Non smetterà mai l’insonnia della vita di migrarmi addosso
Con le sue stelle rosse, i fondali azzurri di un fiume,
Mentre le morti più minute già secche acuminate
Mi pungono gli occhi, altre più morbide e infanti -
Piume, corolle, germogli - si stringono presso il pube o le ascelle
In allegro disordine, esperienze mistiche del tatto,
Teatro furioso e cangiante sulla superficie della pelle.
Intanto che gli altri bellissimi parti del tempo, tra lutti e sassi,
Mi levigano a tutto tondo amorosamente,
Premono e mi disfogliano come un fiore autunnale
Finché resta di me la forma essenziale quasi svuotata di nervi e ossa,
Qualcosa di prossimo a un guscio sottilissimo e asciutto,
A una lamina madreperlacea o a un animale d’ombra
Che trascorre nel bianco lucentissimo dell’occhio lunare,
Dove come in un ostensorio il mio corpo è
Una porziuncola di sacra bianchezza, e la mano
Una dolce reliquia che stringe ancora semi per la futura primavera.
Immersa in questo lavacro, m’illumina un sorriso aperto
Come quello di un angelo, che sa come s’innesta
L’infinito riposo dell’inverno nel bulbo del narciso.
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