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La goccia e lo stelo

Poesia

Emmanuele Francesco Maria Emanuele
LietoColle

Recensione di Gian Piero Stefanoni
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Pubblicato il 11/02/2014 12:00:00

 

Poesia garbata e di accento antico per consonanza e familiarità domestica col mondo intorno, tra memorie e piccole liturgie interiori mai sovrapposte al canto che le ispira, questa di Emanuele. Soprattutto poesia onesta che non si serve dello strumento lirico per confondersi- e confondere- come nei tanti, troppi, vaniloqui che caratterizzano ancora buona parte della nostra poesia. Ma che, piuttosto, la serve rammentandone l’incanto dello sguardo nella mitezza di una bellezza che ha il potere di scioglierci, e di risolverci se preservata, nel mistero infinito delle sue incarnazioni. Unità, dunque, che in questi versi è data da un profondo spirito e coscienza di terra in gratitudine e perenne affidamento, nella consapevolezza di un sé compiuto ma sempre in divenire tra risonanze e complementarità d’accordi da curare e perseguire pur - e forse soprattutto- nella malinconica stretta dello scorrere. La prospettiva infatti da cui muove Emanuele è quella di un uomo che, nella pratica del sentirsi, si sa tale solo se parte centrale e insieme periferica nell’armonia degli elementi che lo comprendono rimettendo nella costante osservazione ed identificazione con la natura ogni investigazione e iscrizione di sé. Scansione questa che gli consente di raccontarsi, nell’umiltà del tratto che ne caratterizza il verso, entro leggeri cicli di interrogazioni e visioni su cui tutto domina, tra scosse ed ansie di trasformazione, una grazia del tendere sempre accesa nel bagno d’orizzonte che lo investe. La forza di questa poesia si rivela allora nella umana impotenza di pienezza tra le cui oscillazioni ricordo e materia presente si intrecciano in una ricerca continua di ritrovata e rinnovata spazialità. Respiro aperto finalmente che, inevitabilmente, però può sorprendere quasi -come in tutti noi- solo in quell’attimo, in quello stato in cui corpo e anima non si pensano ma liberamente sono, battono come ne “Il risveglio” dove il cuore proprio in questo si sa bastevole nel flusso di mondo che in tutta la sua conferma gli riappare. Così nelle tre sezioni in cui è suddiviso il testo, non a caso già nei titoli (“Allora”, “Adesso”, “Chissà”) secondo una proiezione cronologica delle investigazioni, è una certa tenera benevolenza del ritratto, e di ciò che si mantiene concretamente aperto ai segnali di vita, a risarcire il dettato. Alle memorie degli amori giovanili, ma in particolare a quelle care del padre e della madre, nel riconoscimento di un’eredità di valori preservata negli anni, segue difatti un istinto di partecipazione e detersione sulla scorta della convinzione che solo in relazione agli altri l’uomo si compie, e che ha nel riflesso di sé la ricorrente immagine della volta stellata o della pietra e del fiume nelle cui risonanze di passaggio e trattenimento si osserva scorrere nel fluire espanso della terra. Miracolo, questo, di circolare rinnovamento nel superamento delle forme che in Emanuele si fa, ha il significato sacro d’accoglienza e offerta pudica di poesia nella cui prossimità sa iscritte le infinite ricomposizioni dell’ amore. Grazia che nella coscienza amara del male nel mondo in cui si “consuma/ la parte più bella” si direziona appunto nell’intreccio di una bellezza che proprio nella sua manifestazione massima, come “goccia splendente” che “si appoggia/allo stelo che da sotto/ felice la guarda” è destinata a scivolare via (come nella lirica che dà nome al testo). Seppure qui, in una dialettica di lettura, non conveniamo però con una certa dolenza di riferimento che nella parte finale del libro (corredato tra l’altro da opere di Chia, Echaurren e Paladino) si accalca tra i versi ed in cui, entro una ripetizione forse eccessiva di immagini e considerazioni (e in una lingua che per questo scema di forza), tende a sovrastare la figura umana nella considerazione della sua finitudine. Ma ciò non va a inficiare comunque una meditazione che non si perde mai nel proprio slancio di sogni, e che piuttosto nella cura del sogno ha la prova e la misura, mai scontata, di sé e del mondo in una dilatazione che lo vede, non solo nella scrittura, ma anche nella promozione di eventi ad essa legati, al passo saldo di quella visione di incontri chiamata poesia.

 


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