Pubblicato il 04/03/2011 22:29:21
Alla fine, il fallimento è fatale! L’immateriale non consente traduzione, l’idea non permette trasmigranti metafore. Giace a terra, esangue, il cadavere del verbo: straziato nella carne, rivoltato, rigirato, fatto a pezzi. Esanime ha esalato l’ultimo soffio, silenzioso, compreso, decifrato. Tentativi ciclopici, a costo di sangue, a costo di delirio, non hanno partorito che detriti e macerie. Il giorno del Giudizio ha decretato l’estrema sentenza: la parola non concede riscossa. Ci appare col volto divino ed il corpo plasmabile, sorride, illudendoci di nuove vittorie, blandisce, carezza, consente; si allarga, si chiude, si stringe. Dilata il senso, lo comprime, allunga il significato a vette astrali. E’ argento fuso, è oro sciolto, è magma primordiale ammantata di maschere di vento. Cedevole, prende la forma della nostra superbia , ne assume il volto, ne assorbe personalistici connotati. Falsa, si burla di presunzioni austere, di certezze manifeste, di assiomi codificati, di verità incise nel fuoco. Le nostre verità. Materia immateriale, forgiata da nani, si eleva a giudice spietato col ghigno del cinismo e ride, alla fine dell’opera, guardando il sudore della fronte, indulgendo alla contemplazione del peso sotto cui, schiacciato, tenta l’estrema sfida l’umana gloria. L’idea, concepita senza lingua, musica afonica paga di se stessa, sorride beffarda al misero frutto partorito da prometeo, ancora una volta dilaniato nelle viscere per aver troppo osato. Riposa quieta, in silenziose verità, l’intuizione: grazia di per sé, unica panfonia , sinfonica armonia. Essa illumina con uguale voce l’illusione di vivere, quella di comunicare, la stessa di trasmettere. Con unico canto, in ingannevole, inequivocabile, indistinto, ammanta di luce irradiata da se stessa: nessuna traduzione è richiesta, nessuna spiegazione necessaria. Solo il silenzio è trasmettitore di parole , solo esso non equivocabile strumento per ascendere agli dei. Simili a titani scacciati, ci cimentiamo nell’impresa inumana di dare un nome a ciò che nome non possiede: la bellezza, la gioia, l’amore, la disperazione, l’ossessione, la deriva, la morte. Il domandarsi, il chiedersi, l’interrogarsi, non sono domande, ma assiomi. Simili a schiavi, illusi di condivide l’eterno, armeggiamo con armi spuntate per uscire dalle nostre solitudini, incapaci di capire che solo la solitudine è la nostra dimensione. E così, tentiamo l’impossibile impresa credendoci demiurghi nel disperato tentativo di eterizzare la sezione di un istante, incontabile, invisibile nel magma indecifrabile del tempo senza tempo.
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