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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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intervista a Vincenzo Calò

Argomento: Letteratura

di Tiziana Curti
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Pubblicato il 29/08/2013 21:28:06

Questo giovane scrittore originario di Francavilla Fontana Provincia di Brindisi, ha al suo attivo un eccellente e nutrito curriculum culturale, molti i premi vinti sia per opere di narrativa, sia per quelle in poesia e si occupa con molto impegno ed energia anche di giornalismo, curando rubriche di critica cinematografica e televisiva su vari magazine.

Pensi che questo per te, sia divenuto un vero e proprio lavoro a tempo pieno passando dal livello di appassionato a quello della professione di scrittore?

Innanzitutto è una forza per andare avanti in più sentori possibili ma impossibili da considerare stravissuti, essendo attivi nella parola per quanto la si possa intendere a livello della produzione della mediocrità (che impera), di quella condizione che deve aumentare in tono ed elasticità con atteggiamenti non contenuti nella circostanza, affinché i fattori di rischio si manifestino s’un agire originale e nuovo, nei confronti di una crisi almeno che c’induca a fornire il meglio di noi, di sorti che si lasciano danneggiare quando v’è la Creatività, di mano esperta ma paralitica, a generare le più diverse malattie professionali. Il mio intento consiste nel morire di Fame seguendo il piacere di utilizzarmi per una gestione sempre più particolare delle problematiche sociali, nel salutarti con un ricordo come pochi al momento che inizi a diventare una nuova avventura per tutti quanti.

Scrivi moltissimo anche di saggistica e di poesia oltre che di narrativa, in quale di queste tre arti ti senti di esprimere il meglio del tuo pensiero?

Si legano con una spontaneità che la gente estranea, quella che non pretende mai il suo contrario per un contatto fatale divenendo così polvere epocale, rende complessa, annullabile. Si sciolgono per un’applicazione pratica che a malapena riesce a notarla l’autore, a seconda di uno stato di quiete che il lettore che verrà deve assolutamente ritrovare, in una forma degna della capacità di autodisciplinarsi, di riempirsi quotidianamente col carattere immutabile. Ho il bisogno di vedermi fuori, tra principi di funzionamento eretti come termometri per la febbre di una micro robotica non attinente ancora al Domani, che recita semmai il meglio dell’emotività naturale facile in fondo da credere se ti allunghi per una riga desertica, arida, con la mente a visualizzare confini, e il coraggio di trascriverli bello che fottuto.

La tua ultima opera di poesia”C'è da giurare che siamo veri” edita da Albatros e con la prefazione di Flavia Weisghizzi… ti senti soddisfatto di questo libro ?

Perché questo titolo inconsueto?

E’ frutto di un silenzio con cui ritrovo la mia Solitudine, la voglia di stare bene tra informazioni e pensieri presto dimenticati. L’utilità nel rimettere quella faccia stampata a mo’ di copertina è determinante per riprendere chi sta indietro, abbandonato in troppi colpi di scena piuttosto che di vista. Il titolo è una tappa d’avvicinamento alla bomba della riqualificazione non compiuta nonostante vari eventi che però forniscono indicazioni per tutto il resto di un mito sfatato con attività ad appannaggio di notevoli capitali, errori super specializzati, che ci permette il senso d’investire su strumenti consumabili quotidianamente, che non fanno più uscire fuori l’età che abbiamo per trarre benefici adatti al minimo dispendio d’energia ed augurare una libertà di partecipazione, la bocca per confidarsi al chiarore dei tu per tu.

Le 16 liriche della raccolta tutte in versi totalmente liberi, tutte piuttosto lunghe e tutte precedute da un brano in prosa sono da ritenersi una scelta formale che si rifà alle post avanguardie degli anni '60?

Sono sconvenienti poemetti per uno/a che conosce la via del Successo ma non sa andare avanti e indietro, l’occasione per tracciare una riflessione storica, bloccata da punti di riferimento incapaci di provocare valori, in forma depressiva, s’un piano paesaggistico stravolto da studi, indagini che non vengono tutelati appieno per termini risolutivi. M’ispiro alla mancanza di fierezza emersa dalla convergenza di debolezze che manderebbero a palla la Modernità, la brutta abitudine di distinguere l’individuo dalla collettività lungi da quell’idea di popolo, di grande conto chiuso. La mia dimensione è costituita da indizi generici, dovendo parlare di quest’ultimi in modo strettamente informale, prenderli di mira anche quando non è un buon momento per sapere quel qualcosa in più, di spirituale, pur possedendolo…!

La scelta di accostare nei testi termini inconsueti appartenenti al linguaggio contemporaneo dei social network è da considerarsi come un segnale di appartenenza a questo mondo globalizzato? Nient’altro che Ironia ragionevole per attirare un po’ d’attenzione. Ci stiamo buttando via, su quote di mercato, numeri di una liquidità di contenuti bloccati da un’attesa nemmeno tanto spasmodica di nuovi, finti lavori per sopravvivere al potere di darsi che risulterebbe fantastico rientrando in competizione sottoforma di significati singolari invece che in un codice pubblico fino a scordare di meritarci o no della riconoscenza. Si fa a gara inutilmente a sintetizzare il Pensiero come se fossimo convinti d’averlo concluso, con una genialità al ribasso che in fondo non ci riguarda, perché non c’è tempo a rivedere un’opinione, a stabilire delle diversità e fare così eccellere un’idea per dei test al buio… ne consegue il fastidio per il saluto degli utenti convinti di sapere tutto di te, ma ignari di come ti guardi, ti ascolti.

Mi è sembrato leggendo la raccolta come se tu dialogassi con un altro ipotetico”te” suggerendo o consigliando comportamenti e riflessioni di fronte ai sentimenti o ai drammi dell'esistenza e del sociale, sbaglio?

E’ un lusso che ci si concede concentrandosi su patrimoni registrati ma mai in dotazione, le scelte di una vita non si compattano, se ne parla fino a trucidarne il piacere, per una specie di ristoro che deve fare ad ogni costo tendenza. I riflessi di una bellezza che nasce da fuori accecano, ingrandiscono particolari di tante cose programmate ma che non si possono considerare autentiche. Manteniamo della retorica giustappunto per andare a ritroso nel tempo privatamente, mentre realmente disperdiamo il buono di una sapienza divenuta oramai d’acciaio, eppure essa la si deve far divertire, perché occorre che le parole ispirino opportunità di crescita, la volontà di comprendere della crudeltà che stupidamente è di casa, che inconsciamente insegniamo quando ci scusiamo per della depressione in mostra.

Ho notato nei brani di prosa che aprono le liriche lunghissime titolature, l'uso prevalente di forme verbali ad inizio frase: “abbiamo,dobbiamo,stando,appellandoci...”, è per ribadire quello che credi sia giusto fare?

Anche a me piace collocare una consistenza purché non la si celi nella sua uniformità, mordere quello che c’è stato per la necessità di preoccuparsi, di rivolgersi verso direzioni che solo all’apparenza sono inspiegabili, però ho colto senza pensarci due volte il desiderio di comunicarlo in uno stile intuitivo, dacché l’incanto non è fornito d’indizi di lettura, tanto le affermazioni si criticano oggi a priori per uno stato d’animo che non persegui da sempre. Raffiguro un’epoca, ma poi utilizziamo i colori preferiti a precisare ciò che ci torna comodo, e così il tempo passa subito, le lamentele sono all’ordine del giorno, ricompongono patologie di un sistema degno di singoli casi giudiziari, dell’ostacolo che getta nel discredito atteggiamenti provocatori, indispensabili per un anelito di fiducia, di procedura d’urgenza.

Concludendo, alla fine di questo tuo viaggio o ricerca quale possibile risposta dai alla tua affermazione “siamo veri?” oppure siamo solo un frutto d'irrazionale follia quasi un esperimento genetico?

Rappresentiamo tutti insieme una debolezza volontaria, riproducibile cogliendo difficoltà sdoganate da un movimento indipendentista, per gareggiare senza una valutazione imponente in agguato, e vincere grandi novità senza dover essere chiari. Ci stanno inseguendo dei tecnici senza dare quell’emozione dell’autodidatta, con la dose di coraggio effettiva per inviare messaggi di cortesia, quindi che non si stupiscano se le immagini da tastare scioccano, si ricoprano del sangue di una probabilità di successo morente. Ho scritto di un’aspirazione come tante garantendo poco o nulla, mi sono fatto carico di quel senso di trasporto per cui non siamo capaci di testimoniare, eppure avrei le mani immerse nella gioia oggettiva se richiedessi l’approvazione della regola principe della democrazia: fare casino nella logica di un fenomeno naturale, contrastabile.

 

Tiziana Curti

 


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