo non era un grande segnale ma per l’impegno degli amministratori la situazione era tranquilla” “E cosa avvenne?” “Avvenne che in paese arrivò una testa calda, un agitatore di professione, un tale Capuana, originario di un paese del leccese. Di professione faceva il tosatore ma si adattava a tutti i mestieri. Due anni prima era stato coinvolti in certi disordini in città e si era beccato diciotto mesi” Nino, sentendo il nome del padre, prova un senso di disagio ma riesce a mascherarlo sotto un’apparente calma. Con voce ferma gli chiede.. “Quindi era appena uscito di prigione?” “Probabilmente sì, non mi risultano amnistie in quel periodo. Era dotato di una grande intelligenza che però metteva a frutto in malo modo. Riuscì in poche settimane a scatenare una incomprensibile rivolta dei braccianti che, inizialmente, procurò seri danni alle campagne e alla fine si risolse con una caterva di denunce e il ripensamento di Volpicella ad anticipare la Riforma Fondiaria” “Non mi pare che ne sia stato molto danneggiato!” “Già! E questo ci indusse a sospettare che l’azione di Capuana fosse stata premeditata” “Da Volpicella?” “Non abbiamo mai appurato nulla di concreto ma i sospetti rimasero. Certo che appena il Capuana fu di nuovo arrestata proprio Volpicella si adoperò per farlo rimettere in libertà adducendo il fatto che Capuana era fermamente intenzionato a lasciare il paese e a emigrare in Germania. Gli feci notare che non sarebbe stato facile per lui ottenere il visto per l’emigrazione, tanto più che il soggetto era privo di fissa dimora e di una famiglia. Devo però confessare che l’idea di togliercelo dai piedi mi allettava molto. Capuana era come una patata bollente, con lui nei paraggi non si poteva stare tranquilli” “E la faccenda come si risolse?” “Capuana affermò che stava per sposarsi con una donna del posto. Sa Dio dove e come l’avesse conosciuta! Fatto sta che in tre giorni il matrimonio venne celebrato e appena una settimana dopo tolse le tende” “In pochi giorni riuscì a ottenere il visto?” “Gluie l’ho detto quanto puzzasse quella faccenda! Comunque quando lo vedemmo salire sulla corriera tirammo un sospiro di sollievo” “Dagli appunti risulta che sia stato lei ad adoperarsi, non Volpicella” “Lui mi pregò di farlo e fui io a spingere in alto loco finchè tutto andasse come poi andò. Ovviamente non mi chieda come feci perché non potrei mai dirglielo” “Poi cosa successe?” “Successe che la moglie di Capuana si rivolse a don Mario affinchè patrocinasse il ritorno del marito. Don Mario disse che la donna aspettava un figlio. Capuana un mese e mezzo dopo essere arrivato in Germania era stato espulso perché sospettato di azioni sovversive. Era sicuramente quello il suo vero lavoro, quello in cui eccelleva. Comunque era passato in Svizzera dove aveva trovato lavoro in un cantiere edile” “Ovviamente Volpicella perorò la causa” “No, per nulla. Se Volpicella era stato il mandante di Capuana non doveva trovare alcun piacere a ritrovarselo tra i piedi. Si sarebbe esposto troppo a perorare una causa come quella. A nessuno faceva piacere quel ventilato ritorno” “E invece?” “E invece, con grande sorpresa, fu proprio Rinaldi a porre delle condizioni, tanto originali e inaccettabili” “Si riferisce all’umiliazione di servire nuda?” “Sì, era proprio un’umiliazione. Dapprima pensai a una diavoleria di Rinaldi per dissuadere la donna. Anche don Mario ne rimase sconvolto e cercò prima di opporsi e poi di defilarsi ma Rinaldi da una parte e la donna dall’altra lo indussero a trattare quella resa senza condizioni. Comunque fu ella accettò e una sera ce la trovammo alla Scannatora. Da parte mia, dopo aver espresso a Rinaldi tutta la mia disapprovazione me ne andai via” “E don Mario, anche lui se ne andò?” “No, lui rimase. Era nei patti che sarebbe rimasto. Il poveretto passò una terribile serata. Rinaldi, scherzando, aveva insinuato che forse il prete se la tenesse. Io non vi ho mai creduto, sebbene in quei tempi tutto fosse possibile. In ogni modo il sacrificio della donna fu tutto inutile perché due settimane dopo Capuana rimase vittima di un incidente sul cantiere. Un matrimonio durato sei mesi e consumato, forse, in una sola notte” “E della donna cosa ne è stato?” “So che ebbe un figlio ma non so altro. Comunque su di lei non si “chiacchierò” affatto” “E come visse, con quali mezzi si sostenne?” “Facendo dei lavori saltuari e ricevendo di tanto in tanto un piccolo sussidio dalla Svizzera o da qualcuno che in quel modo intendeva, forse, tacitare la propria coscienza” “Qualcuno chi? Volpicella?” “Forse, o forse lo stesso Rinaldi, alle prese con i rimorsi” “E il figlio? Di lui cosa avvenne?” “Non ne ho la più pallida idea. So solamente che gli fu dato il nome di Antonino, probabilmente lo stesso del nonno, come usanza vuole” L’imbarazzo di Nino raggiunge il massimo. Sa di aver ottenuto delle rivelazioni ma sa anche di essere alle prese con altre domande alle quali Molisano non può rispondere. Inoltre sa di non aver alcun nonno o uno zio di nome Antonio. Più di ogni altra cosa è consapevole di essere nato un mese dopo la morte di Capuana. In altre parole non può essere suo figlio. Vedendolo assorto Molisano gli chiede.. “C’è qualcosa che non le è chiaro? Se è così non si faccia scrupoli” “Oh nulla! Mi stavo solo chiedendo che essendo morto Mazzacane..” “Rinaldi! Per favore lo chiami Rinaldi. Mazzacane mi mette a disagio” “Come vuole, dicevo comunque che essendo morto il..mio committente e, non credendo di poter ricevere ulteriori informazioni da Volpicella e Colasanti non so proprio a chi altri rivolgermi” “Forse qualcosa di più potrebbe dirglielo don Mario” “Don Mario? Perché è ancora vivo?” “Sì che è vivo – risponde divertito Molisano – lo sa che santi e demoni sono eterni?” “Nel caso specifico?” “Ma sì, penso sia un sant’uomo, alla sua veneranda età, poi” “Quanti anni avrà oggi?” “Credo abbia superato la novantina” “Dove lo trovo, in paese no di certo” “Vive in un ospizio a Matera e se accetta un consiglio.. si affretti perché alla sua età ogni minuto è prezioso. Ah, per quanto mi riguarda, se desidera altri chiarimenti, sa dove trovarmi” “Lo farò senz’altro”
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