In un periodo come quello attuale di crisi generalizzata dove anche la scuola entra in sofferenza e i sommovimenti non sono più come da tradizione solo quelli studenteschi, ma a rivoltarsi è il mondo dei professori e dei maestri e entra in crisi perfino la poesia, di cui negli ultimi mesi si è riproposto il tema della sua paventata fine, avere sotto gli occhi un ponderoso libro fatto e scritto da poeti che in qualche modo ritornano in classe, debbo dire che è una inaspettata bella esperienza di cultura di civiltà di attualità.
Il libro In classe, con i poeti, curato da Maurizio Casagrande, prende le mosse proprio dal male della scuola. Male fisico ed esistenziale, che da sempre è esistito, che da sempre ha serpeggiato nel malcontento degli studenti da una parte e degli insegnanti dall’altra, in una dimensione spesso non gratificante per nessuno, ma che negli ultimi anni si è acuito, perché questa che abbiamo è una scuola niente affatto buona, tanto più come è emersa dalle azioni per così dire riformatrici degli ultimi governi, in uno pseudoefficientismo, che neglige la ricerca dell’eccellenza. Non ci resta che dire: ebbene sì la malattia della scuola rischia di diventare esiziale. E se non si corre ai ripari con un buon farmaco (to cure) e prima ancora con le migliori cure (to care) sarebbe forse troppo tardivo qualunque intervento.
Il farmaco adatto e il prendersi cura per rivitalizzare la scuola sembrerebbe passare attraverso l’autoreferenzialità, visto che in questo caso sono i poeti a vestire i panni del terapeuta. Ma ben venga in questo caso l’autoreferenzialità. E allora, tout court, sembrerebbe che la migliore cura non possa essere che la poesia o quantomeno lo spirito che la anima. Con il suo ottimismo di fondo, con la speranza in un domani migliore, e poi con quella carica di emozioni, di sentimenti, di passioni, di virtù, ma anche di intelligenza, che privilegiano anche, se non soprattutto, la diversità, per evitare appiattimenti e sotterfugi, e ampliare orizzonti in vista del buono del vero e soprattutto del bello, per far sì che la scuola rappresenti il trampolino di lancio per una vita che sia aperta e alla ricerca della felicità, aperta alla bellezza e non chiusa, come oggi spesso è, nello stallo di un grigiore aporetico e annichilente, nella misura in cui i valori paiono essere quelli di un identitarismo individualistico, che muore nel suo stesso essere ossimoro, votato all’egoismo e all’utilitarismo più bieco.
I poeti, 87 poeti tra i migliori della nostra contemporaneità, si cimentano in questo bel libro nel confrontarsi con temi e problematiche della scuola. Voglio qui citarne alcuni, senza che gli altri se ne dispiacciano, per far comprendere dal solo nome lo spessore di questo libro, che si compone di una scrittura, che si embrica tra versi e prosa in un cimento poetico tra narrazione e lirica con problemi eventi memorie visioni illusioni disillusioni aspettative veglia e sogno fiaba e dura realtà il tutto comunque vissuto nel prodigio dell’esistenza più autentica in un passato che si fa presente e in un presente che si vuole immergere nel futuro. Ecco allora che ci imbattiamo nei vissuti scolastici dei poeti e entriamo in classe insieme a loro per sentire le voci, tra gli altri, di Sebastiano Aglieco, Mario Benedetti, Pierluigi Cappello, Tiziana Cera Rosco, Claudio Damiani, Milo De Angelis, Gianni D’Elia, Eugenio De Signoribus, Anna Maria Farabbi, Mauro Ferrari, Umberto Fiori, Alessandro Fo, Mariangela Gualtieri, Marco Merlin, Massimo Morasso, Giselda Pontesilli, Giancarlo Pontiggia, Fabio Pusterla, Beppe Salvia, Gino Scartaghiande, Gabriella Sica, Alberto Toni, Andrea Zanzotto.
Dalla lettura del libro, - i cui registri le sensazioni i temi le passioni sono i più diversificati e per i quali non entro nello specifico, rimandando alla lettura dell’intero testo, - che come dice Casagrande, è “improprio definire riduttivamente un’antologia”, emerge soprattutto un dato, che è quello di dare atto alla poesia e ai poeti di essere unici nel saper leggere la realtà a trecentosessanta gradi. Dice espressamente Casagrande, che questo libro è “più che un’antologia, dunque, un incrocio di sguardi, di vite, che declinano nell’unica maniera possibile – quella sempre mutevole e varia dell’esperienza individuale – il sogno di una scuola veramente degna di questo nome: in una parola l’arte, la scrittura, la poesia, la vita stessa come cura, come forma più alta di pedagogia per un amore sì, ma 'con gelosia'”, a scanso di equivoci creati da pseudo-esperti e tecnici e politicanti e burocrati, che nulla hanno a che fare con scuola e pedagogia. In fondo, il vero maestro, quello con la emme maiuscola, è quello che è anche un po’ poeta, che si rapporta in modo genuino e diretto alla vita alle persone agli oggetti senza sovrastruttura alcuna.
I poeti hanno, infatti, un loro metodo e una loro verità, come diceva Gadamer, e non hanno niente da invidiare agli scienziati, ma anche ai sociologi e ai filosofi. Tutt’altro. Perché l’arte e la bellezza riescono molto meglio nel cogliere quanto è più vicino all’indole umana. Anche perché contrariamente a quanto si crede, la poesia non è solo poiesis, ma è anche praxis, è esperienza globale di vita e nello stesso tempo è morale.
La scuola, dunque, potrà sopravvivere al malanno se la poesia potrà curarla e prendersi cura di lei. Ma come? Semplice a dirsi ma ancor più facile a farsi. Quando si è malati si va dal medico, il quale, fatta la diagnosi, prescrive la terapia, che si sostanzia in un farmaco, che quindi il paziente acquista in farmacia. Allora e solo allora il malato ha il prodotto concreto tra le mani e può quindi assumerlo in attesa della guarigione.
Così, fatta la diagnosi della malattia della scuola, trovato il rimedio nella poesia, non resta che leggere la parola dei poeti. A questo punto occorre andare in libreria e comprare il libro per cominciare la cura sperando nella guarigione. E di libri di poesia, per curare i diversi malanni di questa nostra società e non solo della scuola, ce ne sono diversi e tutti di buona qualità ad attendere di essere comprati e somministrati, a cominciare da questo libro, in vista di una migliore salute del nostro essere umani. Il testo infatti potrebbe essere una buona occasione qualora fosse anche adottato nelle scuole medie primarie e secondarie, per iniziare a essere fattivi nel dare una nuova svolta pedagogica ad una scuola che si sta attorcigliando su se stessa in un’agonia senza pari.
Per concludere, lo faccio dando la parola alla poesia e in pratica ad un solo poeta, ascoltando Gino Scartaghiande, non potendo che rimandare all’ascolto diretto di tutte le altre 86 voci poetiche, che non sono da meno, alla lettura diretta del libro:
"Ci siamo dilacerati tra la consapevolezza di un alto sole che sorgeva, ogni maestro e maestra, ed ogni amico, tale è sempre la scuola per noi, e qualcos'altro di inconsapevole. Ma il Maestro già ci portava lontano; e più le materie si impigrivano, inerti, più Egli ne attraversava gli estremi, come la bellezza di un giovane intangibile, senza nome, senza possibilità di nessuna storia in comune. Pure, precipitando, si educava un'innocenza giovanile. Un originale abisso di ognuno”.
*
Le scuole vivevano
di giorno
quando anche noi
eravamo andati via.
Entrava un sole
su per l'alto finestrone
e popolava di un suo silenzio
il rombo chiaro e dentellato
delle ore;
noi posavamo poveri
quel po' di polvere di ognuno
per guarire.