Pubblicato il 04/10/2013 12:48:18
Giovanni Cocco “La Caduta” – Nutrimenti 2013
È un fatto, la ‘cronaca quotidiana’, o meglio dei ‘quotidiani’, entra in libreria dalla porta principale nelle pagine di questo libro che solo per volontà dell’editore possiamo definire ‘romanzo’. Per dire che non si sta parlando della grande letteratura bensì di una raccolta intelligente di ‘fatti’ che rientrano nel quotidiano di tutti noi. In quella storia stracolma di eventi di cui siamo rispettivamente partecipi e ‘non protagonisti’ come si usa dire in ogni premiazione cinematografica, alle prese con un protagonista che, per qualche ragione, ha dato il suo contributo alla ‘piccola o grande’ storia umana che è stata narrata. È il caso di questo libro di ‘fiction’, come bene annunciato nelle pagine del prologo e in quelle dell’epilogo, ma ancor più in quelle distinte come ‘nota dell’autore’ che egli ha posto, una volta finito di raccontare, in fondo, prima dell’ultima di copertina. In breve si tratta di una serie di ‘racconti’ ricostruiti sulla base di conoscenze e considerazioni personali che poco lasciano al lettore di avventurarsi nei meandri degli accadimenti quanto, invece, di ricevere stimoli e rendersi partecipe di fatti trascurati o superficialmente valutati e, ‘pensare’, ecco l’importante sollecitazione di un libro siffatto, di come ci si sarebbe comportati di fronte a tali accadimenti. Non è cosa da poco se si pensa che molta letteratura d’oggi si basa sul ‘nulla’ o sul ‘vuoto’ intellettuale. “Io non volevo essere uno strumento. Volevo essere un protagonista” – scrive Giovanni Cocco – in questa sua prima prova letteraria che, malgrado la sua negatività, si può definire riuscita, per quanto riguarda la scrittura sciolta e vivace, non tanto per la chiave di ‘romanzo’ che di per sé impegna e vuole essere impegnativa. Ma se l’importanza è esserci, come dire, leggere, pensare, scrivere, dire la propria, allora il risultato è ottimale, non secondo alla grande letteratura di cui parlavo poco prima. In fondo è il risultato che conta. Allora avventuriamoci nei contenuti. L’obiettivo riflette indubbiamente quello di un caleidoscopio le cui immagini decuplicate vengono scomposte e, in qualche modo, trasformate (da cui la fiction denunciata dall’autore). Così accade anche con i numerosi personaggi tenuti da un unico motivo conduttore qua e là spezzato e ricongiunto, come fosse un leit-motiv che ritorna più volte nella composizione della colonna sonora, i quali “si attraggono a tracciare una geografia” geo-politica inedita di “declino e riscatto”. Da cui il titolo “La Caduta” che altro non vuole essere dall’elencazione di altre ‘cadute’ che sono la ripetizione di se stesse, innumerevoli nella vita dell’uomo come della donna in questa società, che non permette di rialzare la testa e guardare in faccia le cose per quelle che sono, bensì solo attraverso la ‘finzione’ d’una realtà fittizia, immaginaria perché artata dal nostro osservarla attraverso il caleidoscopio che ci siamo costruiti e che ne deforma la concretezza. Assicura Naomi Wolf nel suo "Il mito della bellezza" (Mondadori), che: "Le società si creano delle finzioni, alla stessa maniera degli individui e delle famiglie. (..) Finzioni che Enrick Ibsen chiama 'menzogne vitali' e lo psicologo Daniel Goleman asserisce interagiscono a livello sociale allo stesso modo. La collisione è mantenuta dirottando l'attenzione dal fatto terrificante, o riconfezionando il suo significato in un formato più accettabile. L'illusione che ne risulta si materializza in qualcosa di fin troppo reale; cioè smette di essere solo un'idea per diventare qualcosa di tridimensionale, incorporando in sé il modo in cui vivono e quello in cui non vivono gli eseri umani". 'La Caduta’ pertanto, rappresenta il male cui andiamo soggetti per effetto della transustanzialità dei nostri problemi irrisolti, 'mea culpa', che ci portiamo dietro. Un po’ come se la paura della ‘verità’, che invece dovremmo perseguire, fosse più forte di noi, quasi fosse in noi più difficile uccidere i nostri fantasmi che le nostre paure. “Nella testa rimbalzano immagini e pensieri, in un vortice di emozioni che non mi lascia tregua. Sono imbevuta di pensieri che derivano dalle mie letture e a fatica, ora, riesco a distinguere ciò che è reale da quello che è suggestione” fa dire Giovanni Cocco a uno dei suoi personaggi. Ma fino a che punto può spingersi la volontà degli uomini? Dove inizia il male? In quale preciso istante un uomo sceglie deliberatamente di compiere un crimine? – queste ed altre domande si pone l’autore del libro, ma chi è in grado di rispondere se ognuno di noi è in qualche modo diseguale dagli altri. Una risposta lui l’ha trovata in Agostino (Sant’), il quale sosteneva che “..le ragioni del male compiuto dall’uomo fossero da attribuire al libero arbitrio concesso da Dio alla natura umana”. E ci dev’essere, anzi c’è senz’altro qualcosa di vero in ciò, se accettiamo che c’è fin qui lasciata la libera scelta di decidere per la ‘verità’ o altro, di guardare in faccia la ‘realtà’ senza ometterla, di determinare o no il nostro destino umano sulla terra. Per altro lasciamo a Dio di gestire le nostre anime. È questa una riflessione sulla quale Giovanni Cocco ci introduce con i suoi richiami (in apertura di ogni capitolo) alla ‘Apocalisse’ di Giovanni, non senza sostenerci nelle nostre risollevazioni dopo le ripetute ‘cadute’, neppure fossimo tutti poveri Cristi. Ma non c’è compassione, (probabilmente e meno male la parola non fa parte del suo vocabolario), non c’è però neppure pietà. Egli (l’autore) non si piange addosso, né si commuove alla prova della sventura degli altri. Semplicemente se ne fa partecipe e ci rende tutti partecipi di quella volontà superiore (struttura) che sembra fustigare questa umanità reietta (struttura nella struttura) che soggiace supina alla catastrofe (apocalittica) finale. “Gli ultimi saranno i primi” – il detto evangelico citato da Giovanni Cocco non da garanzie di sorta e non fa sconti a nessuno. Ciò che non si capisce dalle pagine del libro è piuttosto il perché “gli ultimi saranno i primi”. Primi di chi? Davanti a chi? Solo perché attori ‘non protagonisti’ oppure in ragione di scalata sociale-economica-intellettuale non realizzata in questo suo primo libro, ma che potrebbe anche accadere se l’autore in seguito ci farà dono di un secondo libro/romanzo esplicativo e di più ampio respiro. Sulla cui ‘scia’ anche il lettore (sprovveduto) potrà aprire un credito a quel ‘riscatto’ che dice di voler raggiungere. “È il 30 settembre, oggi. L’autunno sembra non avere intenzione di arrivare quest’anno. Là fuori, adesso, riesco a sentire il rumore degli scontri. Gli slogan del corteo. Le sirene delle ambulanze. La folla assiepata nella piazza del Nettuno, davanti alle Cortes, intona canti di protesta. Chiudo la finestra. Mi assicuro che radio e televisione siano spente. Poi mi metto a letto. C’è solo silenzio intorno”.
“Il resto è silenzio!” – scriveva W. Shakespeare nella chiusa di ‘Amleto’.
Giovanni Cocco è nato a Como nel 1976. Vive a Lenno, sulla sponda occidentale del Lario. 'La Caduta' è il suo primo romanzo.
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