Pubblicato il 13/10/2019 06:26:06
“La Casa sul Bosforo” - Un libro di Pinar Selek (… una diversa recensione).
SBT 2 Ottobre, il mare ancora per oggi rivela ancora tutto il suo incanto. Ho appena finito di leggere il libro di Pinar Selek “La Casa sul Bosforo”, travolto dalla commozione dei ricordi. È stato come un risveglio improvviso “..come nel mezzo di un sogno, quando si ha paura di dimenticarlo”.
Una favola amara che, ugualmente, come tutte le fiabe, è a lieto fine: “… A me piacciono le tue fiabe, Sema. Finiscono bene”, si legge nell’ultima riga, e, come accade per ogni fiaba, in fine è l’emozione che ci ha trasmesso ciò che più conta. È il trasporto che in esso si genera, pagina dopo pagina, e che conduce il lettore in un continuo ‘viaggiare’ , solo apparentemente senza meta, all’interno dei propri sentimenti, quelli più reconditi che scaturiscono dalla sensibilità profonda dell’animo umano.
Quella incontestabile quanto vilubile ‘sensibilità’ di donna che nel comune pensare riscontraamo come sostanziale ‘leggerezza’, tuttavia mai banale e quindi da non sottovalutare, perché confidenzialmente ‘passionale’, per lo più legata all‘incertezza’ che l’odierna società produce. Che non è quella dell’inizio del libro, dove le ‘certezze’ sono ben altre, legate alla terra, così come lo erano i costumi e le tradizioni secolarizzate che costituiscono la spina dorsale di un popolo, e ne definiscono la sua dignità.
Tuttavia senza rimpiangimenti inutili, allo stesso modo in cui l’autrice Pinar Selek riflette su passare del tempo: “Il tempo è una strana cosa, nulla gli resiste”, scrive; la trama del libro si snoda, come nelle grandi saghe letterarie più conosciute, nel costante ‘viaggiare’ dei suoi personaggi che si stagliano nitidi sul paesaggio/i affermando con la loro semplice ‘esistenza’ un loro stare al mondo proverbiale, fatto di piccoli gesti quotidiani; delle piccole cose di sempre: il lavoro, un pranzo consumato in compagnia di amici, una bevuta ospitale, uno squarcio di musica.
Nulla a che vedere con la vita tumultuosa e l’arroganza delle città metropolitane cresciute troppo in fretta, dai sentimentalismi sfogati in fretta, emarginazioni assurde. Qui, nelle pagine centrali del libro, assistiamo a più di un incontro ritardato nel tempo; quello dei diversi e numerosi personaggi che, nel contempo, si cercano e si amano, si consumano nel desiderio talvolta incompreso, eppure così umano fino a creare quella ‘vertigine’ propria dell’esistenza. Senza la quale, nel sacrificio e/o nella solitudine vivremmo come “foglie staccatesi dal ramo sul punto di seccarsi”.
Un ‘viaggiare’ s’è detto all’insegna dei ricordi: “Non smettevamo di cantare i versi di Nazym Hykmet (*): “I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti”; in cui si narra di partenze, della scompasa di persone care, di quelle che contano in una vita, di solitudini e di forzati ritorni, di abbracci senza rimorsi, di felicità intrisa di speranza. Alla ricerca di ottenere inutili risposte alle molte domande: “Dove va il vento?”; “Dove mettere radici?”; “Dove sono i nostri figli ribelli?”; “La strada dell’amore ha una fine?”. “È più difficile spiegare o capire?”.
Domande, parole, frasi lasciate a metà che, alla fine del libro trovano una risposta sovrana, racchiusa nelle righe di una lettera spedita da Hasan alla fine di Settembre 1996 (Ottobre è comunque vicino): “Cara Sema, […] Hai notato, è un anno esatto. Non riesco a crederci, i mesi (e gli anni) sono passati così in fretta, e siamo stati così occupati. Corriamo più veloci del tempo. sono felice, Sema […] di spingermi oltre , di acquisire nuove esperienze”. “Mevlana (**) dice che: “..l’essere amato dà sapore anche alla sofferenza”. “Si dice che ciò che rimandiamo di continuo finisce per sfuggirci”. Non dimentichiamolo.
E inoltre: “Mescoliamo musica, pittura, danza, teatro, acrobatica … vogliamo dimostrare che la ricerca della libertà e della giustizia riappacifica l’essere umano con la vita. Coinvolgiamo molta gente. Fuggitivi, clandestini, senzatetto vivono con noi per qualche tempo. si rifugiano sotto il nostro ombrello, (di solidarietà). Quando vanno via, lasciano qualcosa: un braccialtto, un messaggio, un accendino, (un abbraccio, un sorriso). Ed anche se “Non sono riuscito a rimanere solo con la mia tristezza, ma non sono neanche riuscito a condividerla. […] Imparo molto, arricchisco il mio universo ogni giorno di più”.
Ma il tempo, oltre ad essere ‘una strana cosa’, in fine ci ha tolto qualcosa: “Sema non racconta più le fiabe. […] E noi? Che cosa lasceremo? Appunti, foto, ricordi?”, un libro dopo l’altro, ma avremo smesso di sognare. Note:
*) Nazym Hykmet, celebrato poeta turco, premio Nobel per le sue poesie d'amore, oggi ammirato in tutto il mondo. La forza della sua poesia è quella di arrivare dritta al cuore.
**) Mevlana (Jalal ad-Din Rumi) è un mistico persiano del XIII secolo, fondatore dell’ordine Sufi dei Medlevi (dervisci rotanti).
L’autrice Pinar Selek, sociologa originaria della Turchia, per le sue controversie con le autorità politiche è costretta a vivere in esilio dal 2009. Nel 2017 ha ottenuto la nazionalità francese.Insegna scienze politiche all’Università di Nizza. Tra i suoi numerosi saggi ricordiamo “La maschera della verità” – Fandango 2015, e “Lontana da casa” – Fandango 2019.
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