Franca Alaimo torna in libreria con una proposta di lettura di poesie capace di coniugare grandezza e levità, e di sostenere il confronto, perché anche di confronto in arte si deve parlare, con i maggiori poeti suoi contemporanei; anche se, ahimè, Franca, pubblica con questo pur ottimo editore, al quale rendiamo merito per avercela proposta, ma la cui distribuzione non può certo competere con i più grandi editori, quali Einaudi e Mondadori, che attualmente sostengono il carico poetico dei più noti (non per questo più importanti) autori italiani. Il nuovo lavoro poetico di Franca contiene venti poesie ed è un vero fiore di poesia dalla bellezza incontaminata nel giardino della poesia italiana, un libro che, ne sono certo, potrebbe letteralmente andare a ruba, se posto ben in vista sugli scaffali di una libreria molto frequentata.
Il titolo già ci svela il filo conduttore dell'opera, il ganglio emotivo di tutta la raccolta – la quale è introdotta da una bella prefazione di Anna Antolisei (curatrice della Collana Et Nunc Imprimatur) e da un bel racconto di Stefanie Golisch tradotto dal tedesco da Mimma Albini –, si tratta della madre, quella di Franca, e del rapporto profondo instaurato con ella, nonostante la sua scomparsa prematura quando la l'autrice aveva soli quattro anni. Si può dunque intuire l’intensità sonora-emotiva delle parole con cui l’autrice intesse versi, per lo più lunghi, definendo una struttura narrativa di tutto riguardo in un dettato poetico ovviamente sostenuto da sostantivi e verbi, ma illuminati e armonizzati con le scale cromatiche degli aggettivi, sapientemente innestati nella costruzione pittorica (o fotografica) che ciascuna poesia sembra essere, infatti ne basterebbe una sola per dare il senso e la profondità della realtà poetica irradiata da Franca; pur tuttavia, sfogliando le pagine, di poesia in poesia, ci si accorge della bellezza e dell'unitarietà del viaggio che si è iniziato in questa galleria di sentimenti e ricordi e immaginazioni, ogni poesia diventa cioè essenziale e desiderio della successiva, l’insieme delle venti poesie è un unico poema, una elegia all’amore materno/filiale. Mai, in questi versi, si cade nel dirupo dell’ovvietà, non è facile parlare del rapporto materno senza caderci dentro (all'ovvietà) almeno in un verso, cosa che non accade mai, a mio avviso, in queste poesie che sanno stupire nell’intreccio minuzioso delle parole accostate l’una all’altra in modo semplice ma impensato, innestando nella poesia stessa quel quid che fa di un poeta un grande poeta; traluce un’anima che sa dire della propria esperienza fisica/spirituale/sentimentale in modo unico ed esemplare ma tale da far esclamare al lettore la sua sorpresa per quella sequenza di parole che mai aveva pensato potessero l’un l’altra elevarsi in un canto tanto armonioso, è il miracolo delle parole che, come colori, si armonizzano e donano un sorriso quieto ed aggraziato al lettore.
Nonostante ciò, dice bene Maria Grazia Calandrone in quarta di copertina: “La poesia di Alaimo è di natura strabordante e attraversata da sismi di commozione molto ferma; capita raramente di leggere una poesia così fitta, febbrile e volponianamente corporale quanto allo stile […]. Ci vuole coraggio ad essere così nude senza nessun antiveleno d’ironia, per eporre così coerentemente la propria ferita […].”
Mi pare utile riportare qui una parte della Nota dell'autrice:
“Questo libro è dedicato a mia madre, Johanna Becker, che morì quando io non avevo ancora quattro anni.
Ho raccontato tutto quello che so e ricordo di lei alla scrittrice Stefanie Golisch, la quale ne ha ricavato un racconto in lingua tedesca, Tortorici, (tradotto da Mimma Albini) aggiungendo, ovviamente, particolari da lei immaginati, ma straordinariamente verosimili.
Ho pensato che questo bellissimo racconto, che è stato presentato e letto a Berlino il 24 novembre del 2011, nel salone della scrittrice Erna Fizner, potesse essere una necessaria cornice alla comprensione del lettore e alle mie stesse poesie.
[…]
Alcune di queste [poesie] sono state pubblicate sulla rivista Poesia (Anno XXIV – Giugno 2011 – N. 261) nella rubrica Cantiere Poesia, curata da Maria Grazia Calandrone.”
Ed ecco tre poesie:
La visitatrice
Ecco la mia visitatrice che ritorna e mi offre
Le mani di latte, odorose di capra. I fiocchi
Di neve, cadendo uno ad uno sul capo
Le fanno stellari trasparenti di ghiaccio.
Nelle tasche della ruvida gonna conserva
Le bacche più amare, ma il suo petto canta
Le canzoni aurorali della sua prima giovinezza.
Lei cammina sulla strada del sogno nella luce
Sgorgata dalle palpebre chiuse e mi sembra
Che i suoi passi leggeri tra gli arbusti innevati
Mi parlino una lingua straniera. O notturna –
La chiamo – O mia perduta! Ma lei tace chiusa
Nella sua saggezza. Ha il ricordo delle cose
Anteriori e di una bimba fresca distesa
Sotto gli alberi di noccioli. Poiché lei è fatta
Di sogno, di nebbia e di soffi di cielo, e non più
Possiede un corpo, ma una chiarità di madreperla.
Però anche così, la silente, la purissima, è
Tra tutte le visioni la più dolce da guardare.
Quando andavamo al fiume
Sì, c’era, dopo i cespugli fitti,
Ma prima il canto e un fruscio in movimento
E il vento ora assente ora veloce e finalmente
Come la visione di un altrove veniva il fiume
Correndo verso il mare lontano e già dilagante
Nell’ansia e nel cadere verticale da una balza muschiosa.
Per ore contemplando tra ardori d’erba alta
Aggrovigliata e i gigli selvatici esplosi
Da tuberi infossati nella terra intenerita d’acqua
Fra radici e sassi levigati. Di fronte alla sua forza,
In sovrabbondanza di grazia, stavo muta,
Accoccolata come un dolce animale,
Con le mani sporche e la menta selvatica tra i denti.
Lei nel pensare, assorta, al fiume che trascinava il passato
E il luogo lontano, cantava una canzone
Nella sua lingua natale di suoni misteriosi
Come quelli attraverso i rami e le foglie del bosco.
Andiamo dove, andiamo dove? cantavano - era già sera -
Gli uccelli notturni e il fiume diventava un drago con tanti
Occhi aperti e dardeggianti. Lei mi custodiva la mano
Come una colombella nella gabbia per paura che mi perdessi,
Che affondassero i piedi. Scoppiavano in ogni albero alto,
Solenne, inni rituali, cerimonie nascoste, e le ombre
Scrivevano geroglifici sacri sull’aspro delle cortecce.
Le caviglie graffiate, le foglie infilate fra i capelli,
Le tasche come culle di corolle già esangui,
Foglie aromatiche e il giorno morto tra i ricordi.
Le nostre braccia allargavano il mistero e passo dopo passo
Sul sentiero conquistavamo ancora il ritorno alle cose:
Una brocca di argilla bianca con l’acqua della fonte,
Il pane caldo lievitato nel forno di pietra e tre pere mature
Posate sul tavolo di legno grezzo, prima del sonno.
O madre bellissima del parto
Mentre ti sfioro il ventre gonfio come una susina
Torna improvviso il tempo del giardino
Che s’infolta e aggroviglia d’erbe selvatiche:
Qui crescono i giri e i cardi spinosi,
Là cespi di borragine e i fiori gialli della cardella,
Fruttificano i noccioli sotto il cielo autunnale,
O madre bellissima del parto,
E le tue gambe sono ingioiellate di sudore
E i capelli biondissimi fanno sul cuscino
Quel movimento delle spighe al vento estivo,
Mentre il lenzuolo si consuma tra le dita
Ondeggiando al ritmo delle doglie.
Poi, nel guardare fuori, tra i gemiti,
Ti scivolano negli occhi piccole foglie
E le nuvole fuggevoli dell’alba così fioca
Di novembre che il vento, per ninnarti,
Fa entrare dalle finestre tra sibili e fischi.
E infine ecco la tua intima rosa tutta dischiusa
Per dare alla vita un’altra freschissima vita.
Somigli ad una morbida giumenta sfinita dal dolore
Quando dai lombi mi doni alla luce,
Ancora scintillante e tiepida d’umori,
Con un grido alto che, adesso, balza fuori
Dai margini ingialliti della foto, come una gazza
Impaurita da uno sparo dal folto di un carrubo,
Ed io dalla tua bocca con la mia bocca lo raccolgo
In comunione d’anima e d’amore.
Nel giorno del mio compleanno, 24 Novembre 2010
*
È senza timore, di sembrare un venditore ambulante, che dico ai lettori di queste poche righe da me scritte di procurarsi, quanto prima, questo libro del costo di soli 13 euro, sicuramente lo dovrebbero fare coloro che già conoscono Franca e l’apprezzano, e su LaRecherche.it siamo in molti.