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L’isola riemersa

Poesia

Umberto Crocetti
Calabria Letteraria Editrice

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 26/06/2015 12:00:00

 

Racconto di un'anima che via via riemerge dai promontori e dalle secche di "un dialogo con l'ombra" vissuto e portato con la franchezza dolente e senza sconti di un'età matura che di sé sa infingimenti e sconfitte, abbandoni e impossibili ricuciture, quest'ultimo lavoro di Umberto Crocetti, medico calabrese (ma residente in Puglia) alla sua quarta pubblicazione. Confronto che inevitabilmente, allora, per consapevolezze e parabole delle istanze, non può non cadere nell'assunzione di "toni cupi", come lo stesso autore registra; ma che pure, a dire il vero, proprio nel disinganno, nella sua più che diaristica scrittura sembra in qualche modo trovare l'arma di tenuta della frattura ("Ho un ago nella testa/per ricucire idee/e un filo di paura tra le dita" nella spuntata confessione de "Il matto). Ed è questo che ce la rende cara, perché profondamente onesta e umana la poesia che da queste pagine si interroga e ci interroga togliendo progressivamente ogni velo alle piccole e grandi oscurità che finché non dette, finché non restituite al filtro giusto della coscienza, ci insabbiano nell'inutilità di promesse e tempi non mantenuti. Quel che resta è un peso e un coraggio insieme di difficili ma necessarie ripartenze nella rete di ricordi, figure e movimenti, di quasi impossibili raccordi in cui per larghi tratti solo la corrispondenza della natura, pur distante a volte, pur dominante, pare dilatare in un eco di serene risonanze. Crocetti è poeta colto, infatti, e dimostra di saper sciogliere bene nella spoglia risolutezza di una conoscenza che è anche malinconica riscrittura di sé e del mondo, più concreta e prossima a uomini e persone, quel disordine così tanto ardemente vezzeggiato e di cui forse (come tra i più, o come il tragico protagonista in "Giovanni dalle bande nere") ha saputo o creduto di restare vittima. Così, al proposito, correttamente ci guida Vittoria Butera nella prefazione quando ne sottolinea la capacità di guardare alla realtà facendo affiorare (smaterializzati i luoghi dalla definizione geografica nell'interiorizzazione dell'io) gli aspetti umili delle cose e del mondo; nell'ulteriore aggiunta però secondo noi, anche di una parola che è soprattutto gesto, grido che stagliandosi dapprima oltre la fragilità di se stesso (o da lì partendo sempre in riferimento ad una vigilanza della coscienza spesso ossessiva) sa fondersi e risolversi, tra sensi e forme, nel silenzio della composizione netta del paesaggio dove il pensiero nel desiderio si sospende come tra lentezze e immobilità di destini che si sfiorano (tema anche questo, non a caso, altro punto fermo del libro). Nel centro dell'attesa, dunque, nel dialogo allargato tra parola e foglio (in "quest'ansia costruita sul bisogno/ quando silenzio e suono/ hanno stessa valenza"), come dall'omonima poesia, la linea di partenza - più che d'arrivo- dunque e " limite alla dismisura" ( nel " segreto del frutto che anticipa la semina" ) di una vita e di una scrittura insieme sotto il presagio panico, o il desiderio sì, di un qualcosa che inevitabilmente cadendo andrà a svelarsi (vedi la bellissima evocazione ne "Il silenzio crudele dell'estate":"Quanto manca tra l'alba e questo/ ponte? Quanto potrà durare/ la decadenza vigile dell'ombra?"). In questo pertanto la scrittura ha per Crocetti, nel disumano continuo senso di non appartenenza, in un "tempo che non ha tempo", per fermezza e determinazione del gesto con cui si affida sciogliendosi alla rivelazione comunque sempre benigna delle immagini, valore perfino di disagio necessario "nella logica del passaggio"; nell'impossibilità, infatti, di distinguere voci nel naufragio senza fine delle parole, l'azione poetica, accompagnando quel senso di pietà che sovente trasale dalla terra per le nostre debolezze ed incertezze, come l'amore tutto appare reggere ancora tra distanze e differenze apparentemente incolmabili, avvicinamento che dell'amore stesso ha la sua più capace metafora in "Distanze" dove gli amanti "li tiene uniti solamente una stella/ e il richiamo assoluto della terra" (come il marinaio e l'astronauta qui richiamati nella differente percezione di mare e cielo). Nella consapevolezza in lui sempre presente dell'infruttuosità della conoscenza, sa pure bene quindi che se prendere atto del fallimento è il dolore più grande, più grande ancora è non comprenderlo soprattutto se si è stati molto vicini al volto vero delle cose. Ed è questo pertanto il gesto che può ridare sangue al cuore che ne è privo, nella piena realtà di un dolore che se assunto, come detto, in tutte le sue accezioni alla luce vitale della coscienza è capace di scrostare la realtà dai suoi falsi domini riportandola al suo centro. Altrimenti il rischio, come nei sogni dove nelle proiezioni figure d'altri prendono il nostro posto, è il non aver "scampo da noi stessi" in un rovesciamento dove perfino lo spazio esterno pare stanarci a ricordare la colpa "di non aver voluto superare/ nello scatto il destino", di esservi arresi. Lo scatto, in conclusione, è suggerito nel testo da cui prende titolo il libro in cui se l'isola riemersa è anche quella di un io sconfitto, le insenature allora sono i nodi di un'esistenza che deve spogliarsi dei pesi e dei fantasmi che la trattengono. Nella lotta al demone, "con parole orfane di voce/ inizia il rito della decostruzione" sottolinea finalmente una volta su tutte, per non cadere più, come ne "L'innocente" (la poesia dedicata a Camus) "ad occhi chiusi/ nelle pagine della storia,/come in una cella prigionieri di una promessa". Testo dunque ricco cui andrebbe forse dedicato maggior spazio qui avendo seguito solo alcune delle tracce più evidenti. Solo eccesso, ci sembra, il numero dei testi presentati che alla lunga rischiano la dispersione del dettato.

 


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