[ Recensione-saggio breve di Adele Desideri ]
Umberto Piersanti è nato, nel 1941, a Urbino - “dove vive e insegna all’università”.
Ha pubblicato diversi romanzi e prestigiose raccolte poetiche,tra le quali è da segnalare un “trittico” per i tipi di Einaudi. “Autore di film”, saggista,“operatore culturale, organizza eventi spesso legati alle radici della sua terra d’origine”.
Cupo tempo gentile, romanzo autobiografico, narra le vicende del giovane Andrea Benci, che - nell’autunno del 1967 - si avvicina al Movimento studentesco di Urbino e vi rimane attivo -madissidente e accusato di decadente, reazionario revisionismo - fino a dopo il termine della formazione universitaria:nellesueintime aspirazioni c’è, infatti, la volontà di costruire un “tempo più gentile”; proprio mentre, invece, il cupo tempo della violenza della sinistra eversiva e delle stragi della destra neofascita si va preparando.
La prosa scelta da Piersanti alterna lo sboccato, tribale, linguaggio quotidiano della gioventù degli anni Sessanta-Settanta a un dettato colto, raffinato, prossimo alla saggezza deipiùantichi maestri.Nei monologhi interiori di Andrea, Piersanti tesse poi incisivi, timbrici dialettismi: “il sole scende lento sopra Cartoceto, si posa su una collina tra gli olivi, quasi sguilla giù per la discesa”.
Intensi e ben calibrati si intrecciano i dialoghi,che mettono in scena il clima politico dell’epoca: i disegni oltranzisti e quelli moderati; gli eccessi e i tentativi inutili di porre misura ed equilibrio alle troppe, vuote, paroleinfuocanti il Movimento; i silenzi dubbiosi, perplessi, di Andrea.
Egli apprezza i temi fondativi della sinistra europea e italiana e critica la società iniqua e ottusa a lui contemporanea, tuttavia lasuaè essenzialmente un’anima da letterato - amante, in primis, dell’arte e della natura. Andrea è un temperato intellettuale di sinistra, e il disagio di appartenere al gruppo degli studenti rivoluzionari si fa presto evidente: “Ahimè, io sono d’un’altra razza, c’è il mare e i campi”…
Andrea vive in bilicotra due opposti universi:il passato - denso di pregiudizialibigottismi,eanche di valori giusti e certi - e il presente,che propone innovazioni culturali e sociali, marischia di perdersi in un’ideologia schizoide, sanguinaria, assolutista.Resta così immerso in un continuum di scettici, cruciali, quesiti, fino a capire, solo all’ultimo, quanto del vecchio mondo è da rifiutarsi e quanto del nuovo è da accogliere: “Stalin campeggiava nei manifestini dei marxisti-leninisti (…) tra Lenin che lo precedeva e Mao che lo seguiva. A lui invece sembrava che quel cammino del PCI verso la ‘democrazia formale’ fosse inevitabile: anche perché, senza quel ‘formale’ così disprezzato dal Movimento, c’era la dittatura, certo ‘del proletariato’, ma pur sempre dittatura. E allora cosa ci faceva lui nel Movimento? Era quell’entusiasmo che lo affascinava, quei ragazzi pieni di speranze, anche di sicurezze”.
Inoltre, l’educazione affettiva di Andrea è tradizionale, pudica, non ancora del tutto segnata dagli scossoni della rivoluzione sessuale, dalle intuizioni della psicoanalisi.
Le donne sono,per Andrea, sia voluttuosamente invitanti, sia sempre lontane, sempre da conquistare. È distante, Andrea, dalle comuni, che visita solo per mera curiosità: “mettere in comune le cose e i corpi, no… (…) lui non vorrebbe mai che una sua donna gli si rinchiudesse davanti, in una stanza, a scopare con un altro… (…) un po’ di gelosia, sì è umano… santa madonna se è umano… loro sono primitivi, comunismo primitivo”.
Andrea è pure diffidente nei confronti dei gay; lo stesso termine “omosessualità” - accostato magari al concetto di latenza - gli pare “inquietante”. Le sue riflessioni in proposito sono illuminanti: “Ah, questo è troppo, che ci sia qualcuno che vuole andare a letto con i maschi, bene, ma che tutti vogliono questa roba, no, è troppo! (…) a me un maschio nudo mi fa quasi schifo”… “non che la chiesa abbia ragione… però che siano completamente normali…“.
Andrea, invero, non è né rozzo né ignorante, e riconosce alle donne e agli omosessuali di essere gli unicichesanno dare respiro alla “vita”, alle “emozioni”, ai “sentimenti”; ipotizza addiritturacheloro siano, in effetti, “il meglio del Movimento”.
In particolare, Andrea è affascinato dalla naturachevive e palpita sulle Cesane:ne individua ogni forma, ogni colore, ogni suono; in controluce vi legge le proprie fibrillazioni, le proprie oscurità.
E - nel descrivere quella e queste - Piersanti affonda la penna, come già in moltiprecedenti libri, nella cifra poetica: “era un pomeriggio chiaro di febbraio, la chiostra dei monti luminosa e perfetta; sul Catria intravedevi il verde dei grandi prati appena sotto la neve e il Nerone con le sue costole grigie d’argilla e i boschi verde scuro perfettamente disegnati dentro l’aria. Su, nei muri del vecchio ospedale, l’antico convento di Santa Chiara, erano fiorite le violacciocche, fitte tra le pietre”.
Perché Andrea-Piersanti è figlio di“Ca’ Mandorlo, sotto le Cesane alte, oltre la Torre, verso Scotaneto. Lì c’è la casa dei suoi antichi autunni e delle estati lontane”, la casa dove sono custoditi isuoi più cari ricordi d’infanzia.
Si sofferma allora, Piersanti, sul glicine pasoliniano, opposto all’umile favagello appenninico, nel quale - insieme a Andrea - si identifica: “E per lui il favagello in quel momento era come il glicine per Pasolini: la verità eterna delle cose che nascono, crescono, muoiono e si rigenerano, incuranti del tempo e della storia. Segno di quell’energia, di quella pulsione di vita che sta in fondo a noi, più forte di ogni ragione e di ogni storia”; il “favagello campestre e appenninico, medioevale o quattrocentesco come le pievi sparse per la sua terra”. Tuttavia, se Pasolini “la vita la viveva fino allo spasimo, anche la sua tenerezza era totale e disperata come il dolore e il piacere che lo squassavano senza mai piegarlo”, Andrea-Piersanti “invece sognava l’equilibrio (…) d’una armonia delle sfere, d’alberi e cieli”.
Nella sensualità della natura e della donna Andrea, in realtà, si riconcilia con se stesso, trova requie, e Piersanti vi aderisce con uno stile altrettanto sensuale, fortemente lirico: “Giulia stava nuda e possente alla finestra e lui, lui ci si era stretto da dietro, piccolo e meschino, a quel corpo stupendo che l’aveva accettato e accolto con un fremito intenso e pacato: tra i capelli della donna Andrea scorgeva lì, quasi attaccata, una luna enorme sopra le tenere e struggenti colline umbre”.
Eppure, si riscontra tra le righe vergate da Piersanti, nei pensieri di Andrea, un’insinuante difficoltà a lasciarsi andare lungo i misteriosi percorsi dell’amore, a farsi coinvolgere totalmente dal trasporto affettivo nei confronti della donna: “lui non era come Don Giovanni che le donne le odiava e ingannava, lui era più come Casanova (…) perché ognuna gli piaceva e in qualche modo l’amava, incarnazione di quell’archetipo femminile che aveva lì stampato nella testa (…) le donne gli piacevano senza troppo rancori e contrasti”.
E così Andrea-Piersanti pare ispirarsi a una sorta di sobrio paganesimo, nel quale la natura e il genere femminile sono quasi divinizzati, l’erotismo è un lieto, gustoso, rito festivo, l’ars amandi essenziale nella vita e nella poiesis: “Sì, la fuga, una fuga pagana e carnale (…) era il suo modo di sentire e mordere le cose”.
Importanti, inoltre, in Cupo tempo gentile, sono gli accenni agli artisti apprezzati da Andrea-Piersanti: rappresentano una concreta, autentica visione critica della letteratura, della pittura, dell’architettura, della musica, redatta dal “più tradizionale dei poeti”.
Aspro, e improvviso, è il commento su Dario Fo: “Lui è sempre preso da ciò che è più a sinistra della sinistra (…) ha fatto il repubblichino da ragazzo, e questa non è una colpa, così giovane… ma un po’ di mentalità assolutistica gli deve essere rimasta dentro, lì, conficcata nel cervello”.
Invece, i poeti prediletti - non quelli dell’avanguardia e dello sperimentalismo - si avvicendano come fossero mostrati nelle pagine d’una pregiata antologiadi classici dell’Ottocento e del Novecento: Verlaine, Proust, Manzoni, Leopardi, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Gozzano, Montale - “quello della Casa dei doganieri e dell’Anguilla, due delle più belle poesie del secolo (…) quelle due liriche equivalogno (un po’ meno, d’accordo) ai vertici di Leopardi, al Passero solitario e A Silvia”.
E poi, “Luzi, Sereni, Caproni, Bertolucci”…
Accurate e moltepilici sono le descrizioni di quadri, affreschi, chiese, castelli, della stessa Urbino,che - nell’inconfondibile tessitura di Piersanti - celebra un commovente, attuale prestigio: “Urbino ha una bellezza segreta e quasi modesta nei suoi interni: però all’improvviso questi s’aprono (…) su scenari grandiosi e stupendi (…) è l’unica città del Rinascimento tutta verticale: i torricini del palazzo, il campanile e la cupola del duomo, il campanile di San Francesco (…) Qui c’è un sapore fiabesco: e poi Laurana, l’architetto, era dalmata e nei torricini si ricorda dei minareti (…) Urbino per come è strutturata non è democratica (…) è nata nella testa di un principe illuminato che ha messo a profitto i suoi guadagni di condottiero mercenario”.
Ma si avvicina la chiusa del romanzo: Andrea osserva in prima persona - a Milano, e poi a Urbino - la violenza ormai dilagante provocata dalle diverse fazioni di sinistra e di destra. E comprendechedavvero “la rivoluzione (…) vuol dire sangue”.
Andrea se ne distacca, con acuti sentimenti di tristezza, “rabbia e paura”, però anche con la solida certezza delle proprie radici, della propria specifica formazione culturale: “Non lo so se sono un rivoluzionario, ma urbinate, italiano, europeo e occidentale, questo lo sono sicuramente”.
Rimane l’esperienza, rimangono gli ideali e la speranza di preparare comunque un tempo più gentile. Rimangono alcune figure politiche indelebili,tra le quali - non avrebbe potuto non esserci - “el Che”,con i suoi limiti, con il suofascino: “lui è al di sopra della lotta di classe, è come un santo o un apostolo, ma un santo e un apostolo armato, che armato è vissuto e da armato è morto”.
Allora Andrea fa di nuovo visita al padre e alla madre, e finalmente - dopo tutto quel lungo, cupo tempo - “è come se (…) fosse ritornato figlio, in tutto, anche nella conoscenza”.
Ed ecco, finalmente, “Andrea si sente a casa”.