‹‹Mia cara Céleste come ingannate il tempo durante le lunghe attese che la vita con me le impone?›› ‹‹Cucio Merletti, Monsieur Proust. ›› ‹‹Ma, Céleste, bisogna leggere! ››
Tratta e liberamente adattata da Monsieur Proust di Céleste Albaret, SE
Nel creare la sua Opera, Marcel Proust, dovette dedicarsi ad una nutrita serie di professioni, dal medico allo psicologo, dal pittore al fabbro e non da ultimo quella del giardiniere. Fra tutte le professioni quest’ultima appare come la più irraggiungibile per il povero scrittore segregato in casa da una terribile asma, che gli faceva temere anche le visite degli amici, poiché questi avrebbero potuto incontrare, nelle ore precedenti la visita, qualche dama agghindata da un bouquet floreale e portare così, nella celeberrima stanza foderata di sughero, qualche micidiale particella di profumo di fiori che avrebbe potuto scatenare una violenta crisi nei polmoni del malato. Ma come ben sappiamo per la poliedrica mente di Marcel le pareti della stanza non erano un limite, né una reclusione, essa poteva intraprendere lunghi viaggi, pur restando ben ancorata al corpo scosso dalla tosse, steso sotto il vecchio cappotto foderato di pelliccia di lontra. Anzi, forse proprio grazie alla reclusione, la mente di Proust riuscì a creare i più bei panorami e le località più sorprendenti unendo ai ricordi e alle letture le suggestioni dell’anima, cui bastavano le sillabe del nome del luogo per creare colori e profumi capaci di rendere le descrizioni più reali della realtà. Proust, abile giardiniere e paesaggista, dicevo, basti ricordare i prati fioriti di Firenze, minuziosamente descritti in modo assai efficace, ma creati tutti dallo zelante giardiniere rinchiuso a Boulevard Haussmann. Accanto a questa funzione da architetto paesaggista Proust si distinse anche per le sue mansioni da giardiniere e vivaista vero e proprio. Con quanta cura ha disposto le aiuole nel giardino della casa della zia Léonie, e anche se talvolta ne calpestava le zolle appena smosse per avvicinarsi ad ammirare un lillà, era comunque con tutto il rispetto che curava – costeggiandole – le aiuole di convolvoli e piselli odorosi. Anche nei dintorni della leggendaria casa Amiot si prese molta cura del verde, soprattutto facendo crescere spalliere quasi mitiche di biancospini, punteggiando canali e fiumi di ninfee e nenufari. Anche a Parigi il giardiniere e vivaista Proust ebbe il suo bel daffare consegnando fasci di fiori a tutte le altezze del Faubourg Saint-Honoré per decorare salotti, o farne deliziose acconciature, o anche per immortalarli in acquarelli. Ma siccome Proust fu soprattutto un profondo conoscitore dell’animo umano, riuscì ad infondere in ciascuno dei fiori, di cui le sue serre erano prodighe, caratteristiche umane, tanto da far diventare le piante quasi delle personalità vegetali. I biancospini vivevano così la loro fioritura con la trepidazione delle giovani vergini che si affacciano al mondo, e raccomandano i loro primi incerti passi alla Madonna. Oppure le orchidee, le quali, sotto il sensuale candore delle loro livree, nascondevano la promessa dei piaceri della carne, tutta umana, ma dissimulata da fragili petali; i crisantemi di Proust evocavano il lontano Oriente, ed anche il lusso segreto di una padrona di casa con la quale sembravano chiacchierare durante i lunghi e crepuscolari pomeriggi trascorsi in casa in attesa di una visita tanto più gradita quanto più furtiva, proprio come l’infiorescenza di certe specie rare ed esotiche. Il lavoro di giardinaggio di Proust fu zelante e metodico, e riuscì a decorare molte delle pagine della Recherche (ma anche del Jean Santeuil) con numerosissime piante, fiori, alberi, siepi e cespugli, messi quasi con noncuranza, non per dare nell’occhio, ma per completare una scena, proprio come un accorto giardiniere sa fare nel progettare un giardino, tutto appare naturale ma è studiato nei minimi particolari. E quest’ultima analogia ricopre tutta l’Opera di Proust, in cui ogni minimo dettaglio è curato con maniacale precisione, ogni frase scritta e riscritta, ma poi alla fine, nell’insieme, tutto scorre con estrema naturalezza, proprio come scorre la Vita, proprio come fiorisce un giardino.
Quest’antologia, quest’anno, vuole rendere omaggio all’immenso giardino del ricordo, osando parafrasare Proust; quel giardino in cui ogni fiore nasconde un personaggio, ogni colore cela un vizio, una virtù, un piacere, ma anche rende l’immensa cattedrale della sua Opera un luogo più colorato, più lieto, in cui perdersi è ancora più emozionante.
Qualche giorno dopo aver terminato i lavori per l’inaugurazione dell’Orto Botanico, mi sono ritrovato a dover rimettere in ordine tutti gli utensili, dare un’ultima sistemata ai viottoli. Nel ripulire l’atelier degli acquarelli, dove gli operai, dopo aver terminato di montare la mostra, avevano lasciato polvere, e altri scarti, un po’ dovunque, mi sono imbattuto in un ripostiglio, che non avevo notato prima. Al suo interno alcuni quadri che non avevano trovato posto nell’esposizione, ed una specie di album, dalla copertina logora, ma di squisita fattura. Il tempo di un sospiro di stupore e già lo stavo sfogliando, era una raccolta di istantanee scattate durante la vita di Proust, e molte di esse ce lo mostrano nel suo particolare rapporto con il mondo vegetale. Mentre sfoglio ve ne racconto qualcuna.
Bè, la prima è forse un po’ triste, immerso nella vegetazione il piccolo Proust capisce che non avrà una vita normale, ma lo scatto è di qualche minuto precedente la crisi che Robert racconta così Marcel fu colto da una spaventosa crisi di soffocamento che poco mancò lo facesse morire di fronte a mio padre atterrito; la foto è del 1881, siamo a maggio, Marcel ha nove anni e con lui il fratello Robert, mamma Jeanne e papà Adrien, con loro il professore di medicina Duplay con la famiglia, il gruppo passeggia al Bois de Boulogne, e sta tornando verso casa (a rue de Courcelles). Quante volte Marcel tornerà al bois dopo quella tragica volta, ma sempre senza muoversi dalla sua stanza.
Un’altra istantanea è datata 1892, mostra il giovane Marcel, una camelia all’occhiello e una caraffa in una mano, accanto a lui, su di un cavalletto il ritratto che Blanche ha appena terminato, la caraffa andrà a lui in segno di riconoscenza, la camelia all’occhiello testimonia che l’asma non dà tregua, e l’unico fiore che si può usare è quello che non profuma. Blanche non lo sa e trasforma il fiore, ma questa è un’altra storia… 14 aprile 1893, la foto mostra Marcel accanto al conte Robert de Montesquiou e un bouquet di fiori che rimanda ai versi di quest’ultimo: Beati gigli, pallidi iris di Firenze probabilmente innestati in una rosa, e una copia di Chauves-souris in lussuosa edizione. Poi i sorrisi si spensero, qualche anno dopo, tanto che Proust un giorno, poco dopo la partenza del conte per il Midi, disse a Céleste sa, il conte sarebbe capace di mandarmi dei fiori avvelenati, e non esagero. Una foto, senza data, ci mostra la contessa de Chevigné, sulla pagina, accanto alla foto troviamo questa frase: Era bella e portava sempre cappelli magnifici. Ne aveva uno, ricordo, con dei fiordalisi e dei papaveri, ma soprattutto una toque meravigliosa, con delle violette di Parma; il “vivaista” Proust prendeva appunti per le sue “clienti”? Le pagine scorrono ed eccoci a Dieppe, agosto 1895, Marcel e Reynaldo immersi negli splendidi giardini di Madame Lemaire (la villa della pittrice diventerà la Raspéliere); altra foto scattata in villeggiatura, quella del 1899, ha come sfondo villa Bassaraba ad Amphion, vicino a Évian con i suoi giardini dove crescevano direttamente dal suolo i fichi, le palme i rosai, e persino in quel mare, d’un azzurro e d’una calma così spesso mediterranei (diventano mediterranei quando magicamente nella Recherche si trasferiscono a Féterne, e diventano dei Cambremer). Nella primavera del 1907 Proust è ritratto nella sua casa intento nella lettura, sulla scrivania notiamo L’Intelligence des fleurs di Maeterlinck, che servirà per la costruzione di Sodoma I, soprattutto per le immagini floreali e la difficile riproduzione delle orchidee, che poi caratterizzerà le difficoltà dei rapporti fra omosessuali.
Una foto scattata in un salotto nel 1911 ci Mostra Proust sorridente accanto a Marthe Bibesco, anche se quest’ultima poi ebbe a dire che Marcel non la voleva incontrare per la sua abitudine di profumarsi troppo, ma non è vero, fra i due si stabilì una forte amicizia, anche se per Proust i profumi erano una seria minaccia, ma dalle foto non possiamo sentirli.
Un’altra istantanea dello stesso anno raffigura Proust nell’automobile di Odilon Albaret, nella valle della Chevreuse; i finestrini sono ben chiusi e Proust ammira estasiato la fioritura dei meli.
Una foto del 1912 ci mostra il ballatoio della scala di servizio di casa di Boulevard Haussmann invaso da rami di biancospino fioriti, accanto alla foto un biglietto vergato dalla mano di Proust ed indirizzato a Céleste, Io li amo così tanto, questi fiori, che ho scritto un articolo su di loro, sui rosa e sui bianchi. Sono certo che lei non li ha mai guardati attentamente. Ce ne sono sul ballatoio della scala di servizio, li ho fatti portare qui da Odilon: la prego, vada a vederli. Ammirerà da vicino quelle roselline e vedrà che miracolo, nella loro piccolezza. Quanto a me non conosco nulla di più grazioso.
Una foto dal sapore intimista ci mostra la stanza di Proust, siamo nel 1919, in particolare sul letto notiamo due coperte: una di lana e un copripiedi rustico, trapunto, a fiori gialli, di melo, su fondo rosso. Anche sulle coperte aveva i suoi amati fiori di melo… Ma soprattutto quel copripiedi somigliava a quello che aveva visto, da bambino, sul letto di una zia, da cui poi ha tratto zia Léonie…
Una delle ultime foto è del maggio 1922, ritrae Marcel con un bel giovane: Jacques Benoist-Méchin, i due ridono sguaiati, Proust si copre appena la bocca con la mano guantata, il giovane ride apertamente mostrando i denti bianchissimi e un’aria davvero sincera. Perché i due ridono tanto? Perché Marcel crede di ricordare la madre del giovane splendida e altissima e vuole dal figlio una foto di lei, dicendo Sono sempre interessato a queste reincarnazioni di un tipo ammirato in un altro sesso; Jacques però precisa che la donna in questione non è sua madre ma la prima moglie di suo padre, Proust, non demorde e dichiara La vostra fotografia mi ha confermato la fondatezza delle mie convinzioni sull’amore… Penso infatti che gli uomini non amino questa o quella donna isolata, ma un certo tipo di donna da cui non si discostano mai. La frase è detta seriamente ma l’effetto “pezza” dopo qualche istante scatena la risata.
Conclude l’album un disegno con il quale Proust esorcizza la sua morte, che sentiva vicina. Marcel, con il nomignolo scherzoso di Buncht aveva disegnato delle vetrate per Reynaldo, qua Bunchtnibuls, e nelle didascalie scherza proprio sui suoi ultimi momenti “Dottore mediko con occhiali dice a Buncht sta per morsire”, “Morte di Buncht (questa vetrata ha sofferto molto)”, “Hanno messo dei fiori sul letto su cui riposa Buncht morto”, “Tomba di Buncht sulla quale fiori, alberi, biancospini sopra e sole adesso che non gli fa più malen. E il suo Bunchtnibuls, col cappello a cilindro, viene nel piccolo Kimitero a presentare i suoi saluti a Buncht” Quando ormai non avrebbero più potuto fargli male, Proust desiderava alberi biancospini e sole…
Chiude l’album un bigliettino su cui una mano sconosciuta ha riscritto la frase che Proust scrisse in una sua lettera del 1911, È arrivato il giorno in cui la luce se ne va confondendo e cancellando tutti i riflessi e l’acqua che non riflette non è più altro che l’acqua del Lete, la data è quella del 18 novembre 1922 e fa da sigillo all’album.
G. B.
Luglio 2014
Ringrazio profondamente, certo che mi perdoneranno il saccheggio, Jean-Yves Tadié (Vita di Marcel Proust, Mondadori) e Céleste Albaret (Monsieur Proust, SE)
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