Penso che nella disamina di noi stessi, da ogni punto di vista si voglia vedere, qualsiasi esso sia, ci sia qualsivoglia in noi una visione introspettiva del nostro essere che rifiutiamo di vedere per scelta nostra, o del nostro inconscio.
Un riavvicinato incontro col tempo che rifiutiamo di avere.
Il battito che ci spaventa più degli altri.
il più intimo.
la paura del futuro.
il nostro.
Credo non sia sufficiente sentire male per sentirsi buoni, nè per farlo provare agli altri. Essere i mandanti, gli effetti collaterali devastanti di un dolore. O per lo stupirsi di una gioia.
Si presenta il conto e si va all'incasso, questo è per adesso quello che per noi conta più del resto, l'essere convincenti limitandoci volutamente nel farlo.
Come se per vivere avessimo soltanto la fottuta necessità di una lotteria per vincere o perdere, per puntare su qualcosa o su qualcuno, per poter recriminare o essere consolati a prescindere, naturalmente non e mai, per colpa nostra.
Come tutto fosse solo una una vendetta, una rivincita partendo da un principio per portarlo a proprio termine con un bizzarro tentativo di esempio e somiglianza.
Mentre il sogno rimane la percezione di ciò che non avviene, mentre la scommessa più grossa di noi stessi è la vita stessa che, al pari del tempo, scorre inesorabile tra le nostre mani.
Un compitino facile facile quanto stupido, e idiota.
Pensare possa bastare pagare con l'inganno per aver diritto ad avere l'ultima parola chiamata ragione. Cercare la fine di un incubo non chiudendo il cerchio, lasciando aperto uno spiraglio a tutto.
Comprarsi tutto a tutti i costi.
Studiare per pensare di poter insegnare a vivere e giudicare.
Confondere il quotidiano al pari di un dovere, al mero prezzo di un'ideologia.
"Essere protagonisti vivendo da comparse è soltanto lo stupido presagio di un sogno, la cognizione di ciò che non siamo stati in grado di vivere, di essere, e far vivere.
Dimostrare amore."
Libero pensiero e ispirazione leggendo Michail Bulgakov e Fëdor Dostoevskij
“Il Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov e “L'Idiota” di Fëdor Dostoevskij, sono due tra i libri letti e riletti che non smetterei mai di leggere e rileggere.
Due tra i manoscritti che porterei sempre con me e che in fondo, porto in ogni cosa. Pagine che forse ho portato nel mio io ancor prima di leggerle, in ogni momento della mia vita.
Letture conosciute per caso, inconsapevolmente, sicuramente troppo tardi come gli incontri inaspettati e piacevoli che ho avuto la fortuna di avere, e che egoisticamente, vorrei non finissero mai di esistere.
Come non fossero soltanto pagine di un romanzo
ma come fosse un amore
una vita
per sempre.
Giuseppe Wochicevick
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