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DIDONE-ELISSA: Regina di Cartagine

Argomento: Storia

di Maria Pace
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Pubblicato il 19/03/2013 07:09:50

 

DIDONE     Regina di Cartagine

 

Di questo personaggio, che ondeggia tra storia e leggenda, si sarebbe persa ogni traccia o ricordo, se non avesse avuto un cantore d’eccezione come Virgilio.

Grazie a lui, poeti e scrittori, pittori e musicisti l’hanno resa immortale.

Didone, la mitica fondatrice di Cartagine, che il mito più antico chiama Elissa, è un personaggio epico e quasi virile, nel vigore dello spirito e nella risolutezza delle opere.  E’ una donna energica, intelligente ed  astuta.

Virgilio, però, fa di lei l’eroina di un dramma amoroso orchestrato e diretto dal Fato.

Chi era veramente la nostra eroina? La Elissa, cioè  Allizah la Consacrata del mito più antico oppure la Didone, cioè la Virago del mito virgiliano?

 

Sia Storia oppure Leggenda, la Elissa-Didone dell’antico mito era una donna dignitosa, forte e astuta.

Primogenita di Belo, re di Tiro, alla morte del padre ne ereditò il trono assieme al fratello Pigmalione.

Per nulla disposto a dividere il trono con la sorella, Pigmalione fece uccidere Sicheo, il ricchissimo ed amatissimo sposo di lei e prese il potere da solo.

Per evitare una guerra civile la Regina decise di  lasciare Tiro ed iniziare il suo peregrinare nel Mediterraneo in cerca di una nuova patria.

 

La necessità aguzza l’ingegno, recita un adagio e la bella Elissa dette subito prova di quanto ingegno fosse dotata.

Per lasciare Tiro aveva bisogno di navi e lei non ne disponeva. Allora montò un’efficace quanto astuta messinscena per raggirare il fratello. Gli chiese un incontro per discutere e trovare un accordo e Pigmalione precipitò nella rete con l’intelletto offuscato dalla cupidigia per le di lei ricchezze.

Egli inviò immediatamente uomini e navi a prelevarla, ma la notte stessa in cui le navi approdarono nel porto, Elissa-Didone fece caricare di nascosto a bordo tutte le sue ricchezze, lasciando in bella mostra sul ponte una gran quantità di sacchi contenenti sabbia, facendo credere che l’oro fosse là dentro.

Appena le navi ebbero raggiunto il mare aperto, la Regina ordinò ai suoi uomini di gettare nelle acque quell’ipotetica, ingente ricchezza gridando

“… meglio in mare che nelle mani infide ed indegne di Pigmalione.”

In realtà si trattava solo dei sacchi pieni di sabbia.

Timorosi della reazione del loro Re, gli uomini di Pigmalione preferirono mettersi al servizio della Regina piuttosto che tornare al cospetto del Re e puntarono la prua delle navi in direzione della prima isola.

Dopo lungo (o breve) peregrinare, le navi raggiunsero le coste della Libia ed ancora una volta la bella ed astuta Regina pose in atto un piano assai ingegnoso.

Ottenne da Jarba, un principe locale, un terreno su cui edificare la sua casa: “… grande quanto ne può contenere una pelle di bue” disse.

Jarba accettò ed Elissa lo mise elegantemente “nel sacco”.

Fece tagliare in striscioline finissime una pelle di bue e con esse tracciò un perimetro che conteneva tutta la collina e la campagna circostante.

Su quel terreno la Regina edificò la sua città: Cartagine o  Birse, che in greco significa “Pelle di bue” e in fenicio vuol dire “Collina”.

 

Bella, affascinante, ricca e potente, la Regina di Cartagine attirò immediatamente le mire di molti pretendenti. Primo fra tutti, quelle dello stesso principe Jarba il quale giunse a minacciarla di muoverle guerra se non l’avesse accettato come sposo.

Elissa-Didone finse di accondiscendere alle richieste e chiese ed ottenne di aspettare la fine del periodo di vedovanza. Quando giunse il giorno della scelta di uno sposo, la Regina, ancora innamorata del marito e fedele al giuramento di non sostituirlo con un altro uomo (nulla da stupirsi: si era nel periodo Matriarcale ed era la donna a scegliersi lo sposo) si trafisse con una spada.

Come un grande Sovrano, aveva già compiuto la sua impresa e non desiderava altro.

 

Il tardo mito, però, la vuole identificata con la donna che seguì Enea profugo a Cartagine dopo la fuga da Troia e che, abbandonata, si uccise e si gettò sul rogo lanciando imprecazioni.

Plutarco per primo respinse questa versione dei fatti resi da Virgilio, insostenibile sia per il carattere della donna che per  inesattezza cronologica.

Non si tratta più del personaggio Elissa-Didone, ma piuttosto di Didone-Elissa.

Non solo Virgilio, ma anche Ovidio ne fa un personaggio da tragica-commedia.

La Didone-Elissa di Ovidio non è né epica, né mitica e tantomeno regale.

E’ una “relicta”. E’ una  donna che piange e si dispera; chiede ed implora.

La Didone-Elissa di Ovidio non è l’astuta, battagliera conduttrice, fondatrice di città, che tiene a bada popolazioni avversarie, ma una donna che per amore perde ragione e dignità.

Il personaggio non ci appare eroico come nell’antico mito, ma vinto e un po’ patetico: non è più quello di una Regina gloriosa, ma di una donna fragile sopraffatta dalla passione ed accecata da un dolore senza tregua né espedienti: neppure quello abile, ma inutile, di un presunto figlio in arrivo per trattenere l’amato.

Proprio un piccolo espediente da piccola donna!

Didone-Elissa è, dunque, una donna appassionata, fragilmente femminile e in preda alla passione, che alla fine fa dire al suo poeta:

  “il motivo della morte e la spada fornì Enea

   ma con la sua stessa mano si tolse la vita Didone.”

Didone-Elissa, infatti, si uccide con la spada che lo stesso Enea le aveva donato.

 

“Per te solo ho distrutto il pudore e la fama di prima

per la quale solo io salivo al cielo” dirà Virgilio, donandole l’immortalità.

Didone, dunque, diventa immortale solo per essere una donna e soprattutto una donna  fragile, dopo essere  stata una Regina gloriosa.

Didone, dunque, è un personaggio che diventa immortale grazie alla propria sconfitta. Ma perché?

Perché Vigilio era romano e Didone, invece,  cartaginese. E perché Roma e Cartagine erano eterne nemiche.

Ma anche perché la morte di questa Regina doveva essere il primo segno della vittoria dei romani sui cartaginesi. E non doveva essere la “storia” dello scontro fra le due Potenze, bensì la “leggenda d’amore” fra due personaggi mitici finita in dramma.

Doveva essere così, perché  l’EPILOGO della “Leggenda” di Didone, doveva costituire il PROLOGO della “Storia” di Roma.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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