Pubblicato il 13/06/2010 21:12:52
SEPTIMIUS FELTON, OR THE ELISR OF LIFE di NATHANIEL HAWTHORNE
Introduzione - Breve profilo della vita - Septimius Felton
Introduzione E’ bene chiarire subito che Nathaniel Hawthorne è stato con John Milton, uno degli scrittori più belli della letteratura di lingua Inglese. Credo che il suo puritanesimo, il timore di Lucifero e del Peccato, abbiano reso alcuni suoi romanzi e racconti che avrebbero di contro potuto essere perfetti, ordinari. Ad ogni buon conto, il suo senso del peccato originale e quello di pudore, saranno di li a poco impensabili nell’America del dopoguerra, che è orami l’epoca della moderna America. Hawthorne non era solo bello. Era squisito e gentile e da che mondo e mondo –prendo gli spunti da Henry James, essere giusti e squisiti non significa andare debitori della suprema distinzione; perché ciò accada, perché si sia felici, è necessaria la combinazione di incidenti, la presenza di certi valori che facciano apprezzare tali qualità. Qui mi fermo perché la complessità jamesiana potrebbe prendere anche me. Con Hawthorne la letteratura nord americana prende le distanza, si rende indipendente dall’Europa ed in particolare dallo sviluppo che il novel ha avuto nell’Inghilterra. H. resterà fedele al romance. La scelta per il romance non dissociata dall’influenza religiosa e puritana in particolare, renderà per certi versi inevitabile il ricorso all’allegoria. Il fantastico e l’allegoria metteranno H lontano dall’esperienza politica e sociale di Brook Farm. H è convinto dell’impossibilità di riformare l’uomo su un piano laico, secolare; qui si parla di simbolismo, di archetipi. Per “qui” intendo gli scritti di H. Osservazione la quale non pone certo H ai margini del cd. Rinascimento americano, tutt’altro, egli ne rappresenta un altro aspetto. Uno studioso: Matthiessen parlò per la prima volta di Rinascimento Americano fissando un canone letterario –da cui restò fuori Poe- che sebbene adesso sia criticabile resta un importante punto di riferimento per la storia letteraria degli Stati Uniti. H è come se sfidasse il comune sentire del suo tempo fatto di buon senso, senso comune, quello che delinea un mondo ordinato, coerente. Egli arricchisce il Rinascimento americano rivelando come questi intellettuali siano i portatori puri di un travaglio nazionale. L’America sta cercando la sua identità nazionale e culturale. Fondamentale, mi permetto di dire, è la lettura di un operetta di Emerson: The american scholar del 1837. Henry James in un suo piccolo saggio su Hawthorne così lo descrive: in verità per molti il suo tratto alto e più commovente resterà la sua estraneità, ovunque si trovasse. Egli sta fuori di tutto, è uno straniero in ogni luogo. È un solitario esteta. La sua fantasia leggiadra e lieve è l’ala che nella sua sera autunnale sfiora la finestra buia…egli era divertitamente e discretamente contemplativo e per lo più indugiava, fra gli aspetti prosaici, su quei punti meglio potesse giocare il suo senso delle sottigliezze. Ma fra tutti i cinici fu il più luminoso e gentile (il saggio è uscito nel volume di L. Edel The American Essays of H.J. New York 1956, p.23). Hawthorne parla con gli altri quando ha possibilità di discutere del soprannaturale; era un sacerdote del fantastico, se così posso dire, allo stesso modo in cui Flaubert era il monaco dello Stile e della Forma (M.D. Conway, Life of Hawthorne, London, senza data). C’è un distacco estetico nel bellissimo Hawthorne. La salvezza cui pensa non è quella collettiva dell’umanità concetti che dovevano apparirgli remoti: H tenta di insegnare a salvare l’anima individuale.
Breve profilo della Vita. Nacque a Salem il 4 luglio del 1804. Il suo cognome era Hathorne in seguito venne modificato in Hawthorne che significa Biancospino. Salem è una cittadina del New England (ho visitato la casa di Hawthorne nel 2005, è una cittadina che mi è apparsa incantevole), regione americana nella quale nel Seicento fiorì la civiltà dei puritani, in sostanza i seguaci di Calvino che dall’Europa andarono in America alla ricerca della promessa e molti di loro credettero di averla davvero trovata. Il padre dello scrittore (Nathaniel Hathorne) un militare morì nel 1808 di febbre gialla nella Guinea olandese e poté esercitare sul figlio maschio poca influenza. Hawthorne penserà spesso ai suoi ascendenti puritani, alcuni dei quali, magistrati, ebbero un ruolo importante anche nella famosa caccia alle streghe. Un suo progenitore William Hathorne, uomo di chiesa si era distinto nella persecuzione dei quaccheri e dei nativi indiani. Quando il capitano Hawthorne morì la famiglia si chiuse in se stessa. Di più. La madre praticamente si recluse nella sua stanza e le sorelle del ragazzo avranno le loro camerette; questa allegra famiglia aveva membri che non comunicavano spesso tra loro e tale solitudine aiutò la vocazione di H che nella sua camera scriveva racconti fantastici. Un regime di vita –ovvio che sto saltando altre fasi- che durò più o meno 12 anni Io suggerirei, per venire alla sua prima formazione culturale, che l’azione combinata da un lato, della finestra della camera della casa in cui si era trasferito con la madre e le sorelle dopo la morte del padre dalla quale poteva assistere impunemente alla grandiosità dell’oceano Atlantico il waterfront, e dall’altro dei libri: Pilgrim’s progress di John Bunyan e Faerie Queene del poeta rinascimentale Edmund Spencer –libro certamente religioso con una splendida apertura al mondo meraviglioso fatto di nobili cavalieri, principesse, maghi, draghi, dicevo questa combinazione, ha avuto un ruolo straordinariamente rilevante nello stile e nel contenuto delle opere di Hawthorne. Il bambino che leggeva queste pagine aveva solo 7 anni. Queste letture di opere allegoriche tutt’uno con le storie di stregonerie, di superstizione, di misteri che avvolgeva e avvolge il New England, non poterono non esercitare un influsso duraturo sulla personalità sensibile di H. ma non si può dire “allegorie” e poi fare finta di niente. Tutti sanno che Edgar Allan Poe accusava H del reato di composizione di opere allegoriche, genere che evidentemente a Poe dispiaceva e per certi versi anche a me che sto scrivendo queste ingenue note. Di la dell’illiceità o meno del genere “allegoria” genere che rischierebbe di distrarre dai fini veri di qualsiasi estetica letteraria (Croce), sorta di moltiplicazione inutile di un già di per se ricco reale, preme solo confessare come sia innegabile l’esistenza di certuni scrittori che adorano parlare per immagini, infino per pura astrazione. Allora dove sta il male? Da nessuna parte s’intende. Alcune complicazioni sorgono quando lo scrittore si mette a scrivere per astrazioni senza essere un vero pensatore. Non mi pare che le cose si contraddicano. H ha una strepitosa immaginazione come tutti i veri solitari. È anche un pensatore? È anche un filosofo? Tenderei ad escluderlo lo è più Melville, l’irascibile Melville. H, così come la sua affascinante, dinoccolata camminata, amava scrivere i suoi racconti portandoli a danzare fra realtà e immaginazione cercando di trarre da tale incontro/scontro allegorie, simbolismi. Septimius Felton è un’ininterrotta ricerca e rappresentazione di simboli (alchemici). H. non è un grandissimo per quanto sono andato dicendo. Non appesantisco queste che sono e restano delle semplici note con dirette citazioni da The Marble Faun o da The Scarlet Letter, o da The Dolliver romance, o da Rappacini’s daughter –romanzo quest’ultimo prossimo al Septimius. Il fatto è che questo scrittore annotava tutto non per farne caratteri, cioè personaggi da romanzo ma per mostrare la sua posizione, per esemplificare un simbolo. Procedimento artistico che appesantisce una storia. H. è pesante per un romanziere. Per questo motivo Borges eleva i racconti e non i romanzi di H a rango di opere indispensabili per la letteratura americana. Un romanzo ha bisogno che i personaggi come dire si distendano, si sviluppino. Nel racconto il fine che si vuol dimostrare è più facilmente raggiungibile anche senza dare origine a personaggi dimenticabili. Ma torniamo alla vita. Per breve tempo il ragazzo nel 1818 si trasferì nel Maine, fece ritorno a Salem per continuare gli studi. Per poi addottorarsi in una università del Maine. Anche i suoi compagni universitari lo definiscono umbratile, misterioso, silenzioso. Pare che William Goodwin e specialmente i romanzi storici di Walter Scott abbiano guidato alcune delle sue prime prove narrative perché a questo punto l’uomo si è persuaso che il suo futuro, la sua vera vocazione è scrivere. Uno studioso italiano di Hawthorne ha notato come questi siano gli anni di vera maturazione artistica dello scrittore, quelli che vanno tra il 1825 e il 1837, i famosi 12 anni di solitudine. I solitary years di H. gli danno una precisa connotazione estetica. La solitudine non come cupa malinconia ma un ritrarsi in se stessi per riflettere. Solo che tale solitudine deve aver ingigantito la tendenza al fantastico già pronunciata di H. e dunque si spiegano i suoi racconti. Non si deve immaginare un uomo passivo, refrattario al mondo. Il suo diario, iniziato nel 1835, mostra esattamente il contrario: un uomo dalla mente curiosa di tutto, dei più minuti dettagli. È ai dettagli della vita minima che H lega le sue intuizioni metafisiche. Ha scritto Citati che H. viveva comportandosi da vero scrittore. Come in un mondo fatato egli vedeva delle cose, dei veri e propri spettacoli onirici. Citati riprende Borges e ritiene H. mancante di una più ampio sistema filosofico. Perché il punto è che date le premesse: racconti e scritti di respiro esistenziale notevole è naturale chiedersi quale è il pensiero, l’etica di H. Con Maugham, ad esempio ove il piacere puro della fabula è evidente non verrebbe mai di chiedersi quale possa il sistema etico dello scrittore. H. è un romanziere certo, ma particolare. Le sue opere sono fatte di echi, di luce tenue, crepuscolare oppure notturna. I riferimenti storici ci sono nei suoi racconti, ma sembrano quasi espedienti per giustificare il fatto che il lettore “ode” le voci dei personaggi, voci che vengono di lontano magari da quell’immensa distesa d’acqua che si presentava davanti alla finestra di H. Un po’ di titoli. Twice-Told Tales è quello che deve essere letto di H. oltre al diario che trovo estremamente rilevante anche dal punto di vista della formazione (che è sempre in itinere) dello scrittore. Poi ancora: Mosses from an old manse e ovviamente The Scarlet Letter. Poi ci sarebbe Septimus Felton che è un romanzo curioso nell’ambito della produzione curiosa di H. e del quale parlo dopo. Da leggere anche The House of the Seven Gables. Intanto nel 1837 H aveva conosciuto Sophia Peabody. Sophia pare fosse una ragazza debole e colta e proveniva dall’ambiente intellettuale di Boston che in quegli anni andava elaborando la visione Trascendentalista. I Trascendalisti - la cui influenza enorme sulla cultura americana e dunque in seguito anche europea Elemire Zolla ha più volte spiegato in libri e saggi memorabili (come tutto quanto questo studioso è andato scrivendo)- questi intellettuali americani in altri termini (Emerson tra tutti) leggono Platone e Swedenborg, Kant e i romantici tedeschi ma sanno che possono elaborare un sistema di pensiero che si affranchi dall’egemonia culturale europea (e britannica in particolare).
In un primo tempo H è attratto dai trascendentalisti anzi nel 1841 si stabilisce nella celebre comunità di Brook Farm a West Roxbury (nei pressi di Boston) fondata da un certo George Ripley che con alcuni amici voleva sperimentare un sistema di vita comunitaria. Una sorta di comunità di Figli dei Fiori. H farà il contadino. H è un intellettuale e questo tipo di vita l’annoia. Si allontana dalla comunità (scriverà il romanzo The Blithedale Romance nel 1852 e non sarà tenero con la comunità di Brook Farm). H sposa Sophia nel 1842 andandosi a stabilire a Concord, casa che nel tempo diviene punto di incontro per gli intellettuali americani del New England: Margaret Fuller, James Russel Lowell, Ellery Channing e naturalmente Thoreau ed Emerson. H manterrà nei confronti del più importante di questi intellettuali Emerson un atteggiamento di scetticismo. Da Concord sarà costretto a spostarsi di nuovo a Salem e qui tornerà a lavorare all’ufficio doganale. Tra il 1844 e il 1851 gli nascono tre figli: Una, Julian, Rose. Per motivi politici H perderà l’impiego alla dogana e nel 1849 muore la madre. E in questo stesso anno comincia la composizione di The Scarlet Letter che verrà pubblicato l’anno successivo dando allo scrittore una certa sicurezza economica. Volevo dire che in questo 1850 H. incontra il suo maestro Melville. Che gli resta superiore per forza simbolica. Nel 1941 uno studioso Francis Otto Matthiessen parlò in un libro di Rinascimento Americano riferendosi in particolare ai due amici. Melville descrive l’epica di un individuo al cospetto di forze a lui superiori, H. cerca di costruire una coscienza americana moderna affrancata dal fanatismo puritano. Da un lato abbiamo Moby Dick e dall’altro The Scarlet Letter. Quando Pierce suo vecchio compagno d’università verrà eletto presidente degli Stati Uniti H nel 1853 è nominato Console Americano a Liverpool e Manchester. Con la famiglia andrà in Inghilterra. Incontrerà anche in Inghilterra Melville. Si dimette dall’incarico di console e viaggia tra l’Italia e la Francia. Nel 1859 torna a Concord. I suoi amici trascendentalisti sono felici di riaverlo ma lui non li ricambia con lo stesso affetto, troppa la differenza nell’affrontare il concetto di Male. E di conserva di Bene. Ha scritto Henry James che H. coglieva il male alla sorgente della profonda coscienza umana. Per H il male è dell’anima, è un disagio esistenziale. Era lontano, lontanissimo dall’utopia trascendentalista. Emerson e gli altri inclinavano a trattare il male della vita come un problema risolvibile sul piano politico, con le riforme sociali. Un sorta di tecnicismo risolvibile con applicazione! H. trovava in genere i trascendentalisti tediosi e poi essendo immerso lui nel concetto di peccato originale era costretto a vivere con persone convinte che l’uomo possa modificare la realtà: sicché la sua solitudine non poteva essere più totale. Muore nella notte tra il 18 e il 19 maggio del 1864.
Septimius Felton C’è un fiore in questo romanzo. Un fiore cremisi che forse è qualcosa di velenoso. H. nel suo sterminato simbolismo adopera spesso una pianta per condannare l’umanesimo scientifico; come fa per i fiori del giardino di Rappacini. Il principio del bene è quello di accettare il proprio destino, con la quiete che ciò comporta. Dice il teologo al protagonista. Ma il ragazzo gli fa notare che accettare quietamente la vita porterebbe ad un inganno maggiore poiché i dubbi e le paure si manifesterebbero con maggiore virulenza quando le incertezze emergono: la questione è che il ragazzo è incerto se iniziare o meno a studiare teologia. Il romanzo come le opere ultime di H. tende a confrontarsi con il dilemma: quiete o inquietudine, il prezzo è la pace dell’anima. O la sua perdita. Nel 1860 come detto H torna ad abitare a Concord che fornisce lo sfondo ambientale a questo romanzo che nella sostanza parla del problema della morte, cioè dell’immortalità. L’immagine dell’orma insanguinata H l’aveva presa durante il soggiorno in Inghilterra e precisamente nel Lancashire aveva visto la pietra dell’orma insanguinata, una pietra cioè macchiata da una forma di piede marrone che si diceva stampata dall’eretico John Marsh mentre veniva condotto al supplizio. E da questo momento nella fantasia di H la figurazione di una storia sull’orma insanguinata non cesserà di seguirlo. Perché al centro del romanzo sta l’immagine dell’orma e l’idea dell’immortalità. Probabilmente queste due idee combinate dovettero ossessionarlo ed erano alquanto riluttanti ad ordinarsi in trama. H infatti stese diverse canovacci prima di dare forma al racconto e da uno di questi nacque addirittura un libro stampato poi con il titolo The Ancestral Footstep che è la storia di un americano che visita un castello inglese in cui si trova l’orma di sangue, il visitatore capirà in seguito di essere lui erede del castello e il proprietario lo perseguita. Pare che solo nel 1861 H cominciò a dare ordine sul foglio all’idea di Septimius Felton. L’idea di comporre una storia sulla ricerca dell’immortalità cessò ad un certo punto di spaventarlo. Fu la figlia Una in verità a pubblicare il romanzo nel 1871. Di passaggio dirò che del romanzo esistono ben undici manoscritti diversi. Come tutti i racconti simbolici tracciare la trama di questo racconto è difficile. Il libro ha una racconto al suo interno che è quello noto dell’orma insanguinata. La leggenda dell’orma insanguinata si lega a resoconti alchemici: la vita dell’omicida dovrebbe essere garantita dal sacrificio e la vittima deve essere una creatura amata. Septimius Felton questo singolare romanzo che non è difficile reperire in inglese mostra un personaggio ossessionato dalla vita eterna, deve garantirsi la vita perpetua. Il desiderio folle di vivere per sempre all’inizio dell’evo moderno era cosa frequente. Si parlava dell’elisir della lunga vita e lo stesso Cagliostro veniva creduto detentore di questo segreto. Cagliostro consigliava di andarsene a dormire in una casetta di campagna per ottenere il Rinnovamento. E cosa era questo rinnovamento? Per 40 giorni bisognava stare in questa casetta a dieta e ingurgitando lassativi per tenersi occupati con qualcosa e magiare qualche dolcetto. Dopo 17 giorni il malcapitato doveva salassarsi e quindi mettersi a letto e c’è da chiedersi se aveva la forza per mettersi pure a letto. Dopo 32 giorni doveva mangiare qualcosa di non ben identificato che avrebbe dovuto impedirgli di parlare e lo avrebbe messo in uno stato di convulsioni. Sudate e perdite organiche lo riducevano ad una larva. A questo punto gli si dava un brodo che gli avrebbe procurato deliri e febbri. Quindi la perdita di denti e capelli e il trentacinquesimo giorno un bagno che lo avrebbe messo in uno stato di semi coscienza durante il quale i capelli sarebbero ricresciuti e anche i denti si sarebbero riformati. Quindi nasceva una nuova persona Rinnovata. Si tenga conto che questi deliri vennero spacciati in pieno XVIII, il secolo del Razionalismo. Septimius eredita questa volontà di onnipotenza e questo Lucifero Hawthorniano in realtà non vuole vivere solo un suo illimitato destino, vuole vivere tutti destini possibili. Septimius vorrebbe passare per tutte le vite e per tutte le esperienze vuole essere tutto e tutti. Non so che valore abbia questo romanzo specie perché non sono uno studioso di alchimia. Esso tuttavia è rilevante perché è uno dei più delicati romanzi della narrativa di lingua inglese che tratta l’alchimia, esistendo una corrente nella letteratura anglo americana che ha una sua storia ed è la poesia e la narrativa di soggetto alchemico.
Riferimenti Bibliografici essenziali: Septimius Felton or the Elisir of Life, Nathaniel Hawthorne, Aegypan edition, 2007; Agostino Lombardo, Il simbolismo nella letteratura nord-americana, Firenze, 1965, p.155; Elemire Zolla, Le origini del trascendentalismo, Storia e Letteratura, 1963; Philip Mcfarland, Hawthorne in Concord,Grove press, New York, 2004; Nathaniel Hawthorne Journal, 1972, Edited by C.E. Frazer Clark, Jr., Washington, 1973; Benedetto Croce, Problemi di Estetica, Bari, 1940; Henry James, Hawthorne, Tutis Digital pub, 2008; Borges, Tutte le opere, Milano, Mondadori, 1984, pag. 953; Francis Otto Matthiessen, American Renaissance. Art and Expression in the age of Emerson and Whitman, Kessinger publishing, 2007; Cosimo Abatematteo
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