Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul, un viaggio attraverso chiese cristiane, alti minareti e grandiose moschee, bazar e labirinti di piccole strade in cui una moltitudine variopinta di turisti spesso s’inoltrano senza neppure conoscere ciò che osservano con tanto clamore, mescolando al mito la narrazione della storia che i luoghi, e non solo quelli adibiti al culto, raccontano di conquiste e distruzioni, di regni caduti e risollevati, di splendori e meraviglie, ma anche di ricchezze e fasti così come di ombre e oscurità improvvise nonché di orrori e miserie umane che nel tempo ne hanno fatto una ‘seduttrice, conquistatrice, sovrana’. L’unica città al mondo che più d’ogni altra sfugge ostinatamente dalla sua cornice ‘metropolitana’ per innalzarsi al di sopra delle sue cupole nel mistero che la contempla, separata dal resto del mondo, come di soglia posta fra Oriente e Occidente a rimarcare un’ultima possibilità di congiungimento.
Quasi una ‘fibbia di civiltà’ che pure contiene le due diverse sponde del vecchio e del nuovo mondo (la Roma Imperiale e la Nuova Roma), non necessariamente in contrasto con la modernità dei tempi, né con il medioevo in cui ciò che rimane del passato debba considerarsi oscuro e polveroso. Il futuro della modernità passa da Istanbul, una città viva in cui ogni pietra, ogni accadimento, parla della storia che sarà, una storia ancora tutta da scrivere in cui il passato si congiunge con il futuro. Una storia che Franco Cardini pone come ‘in prospettiva’ e che un soprassalto di civiltà salverà dall’eterno conflitto con se stessa e con il mondo intero, la cui vera identità è forse da cercare nella conoscenza (mai obsoleta) di ciò che la distingue, all’interno del conflitto religioso che ne contende la supremazia. In quel suo essere stata Bisanzio e poi Costantinopoli e in epoca moderna essere Istanbul la cui ‘storia’ va riletta e reinterpretata secondo il punto di vista degli storici arabo-mussulmani, osservata dalla parte opposta del Bosforo, cioè dalla parte orientale-balcanica, per acquisire veridicità.
Dunque non una qualsiasi guida ma più di una semplice guida, la città di ‘Istanbul’ contenuta in questo libro ‘unico’ rivendica a suo favore un confronto con l’approssimarsi del tempo che la separa da noi occidentali per riprendere a correre nel tempo della realtà, in cui il dibattito delle idee (che ci siamo fatte) su di essa, trovano un loro riordino della costruzione smessa, intrapresa in illo tempore, della Nuova Roma, con quella in atto di Istanbul in quanto nuova città metropolitana condivisa e sostenibile. “E ora proviamo ad avvicinarla fisicamente, la gran Città: dalla terra attraverso le vie che la raggiungono provenendo dai Balcani e dalla «Turchia europea», l’antica e gloriosa Tracia; dal Mar nero e dal Mar di Marmara attraverso i varchi del Bosforo e dei Dardanelli; dal cielo, puntando dritto sui suoi minareti e quindi attraversando, dall’aeroporto Ataturk, i suoi quartieri settentrionali.
Dal cerchio delle sue caotiche e iperabitate periferie dove lussuose residenze ipermoderne, grattacieli vertiginosi e miserabili bidonville coabitano e contrastano, fino al centro dei mosaici di Santa Sofia e dei padiglioni del Topkapi. E percorriamo da lì, da quel centro, il labirinto dei suoi quartieri ora sontuosi ora sordidi, in saliscendi o addirittura quasi sempre ripidi, dove con mirabile impudicizia ruderi romani, fatiscenti dimore ottomane di legno, superbi palazzi e postmoderni, talora improbabili edifici si alternano e si mischiano in un disordine che per spiegarci il suo significato avrebbe bisogno solo di una formula magica in grado di conferirgli senso”. Innumerevoli quindi i punti di osservazione suggeriti, e quanti aspetti inusitati da quelli proposti al visitatore e dal turista che si voglia chiamare; tuttavia la differenza è quasi totale perché ciò che si propone il visitatore è qualcosa di diverso da ciò che riesce a malapena a cogliere il turista. C’è un mare di cultura di mezzo, la conoscenza in primis, cosicché documentarsi, consultare, aprirsi è quanto suggerisce di fare Franco Cardini con questo ‘libro’ documentatissimo di storia, di aneddoti ricercati, d’arte e di stili, di usi e costumi di popoli a confronto, che in ‘Istanbul’ egli propone come una lunga narrazione mai interrotta:
“Ma sarebbe una paradossale e contraddittoria formula magica, del tipo di quelle reperite in certi misteriosi manoscritti dei quali si parla nelle ‘Mille e una notte’: in grado di rendere immortale chi la pronuncia, ma dotata del potere di uccidere chiunque, appunto per pronunciarla, sia costretto a leggerla”. Si denota in questo passaggio una volontà propria dell’autore, l’accentramento d’una conoscenza sopra le righe che da sempre diffonde nei suoi libri, coltivata da quella ‘curiosità’ che rende il visitatore l’assoluto protagonista della storia che sta vivendo.
“Ed eccola Istanbul: caotica e rumorosa eppur fasciata dall’assordante silenzio delle sue pietre e dei suoi secoli; cupa sotto l’abbacinante sole meridiano che obbliga a chiudere gli occhi o a proteggerli dietro spesse lenti color verdi o bruno; iridescente nella coltre di bruma che così spesso la fascia nei crepuscoli; luminosa di millanta luci nelle notti con e senza luna, con e senza le stelle. Inutile illudersi di conquistarla. (..) Istanbul non si conquista, esiste solo un modo per impadronirsene. Lasciarsene impadronire. (..) si fa presto a dire Istanbul. La città è propriamente una e trina, divisa in tre parti: dalle acque del golfo mediterraneo detto Mar di Marmara a sud – Propontis, la «Propontide» (il mare anteriore) -, il vasto e profondo bacino lungo 280 chilometri e largo 80 che attraverso i Dardanelli comunica con il Mar Egeo e che verso nord si biforca insinuandosi a nordest in uno stretto che misura più o meno una trentina di chilometri (Bogaziçi), che separa la costa europea dall’asiatica fino al Mar Nero; dal Corno d’Oro (Haliç), l’ampio fiordo che dal Mar di Marmara e Corno d’Oro, è la vera e propria sede dell’antica Costantinopoli”.
Dacché si comprende come Franco Cardini procede nell’illustrarci un suo (fra i molti possibili) itinerario per visitare la città, spostandosi di conseguenza da una zona all’altra, da una storia all’altra, da una realtà all’altra e raccogliere così quello che si definisce lo ‘spirito del viaggio’ che tutto coinvolge e trasforma: in cui la storia si fa dapprima leggenda per poi entrare nel mito. È allora che la narrazione di Istanbul diventa ‘una città nel mare della storia’; i frangenti dei mari che la bagnano ‘i flutti del tempo contro il molo dell’eternità’; la falce di luna simbolo dell’Islam turco ‘il segreto del crescente lunare’ che rischiara le notti del harem e del Serraglio, con le sue storie ‘romantiche’ e ‘sanguinarie’, tuttavia eccitanti quanto sconvenienti (per la nostra cultura). E inoltre le musiche, le danzatrici di ‘belly dance’, i sultani coi loro ‘padiglioni’ ricoperti di tappeti e cuscini, il tè alla menta, il caffè turco, l’hammam (sauna), le armi dalle impugnature incrostate d’oro e di pietre preziose, i vapori odorosi di essenze pregiate ecc. ecc.
In una parola: “Istanbul. Cioè per i romantici nostalgici Costantinopoli, per i dotti e i potenti la Nuova Roma, per l’antica leggenda ottomana il Rosso Pomo da cogliere. E ancora e sempre, Bisanzio: il chiaro di luna sul Bosforo, l’immagine da cui si è partiti, che riconduce (..) nella fitta cortina di nebbia che tanto spesso l’avvolge nei crepuscoli delle mezze stagioni (..) ma anche a tante altre impressioni e a tanti altri ricordi. Perché tale spettacolo è forse quello che, più di ogni altro, ha impressionato chiunque l’abbia vista per la prima volta, (..) regina più volte violata e sempre risorta, santa vergine e divina meretrice, centro misteriosamente posto a dominare contrapposta periferie tra Asia ed Europa, tra Cristianità e Islam, tra antichità e modernità, tra Oriente e Occidente..”.
Accompagnati dalla guida esperta di Franco Cardini sostiamo per un istante davanti al Gran Palazzo, in turco il Sarayi (da cui l’italiano Serraglio), cioè il palazzo imperiale d’epoca ottomana: “Si trattava in realtà di un insieme di giardini e padiglioni (..) separato dal resto della città da una cinta muraria esterna, all’interno della quale si situavano – come il visitatore moderno può ancor oggi constatare – spazi ordinati in cortili e giardini disseminati di padiglioni adibiti a vari uffici e servizi. Entriamo quindi nell’immenso complesso che ancora oggi prende il nome dal suo portale fortificato aperto verso la piazza Sultan Ahmet, il ‘Topkapi’, ovvero la «Porta del Cannone», praticabile da parte di sudditi e di stranieri fino ai quartieri riservati ai militari di guardia, ai funzionari di governo, alle donne”. Ben altre sono le porte che si richiamano alle diverse ‘corti’, a cominciare dalla «Grande Porta» (Bab-|Alì), denominata anche «Soglia della Felicità» o «Sublime Porta» destinata a divenire proverbiale:
“Nel non sempre né del tutto gratuito immaginario occidentale – che a torto ne trascura tuttavia la funzione politica, diplomatica e amministrativa – il Topkapi è, al pari dell’Alhambra di Granada, un grande giardino del potere, del piacere e del peccato all’interno del quale si muovono accanto a sultani e gran visir, il profilo di molti dei quali è sbiadito dal tempo, le inquietanti e affascinanti silhouette di certe «serve padrone» divenute addirittura delle autentiche ‘kingmakers’ (fautrici/creatrici di re) e spesso sconvolgenti. (..) In quelle raffinate ma austere stanze (harem) si stenta ad ambientare le immagini e le fantasie che la parola stessa ‘harem’ si porta dietro. Immagini sensuali se non addirittura lussuriose, fasciate per giunta dal mistero e dal fruscio arcano di antichi fantasmi, (..) più spesso teatro di amori, di complotti e di delitti”…
Mi fermo qui, anche se ho trovato utile (quanto accattivante) da parte dell’autore l’avvisaglia di retro-copertina dedicata al lettore: “Viaggiatori avveduti e turisti intelligenti che mettete in conto di affidarvi, prima di partire, a voluminose guide: nelle mie intenzioni – e nelle mie speranze – l’ideale sarebbe che lasciaste da parte libri, guide e mappe e vi affidaste fiduciosamente a queste pagine. Certo, questa è la «mia» Istanbul. Non pretendo che diventi anche la «vostra»: mi basterebbe che quanto qui leggete vi aiutasse a trovarla”. Ha scritto Iosif Brodskij (citato nel libro): “Ci sono luoghi in cui la storia è inevitabile come un incidente automobilistico – luoghi in cui la geografia provoca la storia”.
Ed è così, qui ogni pagina racconta più d’una storia, una dentro l’altra che s’intersecano a formare un grande quadro d’insieme, finanche poetico che permette al lettore di spostarsi dal reale all’immaginario con la disinvoltura che solo Franco Cardini, per questo unico e quindi raro, ha nel districarsi in certe faccende di per sé complicate, che cedono, arrendendosi, alla sagace penna del narratore per eccellenza che occupa un suo preciso spazio nella nostra letteratura, in quanto storico e saggista, che ha sfruttato al meglio la sua potenza istruttoria negli studi sul Medioevo di cui è indubbiamente il più apprezzato conoscitore di scritti cristiani e arabo-islamici. Inutile qui ripercorrere la sua enciclopedica attività professionale la conoscenza della quale è oggi accessibile su tutti i media, così come citare la sua sterminata bibliografia. Pertanto mi limito a segnalare quelle che sono le sue più recenti pubblicazioni:
“Testimone del tempo. Ritorno a Coblenza”, Rimini, Il Cerchio, 2009 “7 dicembre 374. Ambrogio vescovo di Milano, in I giorni di Milano”, Roma-Bari, Editori Laterza, 2010 “Cristiani perseguitati e persecutori, Roma, Salerno Editrice, 2011 “Il turco a Vienna”, Roma, Laterza, I Robinson. Letture, 2011 “Gerusalemme”, Bologna, Il Mulino, Intersezioni, 2012 “Istanbul”, Bologna, Il Mulino, Intersezioni, 2014 comprende inoltre un’ampia appendice ricca di note, cronologia, carte, glossario, bibliografia e delle bellissime riproduzioni d’arte.
Giunti al dunque, non mi resta che augurarvi: Buon Viaggio!