Chi è Giuseppina Torregrossa?
In ordine alfabetico ginecologa madre, siciliana.
Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittrice? Come è avvenuto il salto da un piccolo editore come Iride, con cui hai pubblicato, nel 2007, “L’assaggiatrice”, a Mondadori, con cui hai pubblicato, nel 2009, “Il conto delle minne” ottenendo un grande successo di pubblico, addirittura tradotto in dieci lingue?
Ho iniziato a scrivere da piccola, mi piaceva, e poi lo aveva deciso mia madre: “Scrivi un diario” mi disse “serve a migliorare il modo di esprimerti”. Ho il sospetto che lo leggesse di nascosto, era un buon modo per controllarmi. Poi ci ho preso gusto e ho trovato altre forme di espressione: poesie, racconti brevi, annotazioni, pensieri… fino all’Assaggiatrice. Nel 2009 l’incontro casuale dentro una libreria di Matera con Giulia Ichino, responsabile della narrativa italiana di Mondadori. Io non sapevo della sua esistenza, lei della mia. Giulia acquistò una copia dell’Assaggiatrice e mi contattò dopo averlo letto. Io avevo appena iniziato a scrivere “Il conto delle minne”. Le mandai trenta cartelle, ebbi subito un contratto… un colpo di fortuna.
Ne “Il conto delle minne”, a tratti, grazie ad uno stile narrativo agile, sobrio e fluente, “percepiamo” quasi gli odori, la vita e gli umori della tua terra. Sembra che l’elemento biografico si fonda con quello prettamente narrativo, fantastico. Come avviene per te il processo di creazione narrativa?
La mia è una scrittura sensoriale. Parto da una sensazione. Mi abbandono e viene fuori un personaggio, un’ombra tremula e indistinta, che nel corso dei giorni prende corpo e si consolida, finché il profumo, il colore si trasforma in una emozione e prende vita una storia.
Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?
Divertire, intrattenere, stimolare un pensiero logico, rassicurare, sostenere il lettore, consolarlo se ne ha bisogno, testimoniare.
“Il conto delle minne” rappresenta il ritorno ad una letteratura dal “sapore siciliano” che accarezza i grandi autori “moderni” di questa scuola, come Verga, Pirandello, Sciascia e il più recente Camilleri. Che rapporto hai con gli scrittori della tua terra?
Li amo molto e li rileggo con gioia. Verga, il mio preferito. Poi Goliarda Sapienza, un vero genio del cuore. Camilleri, il più leggero, ma è figlio del suo/nostro tempo. Pirandello con le sue meravigliose novelle, Sciascia un lucido visionario equiparabile a Pasolini, Vitaliano Brancati, infarcito di un erotismo cerebrale e talvolta distorto…
Che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei narratori tuoi contemporanei?
Il ricordo, coltivato fino all’ossessione, perché sulla memoria si fonda la nostra identità. La Sicilia, non solo luogo dove si svolge l’azione, ma la vera protagonista delle mie storie. La lingua, quella dei miei nonni, che ha il sapore della nostalgia.
Nel tuo romanzo le “minne” rappresentano il “file rouge” che lega il sacro al profano; elementi all’apparenza distanti tra loro che si intersecano insieme: religione, sesso, amore e consuetudini che solo quest’isola può custodire, tutte in una. Quanta sicilianità rivive in te, quanta ne porti addosso?
Non so quantificarla, ma dopo quaranta anni a Roma, continuo a sentire fortissimo il richiamo di Palermo, solo lì mi sento a casa.
Nel tuo libro la protagonista si abbandona all’amore estremo, peccaminoso, che brucia di un ardore che solo la clandestinità può alimentare, fino ad annientarsi per rinascere. L’amore, per usare i versi di una canzone, “conta gli anni a chi non è mai stato pronto”?
Non saprei interpretare questo verso, ma certo che l’amore mi fa sentire viva.
Nell’opera non mancano elementi di riflessione sociale come l’approccio della protagonista ad una malattia tanto grave quanto subdola. Nella tua esperienza professionale di medico, qual è l’approccio mentale per chi soffre di questi problemi?
Nel corso degli anni le cose sono molto cambiate. Male incurabile un tempo, oggi le prognosi sono molto migliorate. Curarsi significa anche cambiar vita. È questo che spesso succede a chi si ammala, si cambia e la vita talvolta può anche migliorare.
Qual è il ruolo sociale di uno scrittore, in particolare di un narratore?
Io credo che la vita sia testimonianza e un narratore, come tutti gli altri, ha il compito di testimoniare con le parole oltre che con l’esempio.
Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Il narratore si trova a cavallo di due mondi?
La realtà è la vera fonte di ispirazione. Si attinge dal mondo esterno, poi la fantasia aiuta a rendere “verosimile” il racconto.
Tornando da un argomento serio ad uno faceto: ma tu, dopo tutto, le sai cucinare queste famose minne?
È un dolce molto difficile da preparare. Il risultato risente di molte variabili, comprese temperatura e umidità dell’ambiente. Le faccio, talvolta sono buone, talvolta appena sufficienti.
Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?
Molte donne, ma anche uomini, sensibili e sognatori. Mi scrivono, vogliono raccontarsi, chiedono consigli, amano confrontarsi. Io rispondo e talvolta sono nate anche delle belle amicizie.
“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?
Credo che il libro sia uno psicanalista alla portata di tutti. È uno specchio, prezioso e affidabile. Sì, sono d’accordo con Proust.
Ti piacerebbe vedere i tuoi personaggi muoversi su uno schermo?
Non lo so. Le immagini sono fatte per raccontare un’azione e nei miei libri ci sono tanti stati d’animo che andrebbero persi. Ma naturalmente sarei lusingata dalle attenzioni di alcuni registi…
Che altre passioni coltivi, oltre la scrittura?
La lettura, senza di essa non può esserci buona scrittura. Il ballo che stimola il cuore in tutti i sensi. La cucina, perché siamo quello che mangiamo. Le passeggiate, il mare, i figli, le amiche.
Dopo “Manna e miele, ferro e fuoco”, Mondadori, 2011, “Panza e prisenza”, Mondadori, 2012 e “Adele”, Nottetempo, 2012, che cosa dobbiamo attendere in libreria?
Uscirà a marzo, l’otto, data simbolica fortemente voluta dall’editore. È una saga familiare che ruota attorno al caffè, ma la vera protagonista è la città di Palermo.
Per contattare Giuseppina Torregrossa o avere altre informazioni sulla sua scrittura visitare il suo sito internet: http://giuseppinatorregrossa.com/