Una poetica metà
Con “Metà di niente”, Mauro Macario presenta intense successioni di versi nel cui àmbito immagini esterne e interiori si alternano secondo coinvolgenti ritmi.
Si legge a pagina 20
“Il mio canto prende vita da tutti i canti della terra”.
È presente in questa pronuncia il senso dell’appassionata partecipazione a una melodia diffusa che sembra quasi avvolgere l’intero pianeta.
Echi di simile (ragionata) musicalità poetica, particolarmente attenti al rapporto perenne / momentaneo, si avvertono, a pagina 27, nel verso
“l’eternità dell’istante”.
Che cos’è l’eternità? Che cos’è l’istante?
Si tratta di quesiti posti in maniera non corretta in un caso, come quello in esame, in cui l’autore intende cogliere del vivere tutte le (talvolta antitetiche) dimensioni.
L’attimo può anche avere durata infinita e l’eternità essere istantanea, poiché gli opposti vivono gli uni negli altri e gli uni per gli altri, alimentandosi a vicenda.
Venendo all’argomento di cui al titolo, s’incontra, a pagina 29, una vera e propria dichiarazione:
“La metà di niente
è un bazar di merce inutile”.
Secondo i normali canoni, “La metà di niente” non può che essere pari a zero, nondimeno la versificazione di Macario mette in forse tale certezza (di più: quel “bazar”, che, in ogni modo, è qualcosa, non sembra essere così “inutile” se un poeta si prende la briga di parlarne).
S’illuminano, all’interno di quel nulla, fisionomie ricche di vivide sorprese in grado di mostrare l’esistenza di mondi ulteriori.
Mauro ribadisce a pagina 31:
“La conosco bene
la metà di niente
l’ho ricevuta in dono
confezionata con cura
e pure con un sorriso”.
Il Nostro conosce l’oggetto del suo scritto e sa di non poterne esaurire l’intera portata.
Alcuni sorprendenti aspetti emergono, divengono poesia e tanto basta: toccherà ad altri (o, in futuro, al poeta medesimo) continuare.
Non mancano immagini che si riferiscono a esperienze comuni: siffatti lineamenti vengono proposti con una sincera immediatezza capace di conferire loro un’atmosfera di consueta eccezionalità dai toni crepuscolari:
“la spiaggia non è quella di allora
ma ogni tanto ci torno soprattutto d’inverno
mi piace intristirmi tra gli stabilimenti dismessi
e guardo il mare
e penso al juke-box affondato”.
Sul finire della raccolta, una pronuncia richiama quella di pagina 27, citata in precedenza:
“Ci sono distanze infinite nel mondo
che copriamo senza timore di perderci
ma tra quattro pareti
temo sempre di non raggiungerti”.
L’infinito non sempre è immensamente grande ed esterno, può essere anche intimo e, per così dire, piccolo, poiché il mistero che ci circonda abita anche la nostra interiorità: se ce ne dimenticheremo, poeti come Mauro Macario non mancheranno di ricordarcelo.