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Il conto delle minne

Romanzo

Giuseppina Torregrossa
Mondadori

Recensione di Maurizio Morelli
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Pubblicato il 29/10/2013 12:00:00

 

La vita è quello che ti capita mentre stai facendo altri progetti

J. Lennon

 

 

Conobbi lembi di Trinacria durante gli anni dell’Università quando la curiosità che è propria della giovinezza si univa ai corsi di letteratura italiana che il vecchio ordinamento imponeva obbligatori per le matricole come me, allora. L’amore per quest’isola nacque  “ascoltando” Verga, Pirandello e Sciascia. Da allora la Sicilia, i suoi colori, le sue maledette contraddizioni  hanno fatto parte di me tanto da spingermi a visitarla per lungo tempo durante le estati che mi hanno accompagnato dalla giovinezza alla maturità. Ora manco da qualche anno e cominciavo pian piano a scordarmi di Lei, dei suoi tratti. Per questo ringrazio Giuseppina Torregrossa. Perché “Il conto delle minne” mi ha fatto incontrare nuovamente la Sicilia, le sue bellezze ed i suoi tormenti. Romanzo di compenetrazioni ideali e carnali con, sullo sfondo, i colori, gli odori e la meravigliosa gente di questa terra. “Il conto delle minne” incarna quell’idea di Sicilia che è propria di chi è nato e ha vissuto e respirato la storia e “l’aria che tira da quelle parti” di cielo. Dicevamo terra di contraddizioni  perché nel racconto che è biografia fantasiosa  della famiglia Badalamenti sono presenti un distillato secolare di vera e propria cultura siciliana che convive  tra “sacro e profano”. La presenza eterea della “santuzza” Agata fa da cornice ad una storia al femminile, dove le protagoniste combattono la propria guerra per una “sopravvivenza in quanto tale”che è accettazione di identità e orgoglio in una terra soggiogata dall’elemento maschile “insensibile alla loro sensibilità”. Vi sono poi le vere protagoniste del romanzo della Torregrossa: le “minne” nella loro accezione dualistica: squisite cassatelle siciliane che animano la vita di più di un secolo della famiglia Badalamenti e rappresentano il simbolo del martirio di Sant’Agata, e l’elemento più rappresentativo e seducente dell’universo femminile: il seno. Le minne rappresentano la bontà sensuale, irresistibile per ogni “masculo” che si rispetti, ma sono la perfetta crasi ideale tra sesso e dolcezza, carne e maternità, passione ed amore. Le minne nutrono, saziano, patiscono e muovono gioie e tragedie familiari: sono il significato primordiale della superiorità femminile sull’uomo che non può sottrarsi ad esse. In questa duplice essenza scorre la vita delle protagoniste del racconto: la nonna Agata, custode dei ricordi familiari e della ricetta esclusiva delle “minne di sant’Agata”(e quindi custode di vita) e la dottoressa Agata Badalamenti, nipote di quest’ultima e narratore onnisciente del racconto. Il romanzo si “scioglie” parallelamente nelle vicende di queste due eroine a loro modo legate da una  fitta rete di “flashback familiari” e “nuove vite” fatte di amori e tormenti familiari, “andate e ritorni violenti”, che sono poi il percorso di ognuno di noi. Il tutto ambientato in una Palermo che è stata prima vissuta e poi descritta dalla Torregrossa, capace di incantare il lettore attraverso “paesaggi dipinti con le parole” per poi condurlo nei meandri più bui dell’animo umano, fatto di violenze e dolore. Tutto in questo romanzo è in qualche modo “duplice”. D’altronde, come raccontava la nonna di Agata preparando “il conto delle minne”, non bisogna “sparigliare mai”.

 


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