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La razza degli uomini perduti

Narrativa

Antonin Artaud
Via del Vento

Recensione di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 14/02/2014 12:00:00

 

Antonin Artaud fu scrittore, commediografo, attore, regista teatrale, durante una vita costellata da ricoveri in manicomio, viaggi, droghe e tentativi di liberarsi da esse. Dalle pieghe della vasta e nota produzione artistica questo quaderno di Via del Vento propone alcune brevi prose meno note, alcune facenti parte della produzione giovanile, altre come testimonianze dell’esperienza manicomiale. I primi tre scritti: Il sorvegliante di collegio dagli occhiali azzurri, La stupefacente avventura del povero musicista e Il villaggio dei lama morti, risentono dell’influenza che su Artaud ebbero alcune letture fatte ai tempi del soggiorno in casa di cura, fra esse spiccano Poe e Baudelaire, che influenzarono in maniera evidente soprattutto il primo e il terzo degli scritti; mentre l’avventura del musicista trae evidentemente origine da una antica leggenda orientale. Questi racconti iniziali, mostrano i primi passi di Artaud nel mondo dello scrivere, da qui alcune incertezze, uno stile che risente di una certa ampollosità, non ancora smussata dall’esperienza, e che denota una certa propensione verso gli stilemi del movimento simbolista, oltreché una propensione verso il mondo orientale che accompagnerà tutta l’esistenza di Artaud. Gli altri due brevi scritti, che completano il volumetto, vedono la luce nel periodo tra il 1945 e il 1948, anno in cui Artaud verrà trovato morto a Ivry-sur-Seine, nei sobborghi di Parigi. Questi testi conclusivi della vita e della produzione artistica hanno un andamento molto asciutto, scabro, quasi a voler prendere le distanze dalla letteratura, vi sono descritti momenti della vita manicomiale, dei diari di una esistenza passata per lunghi periodi in case di cura. E non dimentichiamo che a quei tempi le cure psichiatriche assumevano dei tratti da vera e propria tortura, ma per una mente fertile e geniale, spesso la pazzia si mischiava con la magia e l’ascendere ad una dimensione altra. Ecco perché, parlando della sua malattia, Artaud dice: Poiché ha presentato con il tempo i sintomi di cento malattie diverse, addirittura contraddittorie, e di cui adesso so che non si trattava che di una lunga, minuziosa, ostinata e [...] licenza di sortilegio. La rabbia di queste reclusioni, viste come un tentativo di porre freno alla sua indole artistica, fanno terminare questi brevi scritti con parole forti, a tratti blasfeme, in cui alle invettive si unisce una sorta di dolore mistico, sebbene al di là di tutte le amare esperienze ci resta un finale consolatorio: Posso dire che nessun alienato mi è parso delirare, ritrovato il filo della verità, insolito forse ma quanto mai accettabile, che il cosiddetto pazzo cercava

 


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