Pubblicato il 08/04/2008
VANDANA SHIVA LA GLOBALIZZAZIONE E IL POTERE SPIEGATO CON OCCHIO CRITICO DA UNA SCIENZIATA INDIANA
Anticipiamo un brano tratto da "India spezzata", il nuovo saggio della scienziata indiana Vandana Shiva, che la casa editrice il Saggiatore manda in libreria il 3 aprile (Collana Pamphlet, traduzione di Gianni Pannofino pagg. 192, euro 12).
I capi delle corporation e dei governi occidentali hanno imposto al mondo la globalizzazione promettendo pace e prosperità. E invece ci troviamo alle prese con la guerra e la crisi economica. La prosperità si è rivelata effimera, e le sicurezze economiche di base per popoli e paesi stanno rapidamente scomparendo. Cominciano a verificarsi casi di morte per fame in paesi come l'Argentina, dove questo problema non era mai esistito. La fame è tornata a colpire paesi come l'India, che aveva superato carestie - come quella che nel 1942, sotto il regime coloniale, uccise due milioni di persone - e garantito la sicurezza alimentare attraverso politiche di intervento pubblico elaborate democraticamente. Persino le economie ricche di Stati Uniti, Europa e Giappone stanno vivendo una fase di declino. La globalizzazione ha chiaramente fallito l'obiettivo di migliorare le condizioni dei cittadini e dei paesi. Se è vero che la globalizzazione ha aiutato alcune corporation ad ampliare i loro profitti e i loro mercati, molte altre aziende, tra cui Aol Time Warner ed Emon, hanno fatto bancarotta o hanno perso valore. La via della globalizzazione si è rivelata una ricetta insostenibile per i ricchi e causa di impoverimento e disgregazione sociale per i poveri.
L'altra promessa della globalizzazione era la pace, e invece ne abbiamo ereditato solo terrorismo e guerra. La pace sarebbe dovuta scaturire da una accresciuta prosperità globale ottenuta attraverso la globalizzazione. La realtà che si dispiega sotto i nostri occhi, invece, è quella della povertà; l'insicurezza economica e l'esclusione creano le condizioni per lo sviluppo del terrorismo e del fondamentalismo. L'esclusione economica e politica, insieme allo sgretolamento della sovranità economica dei singoli stati, sta spingendo molti giovani verso il terrorismo e la violenza quali strumenti per conseguire i loro obiettivi. Il venir meno dell'autodeterminazione economica degli stati nazionali e l'estendersi dell'insicurezza economica finiscono per trasformarsi in un terreno fertile per la crescita di gruppi politici fondamentalisti di estrema destra che sfruttano la realtà dell 'insicurezza economica per attizzare il fuoco dell'insicurezza culturale:
Questi, come mostra il caso dei sostenitori dell'hindutva nel Gujarat, riempiono il vuoto lasciato dal crollo del nazionalismo economico e della sovranità economica con un programma pseudonazionalista improntato al "nazionalismo culturale". A livello globale, la retorica dello "scontro di civiltà" proposta da Samuel Huntington, insieme alla guerra contro l'islam, svolge la stessa funzione assolta a livello nazionale dai programmi politici fondati sul nazionalismo culturale e sull'ideologia fondamentalista. Analizzando la crescita delle ideologie fondamentaliste, se ne osservano due forme che paiono convergere, rafforzandosi e sostenendosi a vicenda. La prima è il fondamentalismo liberista della globalizzazione. Questo tipo di fondamentalismo ridefinisce ogni forma di vita in termini di merce, la società in termini economici, e il mercato come mezzo e fine dell'iniziativa umana. Per essi, il mercato è l'unico strumento adatto alla distribuzione di cibo, acqua, salute, istruzione e altre necessità essenziali. Il mercato diventa l'unico criterio organizzativo e amministrativo e si trasforma in metro della nostra umanità. L'appartenenza al genere umano non conferisce più i fondamentali diritti scolpiti in tutte le costituzioni nazionali e nella Dichiarazione dei diritti umani dell'Onu.
Il fatto di venir considerati come esseri umani dipende dalla nostra capacità di "acquistare" ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. In questo tipo di mercato, tutte le cose necessarie alla sopravvivenza - acqua, cibo, salute e sapere - si sono trasformate in merci controllate da una manciata di corporation. Per effetto della globalizzazione, tutto è merce, tutto ha un prezzo. Nulla è sacro. Non esistono più i diritti fondamentali del cittadino né i doveri fondamentali dei governi.
Il fondamentalismo del mercato si fonda, a sua volta, su altri due tipi di fondamentalismo: quello tecnologico e quello del commercio, che si caratterizzano sempre più chiaramente come gli strumenti essenziali di questo nuovo totalitarismo. Storicamente, l'uso della tecnologia è sempre stato in contrasto con i fini e le dottrine della religione. Eppure, la tecnologia e l'ideologia religiosa avulse dal loro contesto sociale ed ecologico e da un sistema di regole finiscono per diventare entrambe strumenti di guerra e militarizzazione. In questo senso, la guerra all'Iraq è stata, al contempo, il dispiegarsi di una nuova crociata religiosa in nome del fondamentalismo cristiano e una prova di forza fondata sulle "bombe intelligenti" e sulle tecnologie digitali. I neocon di Washington sono allo stesso tempo fondamentalisti religiosi e tecnologici. Il fondamentalismo rende irrilevanti le categorie di tradizione e modernità; come principio organizzativo, le ideologie fondamentaliste scelgono piuttosto un criterio di esclusione/inclusione.
Il fondamentalismo di mercato della globalizzazione - con l'esclusione economica che comporta - dà origine a una politica di esclusione. Questa viene rafforzata e sostenuta da partiti politici fautori del fondamentalismo, della xenofobia, della pulizia etnicae del rafforzamento del patriarcato e delle caste. La cultura della mercificazione ha portato a un aumento della violenza contro le donne in ogni sua forma, da quella domestica a quella sessuale, dall'aborto selettivo per i feti femminili alla tratta vera e propria. La globalizzazione, che nasce come progetto patriarcale, ha perciò rafforzato l'esclusione patriarcale. Le atrocità commesse dalle caste superiori ai danni dei dalit (gli "intoccabili") si sono intensificate per via del nuovo potere conferito dalla globalizzazione alle caste superiori che hanno ottenuto l'accesso al mercato globale e puntano a usurpare i poveri e gli emarginati - soprattutto dalit e popolazioni tribali - per sfruttare le loro risorse a fini commerciali. Le leggi di riforma agraria che avevano reso inalienabile il diritto dei dalit alla terra, sono state revocate. Il devastante impatto sociale ed economico della globalizzazione colpisce in primo luogo le donne, i dalit, le popolazioni tribali e le minoranze in genere. Benché nuovi movimenti di solidarietà - come quello del popolo indiano contro l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) - stiano forgiando alleanze tra movimenti politici diversi, questi sono sottoposti al violentissimo attacco della politica dell' esclusione.
L'insicurezza e le inevitabili ricadute della globalizzazione accrescono la vulnerabilità dei cittadini nei confronti delle politiche che teorizzano l'esclusione. Per chi esercita o cerca il potere, la politica dell'esclusione sta diventando una necessità politica: va a colmare il vuoto creato dalla crisi della sovranità economica, del welfare state e di una politica fondata sui diritti economici per tutti, sostituendovi una politica dell'identità. Per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi della globalizzazione - la mancanza di lavoro, di mezzi di sostentamento e di beni essenziali - il fondamentalismo e la xenofobia intervengono come strumento della globalizzazione capitalista. Dividono, distolgono e distraggono la gente garantendo al progetto di globalizzazione una sorta di immunità. Una forma di nazionalismo culturale, brandito a sostegno della globalizzazione economica e della dittatura del capitale, va così a sostituire la sovranità economica e le idee di nazionalismo economico e di democrazia a essa collegate.
Gli indiani si sono ripetutamente espressi contro la globalizzazione e contro la liberalizzazione del commercio che crea dieci milioni di nuovi disoccupati ogni anno, impoverisce i contadini e toglie diritti a chi è già emarginato. Tuttavia, nella campagna elettorale del 2002 in Gujarat, dopo il massacro di duemila musulmani, i politici hanno trascurato del tutto i problemi fondamentali dei cittadini per insistere sul conflitto tra maggioranza e minoranza. L' aritmetica ha garantito la vittoria al partito che aveva creato un solco tra maggioranza e minoranza e seminato odio e paura tra la popolazione civile con stupri e omicidi. Questo programma violento e settario è attualmente in fase di sviluppo in vista di tutte le future consultazioni elettorali. E mentre erano in corso i massacri, e l'attenzione nazionale era concentrata sulle contromisure per frenare il conflitto tra comunità e il fondamentalismo, il processo di globalizzazione ha subito una forte accelerazione. Si è dato il via libera agli organismi geneticamente modificati; sono state modificate le leggi sui brevetti per consentire di brevettare gli esseri viventi; è stata adottata una nuova politica dell'acqua basata sulla privatizzazione delle risorse, mentre altre politiche mirate sono andate a smantellare la sicurezza del lavoro e alimentare delle popolazioni. La legge finanziaria indiana del 2001 ha ulteriormente promosso gli obiettivi della globalizzazione sfruttando il diversivo del conflitto tra comunità e fedi religiose per dare scacco all'opposizione democratica.
Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, la guerra contro l'Iraq è diventata un ottimo diversivo per distogliere l'attenzione da temi quali la crescita della disoccupazione e dell'insicurezza economica e ha promosso una politica dell' odio utile quale indiretto sostegno al fallimentare progetto della globalizzazione.
Abbiamo bisogno di una nuova politica di solidarietà e di pace, che affronti al contempo la violenza e l'esclusione prodotte dalla globalizzazione,la violenza del terrorismo e del fondamentalismo e quella della guerra. Queste diverse forme di violenza e di fondamentalismo hanno radici comuni e richiedono perciò una risposta comune. La globalizzazione è refrattaria al decentramento economico, alla democrazia economica e alla diversità economica. Il terrorismo e il fondamentalismo non tollerano la diversità culturale. E la macchina della guerra non ammette l'''altro'' né la risoluzione pacifica dei conflitti.
La nostra risposta alla globalizzazione deve proteggere le nostre diverse economie a livello nazionale e locale. La risposta al fondamentalismo consiste nel valorizzare le nostre diversità culturali. La risposta alla guerra sta nel riconoscimento dell"'altro" non in quanto minaccia, bensì come precondizione del nostro stesso essere. Immaginate quanto sarebbe diverso il mondo se si basasse su una filosofia di reciproca interdipendenza, invece che sulla filosofia attualmente dominante per cui l'esistenza dell'altro è vista come minaccia alla propria.
Se il presidente Bush riuscisse a vedere il Tigri, l'Eufrate e la civiltà mesopotamica come il luogo d'origine della sua stessa civiltà, se solo riconoscesse le nostre comuni radici e la necessità di un'evoluzione comune, non si darebbe così tanto da fare per cancellare queste radici storiche con bombe tele guidate e armi di distruzione di massa. Se chi controlla il capitale riuscisse a capire che la propria ricchezza incorpora la creatività della natura e la forza-lavoro umana, non stabilirebbe regole di mercato che distruggono la natura e le possibilità di sopravvivenza delle persone. Il fondamentalismo del mercato, però, e quello delle ideologie basate sull' odio e sull'intolleranza affondano le loro radici nella paura: paura dell'altro, delle sue capacità e creatività, della sua autonomia e sovranità.
Attualmente assistiamo ai peggiori esempi di violenza organizzata dell'umanità contro se stessa. E ciò accade perché abbiamo perso di vista le filosofie che promuovono l'inclusione, la compassione e la solidarietà. E questa la conseguenza più grave della globalizzazione: la distruzione della nostra capacità di essere umani. Recuperare la nostra umanità è indispensabile se vogliamo sperare di contrastare e sovvertire questo progetto inumano. Il dibattito sulla globalizzazione, in definitiva, non ha per tema il mercato né l'economia, bensì la nostra coscienza di appartenere tutti all'umanità, nonché il rischio di dimenticare quel che significa essere umani.
Traduzione di Gianni Pannofino © il Saggiato re S. P. A., Milano 2008
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