GIAPPONE MON AMOUR
Quell'ansia sottile e indefinibile che precede tutte le partenze era la sola cosa che provavo lasciando l'Italia.
Stranamente, il meccanismo dell'immaginazione non era scattato come d'abitudine. Forse perché il Giappone non era una meta che avevo scelto deliberatamente, dopo riflessioni e calcoli accurati, come per ogni altra vacanza. Un paio di imprevedibili circostanze, del tutto fortuite, mi avevano improvvisamente messa di fronte alla possibilità di beneficiare del viaggio aereo gratuito, in occasione di un volo inaugurale, a sole 36 ore dalla partenza: prendere o lasciare.
Del Giappone avevo un'idea turistica di tipo oleografico: Monte Fuji, pagode, mandorli in fiore, paesaggi romantici; geishe avvolte in raffinati kimono ad uso e consumo dei visitatori occidentali; immagini di Budda dalle mani intrecciate, le sopracciglia ad arco e la bocca a cuore...
Dopo solo 10 giorni dall'arrivo, lascio il Giappone con un senso di commozione profonda, quasi religioso - come di chi abbia casualmente assistito al manifestarsi di un prodigio in cui non avrebbe mai altrimenti creduto.
Nel confuso mosaico di immagini stereotipate e asettiche, i sensi tesi alla scoperta di una realtà che si rivelava ogni giorno più ricca e composita, una capacità di percezione acuita dalla necessità di sopperire in qualche modo alla difficoltà di comunicazione, hanno finito con lo scomporre e ricomporre dati esperienze e nozioni, come in un gioco di pazienza; e i tasselli - riordinati - hanno prodotto alla fine un quadro vivo, dinamico nella sua policroma bellezza, assolutamente nuovo e inaspettato.
Il Monte Fuji è nascosto dalle nubi; il lago Hakone ha la bellezza tranquilla di altri già visti altrove, ma il paesaggio è più bello; le profonde vallate ai piedi dei monti che sovrastano Nikko, sotto la neve inattesa di questo inizio di aprile, ricorda certe visioni alpine di casa nostra. Ma ai "mandorli in fiore" del nostro immaginario si sono ben presto sostituiti i "cherry blossoms": un miracolo prodotto dalla natura e dall'amore di un intero popolo per tutto quanto vi è di più gentile e delicato. Esplodono da ogni angolo; i loro petali si staccano dai rami - del tutto privi di foglie - ad ogni minimo soffio, e vi cadono sulle spalle, sui capelli: quasi minuscole creature che brucino la loro fragile vita per darvi il benvenuto. Non c'è guida turistica che non li additi alla vostra attenzione ad ogni passo, non con l'insistenza pedante del fanatico, ma con la premura dell'ospite, attento a che nulla perdiate di quanto ha da offrirvi. Man mano che essi si moltiplicano sotto i vostri occhi, sentite crescere dentro di voi - anziché diminuire - l'estatico stupore che essi producono nel visitatore che viene da lontano.
Al di là dei particolari architettonici e decorativi - che non sono mai fini a sé stessi, ma rispondenti alla necessità di rappresentare simbolicamente i contenuti religiosi e filosofici nel modo più suscettibile a impressionare la mente del seguace - scoprirete che le pagode sono parte dei templi, in quanto il tempio stesso non è - come generalmente si ritiene in Occidente - un luogo chiuso e circoscritto, ma un'area più o meno vasta, che contiene diversi edifici sacri.
Dopo le prime impressione di immanenza vagamente terrificante, riportate dalla visita del tempio Sanjusangendo, con le sue 1001 statue di Kannon - emanazione femminile di Budda, dalle molte teste e braccia - o la facile ilarità che sul principio comunica la buffa faccia del dio dalla bocca a cuore, ci si comincia a sentire pervadere da un senso di mistica partecipazione. Fino a che, nel tempio di Rakanji a Tokio, osservando l'espressione di serenità sconfinata nel volto della statua, si prova un senso di liberazione profonda e pacificante, per la scoperta di religioni nelle quali è ricorrente il motivo della salvazione universale e indiscriminata; e che non incombono sull'uomo col senso drammatico di colpa con cui siamo marchiati dal cristianesimo.
Immaginavo Tokio come un'immensa metropoli di tipo occidentale: grattacieli, insegne colorate a neon..., disumana. Persino sul "Tour Companion", una specie di gazzettino settimanale turistico, a disposizione dei visitatori in tutti gli alberghi della città, un articolo su Tokio recava il titolo, in inglese: "E' un mostro... ma è sicuro". La mostruosità di Tokio è quindi un luogo comune accettato dagli stessi giapponesi, ma essa attiene solo alle sue dimensioni.
Di Londra, pare che qualcuno abbia detto che se mezza città venisse distrutta, l'altra metà continuerebbe a ignorarlo finché qualcuno non andasse a dirglielo. La battuta non si adatterebbe a Tokio, sul cui suolo si addensa un decimo di tutta la popolazione del Giappone, con un numero adeguato di infrastrutture di ogni genere, comprese quelle amministrative centrali. Inevitabilmente le case si addossano l'una sull'altra, e al di fuori del centro sfavillante di modernismo, esse si estendono a tappeto, senza soluzione percettibile di continuità. Il centro tende ad estendersi verso l'alto, ma i grattacieli s'innalzano quasi con grazia, come assottigliandosi verso il suolo, per lasciar respiro alle vecchie botteghe dei fruttivendoli, ai caffé microscopici, alle trattorie cinesi. Il vecchio e il nuovo si fondono mirabilmente, e i rami di uno stesso ciliegio a volte coprono il tetto di mattoni scuri del piccolo edificio centenario e sfiorano le pareti di cristallo della "storehouse" di 14 piani. Il mostro immenso e gentile sembra avere la capacità portentosa di armonizzare fra loro gli elementi più contrastanti, e di comporli in un tutto ospitale e accogliente. Perché questo "mostro" ha l'anima della sua gente. Un'anima ricca di storia e di cultura millenaria, nelle quali affondono profondamenbte le radici della vita attuale, a dispetto delle più avanzate esperienze tecnologiche e della più spietata pressione occidentalizzante. Cultura e storia sembrano aver conferito una flessibilità speciale all'anima del Giappone, fino al punto che le due religioni più diffuse nel paese - buddismo e scintoismo - pur avendo identità ben distinte tra loro, coesistono nella realtà del popolo in maniera così totale da trovare entrambe applicazione nelle due manifestazioni più caratterizzanti della vita sociale: il matrimonio, che viene celebrato quasi esclusivamente col rito scintoista, e i funerali per i quali si ricorre alla cerimonia buddista. Simbolo architettonico di questa capacità di conciliazione e di sintesi sembra essere lo stupefacente tempio/santuario Toshogu a Nikko, nel quale figurano anche elementi didattici del confucianesimo.
(Cronaca parziale di un'esperienza dei primi anni '70 - ritrovata qualche giorno fa in un vecchio cassetto ) Teresa Nastri
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