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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Zorba il greco

Romanzo

Nikos Kazantakis
Crocetti Editore

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 28/11/2014 12:00:00

 

Questo romanzo è stato reso famoso dal film che ne fu tratto nel 1964 e che fece conoscere al mondo, oltre al romanzo, una danza, il Sirtaki, la quale, contrariamente a quanto molti credono, non è tradizionale ma venne creata a bella posta per il film. Ora l’editore Crocetti ripropone questo libro in una nuova traduzione condotta direttamente dal greco, curata dal signor Crocetti stesso; la precedente traduzione, del 1955, fu invece realizzata a partire dalla versione inglese.

Il libro muove i suoi primi passi in una locanda sul porto, in un giorno di tempesta, quando l’io narrante incontra un misterioso e originale personaggio, Zorba, e decide di condurlo con sé a Creta per aprire una miniera. I due vivranno insieme in una capanna vicino al mare per un anno, periodo durante il quale l’impresa zoppicherà e verrà affiancata da un’altra, più folle e ambiziosa. Ma il senso del libro non è assolutamente da cercare nel resoconto dell’attività economica della miniera o delle condizioni dell’isola di Creta a quei tempi. Il libro è carico di simbolismo e, sin dalle prime pagine, appare abbastanza chiaramente che Zorba rappresenta l’anima antica, arcaica, della Grecia, in qualche modo è la Grecia stessa, sopravvissuta nei millenni, con le sue tradizioni, leggende, credenze, tradizioni e, naturalmente, con la musica e il ballo.

Sirtaki a parte, quando Zorba non sa più affidare alle parole il suo pensiero, la sua anima li affida al canto e al ballo. Torna in sostanza a un’epoca ancora più remota, precedente la parola e assolutamente fisica. Per contro, e ovviamente, l’io narrante, che si suppone essere Kazantakis medesimo, rappresenta il “nuovo”: ha idee di impiantare industrie e attività fiorenti ma ha anche una religione importata, ha amici in giro per l’Europa, con cui condivide idee rivoluzionarie. Non a caso il libro si apre su una tempesta, nell’anno in cui fu pubblicato l’Europa era tutt’altro che pacifica. Su Creta questa tempesta non arriva, il tempo è quasi immobile. L’isola diviene un luogo mistico dove si può vivere nel passato e osservare i flutti della modernità frangersi, senza scomporsi, vivendo l’indecisione tra il gettarsi nelle onde o restare sulla solida roccia della tradizione, della Madre Grecia che ha generato quella terra, le sue abitudini e la sua cultura. Il romanzo procede fra i tentennamenti e le indecisioni, accompagnate da dolore e fatica, dell’uomo moderno, subito capito e lenito da Zorba, che col carico di storia e tradizione riesce a portare sempre la pace nell’animo dell’amico.

Il libro, come dicevo, è fortemente simbolico, non mancano personaggi chiave, come la vecchia prostituta che sembra rappresentare la Grecia stessa contesa fra le potenze straniere; la vedova, immagine del peccato; i giovani, le persone del paese, insomma tutto l’armamentario necessario a mettere in scena il conflitto fra presente e passato, fra simbolismo e naturalismo. La narrazione copre l’arco di un anno, così da mettere in scena anche le varie festività religiose, caricandole della loro valenza popolare ma anche di una certa critica verso il clero e i suoi misfatti. Nello scorrere delle pagine, Zorba subisce varie trasfigurazioni, cambia in rapporto a determinate circostanze, dimostrando anche la capacità della tradizione di adattarsi senza mai perdere la propria fisionomia. Una delle trasfigurazioni più singolari di Zorba è quella che lo vede a tratti sembrare Gesù, parla per parabole, usa passi dei vangeli e sembra quasi in procinto di fare miracoli, ma Zorba è – come viene ripetuto spesso – un uomo, e come tale umanissimo e non di origine divina. Tuttavia queste sfumature fanno a tratti apparire la lettura come un più vasto dialogo fra l’uomo moderno, capace di letture scientifiche, speculazioni filosofiche e via dicendo, e la religione medesima, ancorata, com’è normale, a tradizioni e credenze antichissime. In estrema sintesi il romanzo rappresenta proprio il dialogo, ma anche lo scontro, il confronto, il tentativo di sopraffazione, tra l’uomo moderno e la tradizione, intesa nel più ampio dei modi possibili.

La scrittura è fatta di un dialogo fittissimo, incessante, sembra quasi di avvertire in sottofondo l’interminabile frinire delle cicale, spesso la parola è eco, ronzio, rombo, musica, tuono, la natura intera è chiamata a tessere questo continuo confronto, questa conversazione ininterrotta fra mondi che sembrano distanti ma che alla fine si rivelano complementari, l’uno frutto dell’altro. E in fondo che dialogo potrebbe esistere se le due voci non sono dipendenti l’una dall’altra?

La lettura è molto affascinante anche per i toni poetici che l’amore di Kazantakis tributa alla sua terra; oltre le parole giungono al lettore i colori, i profumi e l’eco millenaria di una terra che tanto ha dato all’umanità. Forse ci sono troppi pochi Zorba a danzare quando le parole non bastano più.

 


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