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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Sempre di te amorosa

Poesia

Franca Alaimo (Biografia)
LietoColle

Recensione di Roberto Maggiani
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Pubblicato il 27/09/2013 12:00:00

 

Franca Alaimo torna in libreria con una proposta di lettura di poesie capace di coniugare grandezza e levità, e di sostenere il confronto, perché anche di confronto in arte si deve parlare, con i maggiori poeti suoi contemporanei; anche se, ahimè, Franca, pubblica con questo pur ottimo editore, al quale rendiamo merito per avercela proposta, ma la cui distribuzione non può certo competere con i più grandi editori, quali Einaudi e Mondadori, che attualmente sostengono il carico poetico dei più noti (non per questo più importanti) autori italiani. Il nuovo lavoro poetico di Franca contiene venti poesie ed è un vero fiore di poesia dalla bellezza incontaminata nel giardino della poesia italiana, un libro che, ne sono certo, potrebbe letteralmente andare a ruba, se posto ben in vista sugli scaffali di una libreria molto frequentata.

Il titolo già ci svela il filo conduttore dell'opera, il ganglio emotivo di tutta la raccolta – la quale è introdotta da una bella prefazione di Anna Antolisei (curatrice della Collana Et Nunc Imprimatur) e da un bel racconto di Stefanie Golisch tradotto dal tedesco da Mimma Albini –, si tratta della madre, quella di Franca, e del rapporto profondo instaurato con ella, nonostante la sua scomparsa prematura quando la l'autrice aveva soli quattro anni. Si può dunque intuire l’intensità sonora-emotiva delle parole con cui l’autrice intesse versi, per lo più lunghi, definendo una struttura narrativa di tutto riguardo in un dettato poetico ovviamente sostenuto da sostantivi e verbi, ma illuminati e armonizzati con le scale cromatiche degli aggettivi, sapientemente innestati nella costruzione pittorica (o fotografica) che ciascuna poesia sembra essere, infatti ne basterebbe una sola per dare il senso e la profondità della realtà poetica irradiata da Franca; pur tuttavia, sfogliando le pagine, di poesia in poesia, ci si accorge della bellezza e dell'unitarietà del viaggio che si è iniziato in questa galleria di sentimenti e ricordi e immaginazioni, ogni poesia diventa cioè essenziale e desiderio della successiva, l’insieme delle venti poesie è un unico poema, una elegia all’amore materno/filiale. Mai, in questi versi, si cade nel dirupo dell’ovvietà, non è facile parlare del rapporto materno senza caderci dentro (all'ovvietà) almeno in un verso, cosa che non accade mai, a mio avviso, in queste poesie che sanno stupire nell’intreccio minuzioso delle parole accostate l’una all’altra in modo semplice ma impensato, innestando nella poesia stessa quel quid che fa di un poeta un grande poeta; traluce un’anima che sa dire della propria esperienza fisica/spirituale/sentimentale in modo unico ed esemplare ma tale da far esclamare al lettore la sua sorpresa per quella sequenza di parole che mai aveva pensato potessero l’un l’altra elevarsi in un canto tanto armonioso, è il miracolo delle parole che, come colori, si armonizzano e donano un sorriso quieto ed aggraziato al lettore.

Nonostante ciò, dice bene Maria Grazia Calandrone in quarta di copertina: “La poesia di Alaimo è di natura strabordante e attraversata da sismi di commozione molto ferma; capita raramente di leggere una poesia così fitta, febbrile e volponianamente corporale quanto allo stile […]. Ci vuole coraggio ad essere così nude senza nessun antiveleno d’ironia, per eporre così coerentemente la propria ferita […].”

 

Mi pare utile riportare qui una parte della Nota dell'autrice:

 

“Questo libro è dedicato a mia madre, Johanna Becker, che morì quando io non avevo ancora quattro anni.

Ho raccontato tutto quello che so e ricordo di lei alla scrittrice Stefanie Golisch, la quale ne ha ricavato un racconto in lingua tedesca, Tortorici, (tradotto da Mimma Albini) aggiungendo, ovviamente, particolari da lei immaginati, ma straordinariamente verosimili.

Ho pensato che questo bellissimo racconto, che è stato presentato e letto a Berlino il 24 novembre del 2011, nel salone della scrittrice Erna Fizner, potesse essere una necessaria cornice alla comprensione del lettore e alle mie stesse poesie.

[…]

Alcune di queste [poesie] sono state pubblicate sulla rivista Poesia (Anno XXIV – Giugno 2011 – N. 261) nella rubrica Cantiere Poesia, curata da Maria Grazia Calandrone.”

 

Ed ecco tre poesie:

 

 

La visitatrice

 

Ecco la mia visitatrice che ritorna e mi offre

Le mani di latte, odorose di capra. I fiocchi

Di neve, cadendo uno ad uno sul capo

Le fanno stellari  trasparenti di ghiaccio.

Nelle tasche della ruvida gonna conserva

Le bacche più amare, ma il suo petto canta

Le canzoni aurorali della sua prima giovinezza.

Lei cammina sulla strada del sogno nella luce

Sgorgata dalle palpebre chiuse e mi sembra

Che i suoi passi leggeri tra gli arbusti innevati

Mi parlino una lingua straniera. O notturna –

La chiamo – O mia perduta! Ma lei tace chiusa

Nella sua saggezza. Ha il ricordo delle cose

Anteriori e di una bimba fresca distesa

Sotto gli alberi di noccioli. Poiché lei è fatta

Di sogno, di nebbia e di soffi di cielo, e non più

Possiede un corpo, ma una chiarità di madreperla.

Però anche così, la silente, la purissima, è

Tra tutte le visioni la più dolce da guardare.

 

 

Quando andavamo al fiume

 

Sì, c’era, dopo i cespugli fitti,

Ma prima il canto e un fruscio in movimento

E il vento ora assente ora veloce e finalmente

Come la visione di un altrove veniva il fiume

Correndo verso il mare lontano e già dilagante

Nell’ansia e nel cadere verticale da una balza muschiosa.

Per ore contemplando tra ardori d’erba alta

Aggrovigliata e i gigli selvatici esplosi

Da tuberi infossati nella terra intenerita d’acqua

Fra radici e sassi levigati. Di fronte alla sua forza, 

In sovrabbondanza di grazia, stavo muta,

Accoccolata come un dolce animale,

Con le mani sporche e la menta selvatica tra i denti.

Lei nel pensare, assorta, al fiume che trascinava il passato

E il luogo lontano, cantava una canzone

Nella sua lingua natale di suoni misteriosi

Come quelli  attraverso i rami e le foglie del bosco.

Andiamo dove, andiamo dove? cantavano - era già sera -

Gli uccelli notturni e il fiume diventava un drago con tanti

Occhi aperti e dardeggianti. Lei mi custodiva la mano

Come una colombella nella gabbia per paura che mi perdessi,

Che affondassero i piedi. Scoppiavano in ogni albero alto,

Solenne, inni rituali, cerimonie nascoste, e le ombre

Scrivevano geroglifici sacri sull’aspro delle cortecce.

Le caviglie graffiate, le foglie infilate fra i capelli,

Le tasche come culle di corolle già esangui,

Foglie aromatiche e il giorno morto tra  i ricordi.

Le nostre braccia allargavano il mistero e passo dopo passo

Sul sentiero conquistavamo ancora il ritorno alle cose:

Una brocca di argilla bianca con l’acqua della fonte,

Il pane caldo lievitato nel forno di pietra e tre pere mature

Posate sul tavolo di legno grezzo, prima del sonno.

 

 

O madre  bellissima  del parto

 

Mentre ti sfioro il ventre gonfio come una susina

Torna improvviso il tempo del giardino

Che s’infolta e aggroviglia d’erbe selvatiche:

Qui crescono i giri e i cardi spinosi,

Là cespi di borragine e i fiori gialli della cardella,

Fruttificano i noccioli sotto il cielo autunnale,

O madre bellissima del parto,

E le tue gambe sono ingioiellate di sudore

E i capelli biondissimi fanno sul cuscino

Quel movimento delle spighe al vento estivo,

Mentre il lenzuolo si consuma tra le dita

Ondeggiando al ritmo delle doglie.

Poi, nel guardare fuori, tra i gemiti,

Ti scivolano negli occhi  piccole foglie

E le nuvole fuggevoli dell’alba così fioca

Di novembre che il vento, per ninnarti,

Fa entrare dalle finestre tra sibili e fischi.

E infine ecco la tua intima rosa tutta dischiusa

Per dare alla vita un’altra freschissima vita.

Somigli ad una morbida giumenta sfinita dal dolore

Quando dai lombi mi doni alla luce,

Ancora scintillante e tiepida d’umori,

Con un grido alto che, adesso, balza fuori

Dai margini ingialliti della foto, come una gazza

Impaurita da uno sparo dal folto di un carrubo,

Ed io dalla tua bocca con la mia bocca lo raccolgo

In comunione d’anima e d’amore.

 

Nel giorno del mio compleanno, 24 Novembre 2010

 

 

*

 

È senza timore, di sembrare un venditore ambulante, che dico ai lettori di queste poche righe da me scritte di procurarsi, quanto prima, questo libro del costo di soli 13 euro, sicuramente lo dovrebbero fare coloro che già conoscono Franca e l’apprezzano, e su LaRecherche.it siamo in molti.

 


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