Mentre attendevo l’ora per un appuntamento di lavoro, sono entrato in una libreria di Testaccio, a Roma. Come solitamente faccio, ormai da molti anni, quando entro in una libreria, mi sono recato al reparto dedicato alla poesia, ma chiamarlo reparto, in quella particolare libreria, è come confondere il mio gatto con una tigre, infatti, più che di reparto si tratta di due mensole con la stessa estensione di quelle che ho a casa e sulle quali stanno, appena appena, tre teiere e altrettante tazze. Inizio la mia solita scansione dei libri e tra gli sparuti titoli, e la monotonia degli stessi autori, tra tutti cito la Merini, ecco che trovo una novità, ho un sussulto: L’amorte, edito da Garzanti; poi leggo l’autore, Alessandro Bergonzoni, e penso: guarda guarda, si sono sbagliati, hanno messo un autore di prosa tra la poesia. Invece no, apro il libro ed ecco che trovo proprio una scrittura in versi. Garzanti, mi dico, una casa editrice importante; normalmente tali case editrici pubblicano pochi titoli di poesia, quando ne pubblicano uno dovrebbe essere garantita una buona lettura. Bergonzoni? Non ho mai letto sue poesie. Vado subito a cercare il riferimento biografico, nel secondo risvolto di copertina leggo:
È artista, autore e attore teatrale. Ha scritto e interpretato 14 spettacoli con i quali ha vinto i principali premi teatrali. Al cinema ha partecipato al Pinocchio di Roberto Benigni e al Quijote di Mimmo Paladino. Ha collaborato con Radio 2 e Radio 3 Rai, raramente con la televisione e con varie testate giornalistiche. Attualmente collabora con «il Venerdì di Repubblica». Dal 2005 espone la sue produzioni artistiche in gallerie e musei. Tra i suoi libri ricordiamo: Le Balene restino sedute (Palma d'oro di Bordighera 1990), È già mercoledì e io no, Il grande fermo e i suoi piccoli andirivieni, Opplero - Storia di un salto, Nel (tutti editi con Garzanti); Silences - Il teatro di Alessandro Bergonzoni (1997), Non ardo dal desiderio di diventare uomo finché posso essere anche donna bambino animale o cosa(2005) e il libro di disegni-scrittura Bastasse grondare (2009).
Con una biobibliografia di tale portata la speranza e l’attesa salgono. Torno al primo risvolto di copertina e leggo:
Il primo libro di poesia di Bergonzoni può essere la dimostrazione che, a forza di «praticare l'inesistente che c'è», non ci si riduce, anzi, ci si spande e si dilaga.
Con quest'opera infatti riparte, ancora, per una delle sue prime incalcolabili volte.
Una scrittura piovana, anfibia e incrociata, di chi si sente «più autorizzato che autore, più scritturato che scrittore, perché il pensiero è frequenza e a noi è concesso captarla, accoglierla, farla abitare».
Le attese salgono ancora di più. Decido di leggere il libro… ma già dopo le prime pagine: puff! Mi sgonfio e mi chiedo: si può decidere di diventare poeti? Basta aver scritto molti libri in prosa, essere attori, aver vinto vari premi, essere personalità note e riconosciute, o non so quale altra astruseria, per essere poeti? La mia risposta è ovvia, ma non sembra altrettanto ovvia per tutti, specialmente per chi sta nel mondo dell’editoria.
Questa poesia non decolla, il verso risulta riluttante, forse non gli sto simpatico, in ogni caso non entra, non rimango convinto. Mentre leggo mi sgonfio sempre di più, solo poche poesie, a mio avviso, hanno in se stesse la delicatezza e la forza dell’arte poetica.
Trovo versi scomposti, ma forse è ciò che l’autore vuole, forse nella mente dell’autore c’è una musicalità incerta e trasgressiva che essi devono avere, forse andrebbero ascoltati dalla sua viva voce, rimane il fatto che nella mia lettura li trovo senza esigenza, non hanno voglia di emergere, il suono si disperde nella pagina stessa del libro, non entra in risonanza con il mio spirito di lettore, in cui risuona, invece, una eco discordante. Forse l’effetto voluto da chi ha composto questi versi è proprio quello di mettere in mostra “l’inesistente che c’è” nella vita moderna, tutto l’effimero e sentenziato modo di vivere in questa società schizofrenica, fatta di paure immotivate e poi di gioia ingenua, di accuse e poi di perdoni spudorati, di amore come fosse una morte e di morte come fosse un amore; forse si tratta di una denuncia: siamo ancora capaci di morire per amore o di amare da morire? Forse è tutto questo, o molto, molto di più. Non so, forse dovrebbe rispondere l’autore stesso, ma non penso proprio che lo farà. Ciò che io semplicemente rilevo è che la sua scrittura comica e surreale, di successo in altri suoi libri di narrativa, non mi convince nel contesto del verso. È un mio limite? Può darsi.
Mi perdonino l’autore, l’editore e chi altri ha scelto di pubblicare L’amorte; perdonino il mio pensiero, qui esposto così schiettamente, tutti coloro che leggono queste righe, ma penso che se un qualsiasi autore sconosciuto avesse inviato questi versi ad un editore, anche allo stesso che li ha pubblicati, probabilmente, non sarebbe stato minimamente preso in considerazione; ovviamente si tratta di un mio libero pensiero, fondato su una ventina di anni di esperienza nella lettura e scrittura in versi.
Sono d’accordo sul fatto che Bergonzoni si senta “più autorizzato che autore, più scritturato che scrittore”, chi l’ha scritto nel risvolto di copertina avrà forse voluto in qualche modo sottilmente giustificarsi per aver pubblicato il libro?
Sicuramente non mi farò amico Alessandro Bergonzoni al quale, come avviene alla maggior parte degli scrittori ai quali muovo una critica, andrò di traverso, ma a lui basterà un colpo di tosse per tirarmi via e deglutirmi (lo dico con la segreta speranza di sbagliarmi).
Per concludere faccio un invito: leggete il libro e venite a esprimere i vostri pareri, convincetemi, ve ne prego, che mi sto sbagliando, sarei più felice, lo giuro, nel sapere che ogni poeta riceve la sua giusta mercede.