[ Recensione di Paolo Pomati ]
Prefazione di Giampiero Neri, nota d’arte di Andrea Renzi
Nel libro di David Grossman, A un cerbiatto somiglia il mio amore, si racconta la storia di una donna che fugge per non essere raggiunta dalla notizia della morte del figlio; in questa finzione narrativa si racchiude uno stereotipo interpretativo della dimensione del lutto delle madri “sfigliate” ancor oggi molto presente, che è quello della madre impossibilitata a parlare apertamente della propria creatura, perché il mondo non può o non vuole ascoltarla: la morte è tabù nella nostra cultura, se non assume i contorni della fiction o del drammone; la morte giovane lo è ancor di più. E le madri, in genere, tacciono.
L’autrice adopera il neologismo “sfigliata”, riferito alla madre cui è morta una sua “creatura”, consapevole com’è che non esiste nella lingua un termine univoco – come vedovo/a oppure orfano/a – per indicare questa condizione; occorre una perifrasi, che spesso si serve di metafore per evitare di usare il vocabolo “morte”: un figlio/a si perde… è venuto/a meno… è mancato/a… e così via.
Che un figlio/a muoia prima della propria madre, infatti, è innaturale, quale che ne sia la causa, e di fronte a questo evento ella può pensare soltanto che «Si è capovolto/il mondo,/tutto qui/e/sono rimasta/dalla parte sbagliata» (pag. 107). Così – che la madre sia una donna colta e professionista valente o una povera analfabeta di animo semplice – scopre «che/hanno inventato la morte» (pag. 40) e si affanna a cercare il modo di non consegnare alla «Morte/clandestina/della vita… Signora e padrona/di tutto» (pag.17) la sua creatura.
Questa madre “alluttata” trova un modo, ritessendo per chi non c’è più una vita di parole: «Se/nominare/è/far essere ciò che si nomina/nominerò/te/in continuazione/finché avrò fiato/e/così/il tuo nome/non si potrà perdere» (pag.136). Chiama poi a raccolta le mille e mille madri “sfigliate” come lei dai tempi dei tempi, per intrecciare parole di ricordi, di testimonianza, di dolcezza e farsi reciprocamente compagnia, nella sezione Mito. Cronaca. Storia.
Così, anche se «La morte/di un figlio/è/sempre/oggi», l’autrice ri-esce a una conclusione salvifica, allorché nell’Epilogo alla silloge invita le madri sfigliate ad abbandonare il «lamento/intessuto di sogni e ricordi» e «raccolte le forze/in rinnovata allegria/restituire/voce/e/pensiero/a progetti/una volta di giovane vita».
Il testo si avvale di una scrittura essenziale e lucida, severa e al contempo intrisa di una tenerezza senza tempo: da leggere con il cuore e insieme con vigile intelligenza poetica.