Pubblicato il 10/09/2012 17:50:17
“La parola umana è in rapporto con l’anima, ma non l’esprime, come fa invece lo stile” [M. P. All’ombra delle fanciulle in fiore] Ho avuto modo, durante queste ultime vacanze, di leggere vari testi, alcuni di autori affermati, altri di scrittori all’inizio della carriera, e comunque misconosciuti dai più. Lungi da me il voler dare lezioni di scrittura o consigli, i quali, si sa, valgono quel che costano, per cui mi limiterò ad alcune riflessioni, diciamo così, a voce alta. O a tastiera sotto le dita. Ed inizio proprio da qua, la tastiera; se uno è bravissimo a digitare ciò non significa che poi deve andare avanti a scrivere all’infinito e propinare ai lettori sei settecento pagine di niente, giusto per l’ebbrezza di vedere le proprie dita volare su quei graziosi quadratini color avorio, costellati di letterine nere. E poi, il fatto che c’è il copia ed incolla non significa che vada usato a spron battuto, se una frase riesce bene, una locuzione piace, invece di ripeterla ogni venti pagine, o alla minima occasione, sarebbe forse bene interrogarsi perché queste parole suonano tanto bene insieme, e trovarvi dei validi sostituti. Il lettore odia vedere la stessa frase ripetersi, altrimenti starebbe sempre sulla stessa pagina e non dovrebbe scomodarsi per andare alla successiva. Sempre in tema di word, le citazioni prese dalla rete ed inserite, sempre col copia e incolla, si notano da lontano come delle toppe colorate su uno smoking, evitarle porrà al riparo da brutte figure. Inoltre, se la parola che vi suona bene apparirà sottolineata, invece di twittare “ho creato un neologismo” interrogatevi perché forse la parola non è ancora mai stata usata perché sbagliata. Se scrivendo pensate che un avvenimento accadrà di lì a tre giorni, dovete tenerlo ben presente, è inutile incastrare nei discorsi del martedì un “ci vediamo giovedì”, se poi nella foga della scrittura i protagonisti l’indomani già ci danno dentro in quello pattuito per il giovedì. O, almeno, l’autore dovrebbe informare anche i lettori, non solo i protagonisti. E poi, che vostra nonna era una maga nel fare gnocchi e sfornare crostate è un bel ricordo, e in famiglia, immagino, siano tutti strafelici di ciò, ma i cari lettori, dopo duecento pagine di elogio della nonna e dei suoi manicaretti, magari non ne possono più. Così pure la vita di ognuno è unica ed irripetibile, ma costruire un romanzo di 300 pagine sui giorni dell’asilo con corredino di pipì e popò è francamente troppo, al massimo potrà essere un manuale di puericoltura: Cosa evitare nell’infanzia per non avere un adulto scrivente a vuoto. I fatti privati sono bellissimi, sono ricordi indelebili che danno gioia, ma le pagine di diario minimo trasferite di peso in un “romanzo” annoiano il lettore, lo lasciano a bocca asciutta. E poi ripetere “io io” a bizzeffe sembra più un raglio che un soggetto. Se ormai, scrivendo sms o commenti su facebook, la grammatica e la sintassi sono quasi scomparse, in un libro no. I verbi vanno coniugati e tale coniugazione dovrà restare valida per tutta la frase, almeno, non che diventi ballerina, la consecutio è un sentiero che guida il lettore, senza di essa ci si perde. Certi termini stranieri tanto simpatici e trendy (pure smart) possono abbellire un romanzo, dargli quell’aria di modernità che danno certi faretti Ikea in qualunque casa, ma teniamo presente che, sebbene straniere, le parole conservano un significato molto preciso, e vanno usate a dovere, appunto, nessuno usa un faretto Ikea come porta vaso, anche se moderno e trendy. Le barzellette e le battute stanno bene al bar con gli amici, in un libro spesso si inseriscono a gamba tesa, fanno storcere il naso, sanno di naftalina. E se volete ambientare la storia negli anni sessanta tenete presente che i telefonini non esistevano ancora, la tv era in bianco e nero e il pc era di là dall’essere inventato. Un romanzo dove non si ha voglia (o capacità, o veramente non si ha, tristemente, niente da dire) di raccontare nulla non serve a granché, dopo che l’autore ha sciorinato i suoi giochetti linguistici, le frasi ad effetto che teneva in serbo da tempo, se non accade nulla il lettore sbuffa e dice “E allora???...” E poi, i testi si leggono e rileggono, se le parole stridono, se i verbi scricchiolano, se le parole cambiano di significato col vento il lettore se ne accorge subito, e non guarderà con indulgenza all’autore anche se questo sta narrando dei suoi pomeriggi nell’aia di nonna, o dei suoi amori dell’università, perché tanto già non è interessato alla storia, se è pure malmessa figuriamoci… Inoltre se i dialoghi prevedono numerosi scambi, attenzione al fatto che dopo un po’ ci si perde: chi ha detto cosa? E per finire (?) tener sempre ben presente che il lettore tende a distrarsi più che ad essere chiaroveggente, per cui spiegate bene quel che volete dire, il lettore non ha granché voglia e/o capacità di penetrare nei meandri della vostra fervida mente per scovarvi il significato di quel che scrivete: siate chiari, concisi e spiegate quel che va spiegato. Certo è inutile spiegare cosa fa una commessa, ma se questa fugge a gambe levate dal negozio magari uno si chiede anche il perché. Diciamolo al lettore, prima o dopo, ma non lasciamo una azione, una frase, un discorso isolati senza nesso. E per finire, lo scrittore si dovrebbe ricordare che il lettore se si appassiona si appassiona davvero, magari si affeziona ai personaggi del libro che legge, sopporta di vederli sposare con chi vogliono, di fuggire morire, ma non sopporta MAI che un personaggio scompaia dalle pagine senza nessun motivo. Buona scrittura e buona lettura!!
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