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La nobile semplicità e la calma grandezza

Argomento: Arte

di Raffaella Di Vincenzo
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Pubblicato il 11/11/2013 18:01:43

Le cose sono come i luoghi: c’è sempre qualche fantasma che li abita, i fantasmi delle cose stesse che un tempo sono state nuove, intere e in uso; i fantasmi della gente per la quale le cose sono state costruite; i fantasmi delle persone che le hanno raccolte e infine anche i fantasmi malinconici di chi queste cose le ha lavorate con lo scalpello e riprodotte, trasmettendone la conoscenza ai posteri. Sono tutti questi fantasmi ad infondere quel vago sentimento di nostalgia che spesso si prova di fronte ad un’opera che rievoca il passato, e da questo sentimento sono partiti gli studiosi del vecchio millennio ed in particolare dei secoli XVIII-XIX permeati da quel romantico sentire che vedeva nell’antico non soltanto un occasione di meraviglia, ma anche motivo di riflessione ammirata.
“Infine, la generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell'espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l'espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un'anima grande e posata. Quest'anima, nonostante le più atroci sofferenze, si palesa nel volto del Laocoonte, e non nel volto solo. Il dolore che si mostra in ogni muscolo e in ogni tendine del corpo e che al solo guardare il ventre convulsamente contratto, senza badare né al viso né ad altre parti, quasi crediamo di sentire in noi stessi, questo dolore, dico, non si esprime affatto con segni di rabbia nel volto o nell'atteggiamento…. Il dolore del corpo e la grandezza dell'anima sono distribuiti con eguale misura per tutto il corpo e sembrano tenersi in equilibrio. Laocoonte soffre e il suo patire ci tocca il cuore, ma noi desidereremmo poter sopportare il dolore come quest'uomo sublime lo sopporta. Più tranquilla è la posizione del corpo e più è in grado di esprimere il vero carattere dell'anima: in tutte le posizioni che troppo si allontanano da quella del riposo, l'anima, non si trova nel suo stato normale, ma in uno stato di costrizione e di violenza. L'anima si fa più facilmente conoscere ed è più caratteristica nelle forti passioni, ma grande e nobile è solo in stato d'armonia, cioè di riposo”.
Con queste parole J.J. Winckelmann apriva la strada allo studio dell’arte classica e fu uno dei teorizzatori più efficaci del concetto di idealità che sottintendeva l’arte degli antichi e in particolare della scultura. L’assoluta mancanza di personalizzazione insita nel concetto moderno di arte, costringeva gli studiosi ottocenteschi a concentrarsi su caratteristiche formali sicuramente più vicine all’aspetto politico sia della Grecia che di Roma. Sebbene questa concezione non corrisponda più ai nostri attuali interessi ed alle nostre domande, che invece riguardano prima di tutto le funzioni delle immagini ed il loro effetto sulle singole società; tuttavia la ricerca delle costanti formali e delle specifiche proprietà estetiche delle opere, non sono diventate del tutto obsolete. Oggi ciò che interessa agli studiosi è soprattutto il contesto storico ed i messaggi delle immagini a cui le forme cercavano di corrispondere e che diedero vita ai rispettivi stili: non più l’arte come dimensione autarchica, quanto piuttosto come mediatrice della comunicazione sociale. Gli studiosi d’arte classica fra la fine del 1700 e l’inizio del 1800 compresero tuttavia una grande lezione: la capacità della scultura classica di essere celebrativa, prima di tutto della cosa pubblica e poi del privato, e di un celebrativo che fosse espressione non tanto della bravura dell’artista quanto piuttosto di un’ideologia condivisa. Inoltre al silenzio delle fonti, si aggiunge anche la nostra più totale ignoranza riguardo ai nomi degli artisti, delle maestranze, delle officine; sicché il rapporto fra committenza e produzione riuscirebbe sempre poco chiaro se non fosse per il carattere pubblico, politico e statale della scultura romana. Questa inclinazione della cultura verso una concreta illustrazione della storia contemporanea fa sì che la scultura si presenti a noi soggettivata al massimo, sia quando affronta i temi celebrativi, commemorativi ed encomiastici del rilievo storico e del ritratto ufficiale, sia quando affronta, soprattutto attraverso il ritratto privato, temi più ristretti ma comunque ugualmente partecipi del fenomeno generale di concreta attualità. Pensate ad esempio alle grandi sculture celebrative delle dittature del secolo scorso: ciò che è importante non riguarda la biografia o l’interpretazione psicologica del reale secondo la soggettività dell’artista, ma che si metta in evidenza un programma politico, un’unità di sentire e principi comuni. La tematica della scultura romana seppure opera secondo una medesima prassi, sovente ripetuta, elaborando schemi tipologici spesso assai vecchi quasi tutti imposti dalla classicità greca e dall’Ellenismo, deve la sua freschezza alla capacità di esprimere concetti ideali anche attraverso uno sfacciato realismo. Per questo vi è una sorta di contraddizione fra il concetto di Bello ed il concetto di Vero ossia di reale, intendendo per realtà tutto ciò che c’è di intrinseco all’opera scultorea stessa. I Romani, con la loro voglia celebrativa e la loro vena pratica, riuscirono a portare la bellezza nella realtà di alcuni volti segnati dal tempo, anche se in quei segni si cercava pur sempre di far leggere il particolare celebrativo. Non che il vero spaventasse, semplicemente se ne poteva fare a meno, in particolare nell’arte. Il bello prevaleva, dunque, anche se non sempre idealizzato. Il bello di alcuni personaggi come l’atleta, l’artigiano, il console, l’imperatore, il sacerdote. E’ soltanto l’epoca moderna che personalizza l’arte, soltanto l’epoca moderna la interiorizza fino a renderla astratta; quando l’arte si firma ecco che compare l’io dell’artista, la sua personalità, il suo vissuto, i suoi chiaroscuri ed ecco il bello non più ideale ma reale; ecco dunque dove il bello e il vero si fondano, nell’io.








Bibliografia generale:
• Todisco, L. , Scultura antica e reimpiego in Italia Meridionale, Bari 1994, vol. I-II
• Traversari, G., Statue iconiche femminili cirenaiche, Roma 1960
• Agnoli, N., Museo Archeologico nazionale di Palestrina: le sculture, Roma 2002
• AA.VV. Il museo civico di Velletri, in cataloghi dei musei locali e delle collezioni del Lazio, vol. 6, Roma 1989
• Bonacasa, N., Arte Romana: la scultura, Roma 1980
• Winckelmann, J.J., Storia dell'arte nelle antichità, Dresda 1764
• Bianchi Bandinelli, R. , L’arte Romana al centro del potere, Roma 1988
• Zanker, P., Arte Romana, Bari 2008


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