Titolo: IL LIBRO DELL'OPPIO
Autore: CATERINA DAVINIO
Editore: Puntoacapo, Novi Ligure 2012.
Postfazione: Mauro Ferrari
Oppio e oppiacei, vizio letterario per eccellenza - con precedenti ed esponenti del panorama letterario, da Baudelaire a De Quincey, da Coleridge a Burroughs - trovano in quest'opera uno spazio non gravato da vittimismi né da pregiudizi, con una prospettiva delirante, ma libera da censure e tabù.
Dalla nota introduttiva: “Questi sono infermi (e infernali) paradis artificiels... Di certe malattie del corpo e dell'anima forse è meglio non parlare, dissimulare, non turbare la suscettibilità di chi al mondo riesce a dipartire con tanta sicurezza il bene e il male, la salute e l'afflizione, il paradiso e l'inferno. Infatti, questo libro è rimasto inedito, ed oserei segreto, per più di un ventennio”.
Mauro Ferrari nella postfazione osserva: “È una poesia che raccoglie in un unico fardello un’esperienza di vita comunque piena e dolorosamente gioiosa – avanzerei anch’io un ossimoro – che in Italia ha ben pochi uguali, e che non si rifugia nemmeno nel maledettismo più o meno di maniera, né tantomeno nel moralismo. […] Quella di Caterina Davinio è una poesia che gronda vitalismo,
fisicità e corporalità, che credo ci faccia amare oltremisura la vita proprio perché affonda le unghie nell’abiezione, nell’azzardo e nella morte – nella sfida alla morte, anzi, e senza retorica, né nella costruzione dei versi né nella dimensione narrativa di questa sorta di diario allucinato e lucido. […]
Storia? Sì, le date (a cavallo fra il 1975 e il 1990) ci raccontano di anni di piombo ed eroina; i singoli testi ci raccontano però una storia – meglio, ci offrono istantanee frammentate, a heap of broken images che non ambiscono a un’organicità assoluta – attraverso cui la ricerca del piacere (momentaneo ed effimero, come è sempre leopardianamente il piacere) si fonde con l’immersione nel dolore come sistole e diastole. La ricerca affannosa della droga è vagabondaggio, dilazione e attesa (« l’attesa è tutto»); la resurrezione alla vita dopo una notte di droga, o la lucidità che illumina fra due baratri è dunque la conferma terribile di quanto valga «quella vita che manca», di come essa vada corteggiata per sentirsi vivi un giorno di più, ebbri sul bordo dell’abisso”.